Le rinnovabili in Italia: nei prossimi 4 anni previsti 4.4GW di nuove installazioni

Analisi del mercato delle rinnovabili in Italia per fonte, con particolare attenzione agli scostamenti rispetto alla produttività attesa, le opportunità del revamping e del repowering, la crescita del segmento storage, l’andamento delle emissioni Green bond, le installazioni previste nei prossimi 4 anni

Le rinnovabili in Italia: nei prossimi 4 anni previsti 4.4GW di nuove installazioni 1

Il 24 maggio sarà presentata a Milano la terza edizione del Renewable Energy Report 2017, realizzato dall’Energy & Strategy Group che approfondisce, con il consueto approccio analitico, l’andamento delle installazioni rinnovabili nel nostro paese e della produzione di energia da fonte green.

Vi proponiamo in anteprima i principali risultati del Rapporto, invitandovi ad iscrivervi alla presentazione del 24 maggio  al Politecnico di Milano – Campus Bovisa, via Lambruschini 4, Edificio BL28 – Aula Magna Carassa Dadda.

Il mercato primario delle rinnovabili in Italia

La nuova potenza installata nel corso del 2016 è stata di 778 MW, di circa 112 MW inferiore a quella installata nello stesso periodo del 2015 (-12%), ma superiore di 78 MW di quella installata nel 2014. Complessivamente la potenza installata da rinnovabili ha quindi superato la soglia dei 51 GW (33 GW se si esclude l’idroelettrico “storico” già installato nel nostro Paese prima degli anni ‘00).
E’ il fotovoltaico a guidare la classifica delle installazioni con 369 MW, seguito dall’eolico con 290 MW, mentre sono le biomasse con soli 40 MW a chiudere la classifica.

Il volume complessivo di potenza fotovoltaica installata è di 19.261 MW a fine 2016, grazie alla nuova potenza installata pari a circa 369 MW, in crescita di circa il 24% rispetto a quanto accaduto nell’anno precedente.

Il valore del mercato delle nuove installazioni è stato pari nel 2016 a circa 637 mln €. Il mercato residenziale ha pesato per oltre 417 mln € (circa il 66% del totale), rappresentando il 57% della potenza installata con livelli di costo al kW nell’intorno dei 2.000 €.
Il ritorno alla crescita delle installazioni, dopo il rallentamento del 2015, è un segno positivo circa la possibilità del mercato di esprimere ormai una domanda che – sebbene su livelli non comparabili al periodo 2010-2013 – può però essere considerata completamente indipendente dai meccanismi di incentivazione. E’ interessante sottolineare anche la leggera inversione di tendenza del 2016 con circa il 7% della potenza totale in impianti di taglia superiore a 1 MW, che pur non intacca la predominanza di installazioni di taglia “residenziale”.

Il volume complessivo di potenza eolica installata va oltre i 9.450 MW a fine 2016 con un valore di nuove installazioni pari a circa 290 MW (-30% rispetto al 2015). Il valore del mercato delle nuove installazioni è stato pari nel 2016 a circa 454,5 mln €. La larga maggioranza è rappresentata da impianti di taglia superiore a 10 MW, con un controvalore di oltre 344 mln € (oltre il 75% del totale). Il costo in €/kW nel corso del 2016 ha fatto registrare un range compreso tra i 1.840 € per gli impianti di piccola taglia e i 1.500 € per gli impianti di taglia maggiore.
Nell’ultimo anno hanno avuto, ovviamente in relativo, un notevole incremento, in termini di numero di impianti installati, quelli ascrivibili al range di taglie al di sotto dei 200 kW.
Il 97% delle nuove installazioni, in numero di impianti, riguarda infatti questa tipologia di impianti, soprattutto a causa del fatto che al di sotto dei 60 KW è possibile accedere all’incentivo tramite accesso diretto.

Il volume complessivo di potenza idroelettrica installata è di 18.606 MW a fine 2016 con un valore delle nuove installazioni pari a circa 79 MW, volumi simili rispetto al 2015. Le Regioni che hanno installato di più nel 2016 sono la Lombardia (13,3 MW), il Piemonte (12,8) e la Valle D’Aosta (8,4).

Il valore del mercato delle nuove installazioni è stato pari nel 2016 a circa 327 mln €, in larga parte appunto attribuibile agli impianti di piccola taglia. E’ interessante notare come in questo caso la differenza di costo in €/kW tra grandi e piccoli impianti sia estremamente significativa. Con gli impianti sotto i 500 kW che costano oltre 2,5 volte quelli compresi tra 5 e 10 MW.

La potenza cumulata, sommando le diverse tipologie di biomassa utilizzate per la produzione elettrica (biomasse agroforestali, biogas, bioliquidi, forsu), ha raggiunto, al termine del 2016, i 4,2 GW, con una crescita di «soli» 40 MW nel 2016.
Il trend di discesa delle nuove installazioni è qui tale da poter parlare di un mercato sostanzialmente «fermo». Le uniche variazioni riguardano le biomasse agroforestali (+30 MW) ed
il biogas (+10 MW).

Sostanzialmente invariata la potenza delle altre fonti – anche se (visti i risultati delle aste) è ragionevole attendersi per i prossimi anni qualche nuovo impianto sia nel geotermoelettrico che nel solare termodinamico (CSP).

Un ruolo ancora importante lo hanno giocato – ad esclusione ovviamente della fonte fotovoltaica – gli incentivi. Con il DM 23 Giugno 2016 sono stati incentivati 1,2 GW di potenza totale, circa la metà dei 2,4 GW assegnati con il DM Luglio 2012 (rispetto agli oltre 4,4 GW messi a bando).

In entrambi i DM la fonte eolico è stata quella che ha riscontrato tra gli operatori un maggiore interesse con una potenza totale richiesta sempre notevolmente superiore rispetto al contingente messo a bando.

E’ evidente l’effetto di apprendimento rispetto alla tornata precedente, soprattutto da parte degli operatori che hanno deciso di partecipare.

Il fatto indubbiamente positivo – vero soprattutto nel caso dell’eolico se si considera l’andamento delle offerte in termini di ribassi – è che esiste una domanda di realizzazione di impianti da rinnovabili che traguarda dinamiche di mercato che guardano ben oltre l’esistenza dell’incentivo.
E’ a queste dinamiche che si dovrebbe guardare cercando di favorire – a detta degli operatori – soluzioni che vadano al di là del contingentamento per fonte, ad esempio attraverso aste “tecnologicamente neutre” che permettano un più efficace impiego del contingente a disposizione, oppure con meccanismi contrattuali (PPA) di fissazione per un orizzonte lungo del prezzo di vendita dell’energia, che potrebbero rivelarsi altrettanto efficaci e “solidi” per la realizzazione di un progetto di investimento.

Il supporto agli investimenti può arrivare anche da forme di finanziamento innovative?

L’andamento delle emissioni a livello globale di green bond dal 2007 al 2016, ha fatto registrare una crescita estremamente significativa, con un balzo verso emissioni complessive per oltre 100 miliardi di €, e che sembra essere – secondo le prime stime degli analisti finanziari – solo il primo ”segno” di un andamento che sta diventando esponenziale (e non a caso le previsioni per il 2017 parlano di quasi 200 miliardi di € di nuove emissioni).

In buona sostanza, il Green Bond ha le caratteristiche di una comune obbligazione con una determinata scadenza ma con un vincolo “forte” all’utilizzo dei capitali raccolti per impieghi quali quelli dell’investimento in rinnovabili.
E’ importante evidenziare come non vi sia sul mercato nessuna differenza sostanziale nei rendimenti di questi titoli rispetto ai rendimenti di riferimento (emessi cioè dai medesimi emittenti ma senza vincolo di impiego). Le ragioni quindi che spingono all’emissione e all’acquisto non sono da ricercarsi in una maggiore convenienza economica, bensì nella volontà di indirizzo di un crescente quantitativo di disponibilità finanziarie verso impieghi che sono giudicati maggiormente auspicabili a livello di sistema.

La crescita del mercato delle obbligazioni verdi si deve nel 2016 soprattutto all’ingresso massiccio della Cina che ha contato per il 44% delle risorse complessive raccolte nel 2016.

Anche l’Europa però si sta muovendo in maniera significativa. Polonia e Francia sono stati i primi Paesi europei ad emettere Green Bond di Stato e Germania e Lussemburgo paiono essere mercati con una certa qual vitalità.

Discorso a parte merita l’Italia che sta muovendo i suoi primi passi in questo ambito. Spetta ad HERA il primato dello strumento. La multi-utility è stata infatti la prima impresa italiana ad aver lanciato nel 2014 un’emissione obbligazionaria decennale, inizialmente quotata sul mercato Lussemburghese e solo recentemente (il 20 aprile 2017, dopo l’emissione di Enel) incluso nel segmento dedicato ai green e/o social bond sul mercato ExtraMOT di Borsa Italiana.

Il mercato dei Green Bond è in forte espansione e – per lo meno in Europa – ancora alla ricerca di una sua dimensione e riconoscibilità. Gli investitori, nonostante l’assenza di differenziali significativi di rendimento, sembrano però disposti ad accettare la sfida, e lo hanno manifestato con una domanda di investimento di gran lunga superiore all’offerta.

In Italia gli operatori industriali hanno fatto il primo passo, ora potrebbe toccare al Governo, seguendo l’esempio francese. Oppure si potrebbe pensare ad una “terza via” dove sono le banche (o perché no,  sulla scorta di quanto avvenuto in Germania, Cassa Depositi e Prestiti) a convogliare nuovi capitali per gli investimenti in rinnovabili. Potrebbe essere un ulteriore passo – dando visibilità, garanzia e slancio al mercato delle rinnovabili – verso la definitiva uscita dal mercato incentivato.

Sistemi di accumulo

Uno dei segmenti di mercato più vivaci attorno al mondo delle rinnovabili è indubbiamente quello dello storage, che vede la presenza nel nostro Paese di diversi operatori (come mostrato in figura) e diverse tipologie di offerta.

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Nonostante le aspettative di riduzione dei costi è ancora limitata la redditività economica per questa tipologia di investimenti, sia dal punto di vista del loro impiego nel residenziale che negli impianti di produzione da rinnovabili.
Appare evidente, tuttavia, come nell’ottica di una progressiva ”elettrificazione” dei consumi (ad esempio anche a seguito della diffusione della mobilità elettrica) e della conseguente maggiore redditività dell’autoconsumo per i prosumer, il potenziale per questo tipo di soluzioni appare destinato a crescere.
La scelta, peraltro già fatta da altri Paesi, di consentire anche alle rinnovabili (e a maggior ragioni alle rinnovabili dotate di sistemi di storage) di partecipare al mercato dei servizi di rete appare essere l’unica via per garantire una opportunità di sviluppo di queste applicazioni anche nel nostro Paese.
E’ importante sottolineare come, in quel caso, l’effetto di “stabilizzazione” della produzione da rinnovabili – ed in un certo senso la loro maggiore programmabilità – potrebbe essere un side effect positivo.

Questo è ancora più vero se si pensa a possibilità di sviluppo di modelli di tipo “aggregatore”. Il concetto di aggregatore virtuale in ambito energy storage per il settore residenziale si lega alla possibilità di creare una sorta di “centrale elettrica virtuale” con centinaia di sistemi di accumulo connessi, monitorati centralmente e di continuo. L’obiettivo è sostituire una parte della capacità di riserva garantita dagli impianti fossili convenzionali e sviluppare modelli di controllo della domanda elettrica, aggregando diversi dispositivi di energy storage in grado di fornire servizi di vario tipo.
Si tratta, di fatto, di un sistema di energy storage distribuito, abbinato alla generazione distribuita degli impianti fotovoltaici.
Il vantaggio è duplice: da un lato, incrementare l’autoconsumo di elettricità, dall’altro contribuire ai servizi di rete tra cui la regolazione di frequenza e il peak shaving, riducendo la potenza impegnata e gli sbilanciamenti tra energia prodotta e consumata effettivamente in un dato periodo.
Il concetto di aggregatore virtuale si lega quindi a due concetti fondamentali: la creazione di una community peer to peer dell’energia e alla possibilità di fornire servizi di rete in maniera
indipendente dalla rete tradizionale.
Si rivolge principalmente agli utenti domestici che hanno già installato dei sistemi solari FV ai quali oter abbinare dei sistemi di accumulo, che vogliono entrare nella community.

Una filiera finalmente “solida”

Nel Rapporto – con una analisi campionaria di oltre 914 imprese appartenenti alle diverse fasi della filiera – si è valutato lo stato di salute, misurato attraverso la redditività del core business (EBITDA %), degli operatori delle rinnovabili in Italia.
I dati raccolti hanno permesso di scattare diverse fotografie – anche per taglia dimensionale delle imprese – e di confrontare i dati lungo il periodo 2008-2012 (quello della grande espansione delle rinnovabili) e quello 2012-2015 (quello invece della grande crisi e del tentativo di ripresa).
Il quadro che ne esce, con le sue luci e le sue ombre, dovrebbe essere tenuto – anche a detta degli operatori – in debita considerazione nel momento in cui si decidano modifiche al contesto normativo e regolatorio entro cui opera il comparto.

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La fotografia scattata all’insieme della filiera mostra che il CAGR medio di tutto il settore delle rinnovabili tra il 2008 ed il 2015 è pari a -2,4% annuo, segno quindi di un comparto che si trova oggi in una condizione “peggiore”, per quanto riguarda la redditività del core business, rispetto all’anno 2008. Questo a causa di un processo “pesante” di razionalizzazione del comparto che ha lasciato sul terreno diversi operatori, ma che fa sì che oggi delle 914 imprese analizzate, ben 550 (il 60%) si trovi in una situazione di prestazione superiore alla media (ossia al -2,4% annuo).

La scomposizione della prestazione di marginalità nei due sotto-periodi temporali mette in evidenza come alla fase di crescita (con un CAGR medio tra il 2008 e il 2012 del 7,5% annuo) è seguita una fase di calo ”drammatico” (con un CAGR medio tra il 2012 ed il 2015 di -14,2% annuo) che ha sostanzialmente vanificato l’effetto degli anni precedenti.
Calo “drammatico”, dovuto alla incertezza e alle modifiche repentine del quadro normativo e regolatorio, che tuttavia ci lascia come visto, una filiera per certi versi più “solida”, avendo più che assorbito l’effetto “drogante” dell’eccesso di incentivi dei primi periodi.

Una opportunità concreta di crescita: il revamping ed il repowering degli impianti esistenti

A questo tema è dedicato ampio spazio nel Rapporto, dove si è inteso approfondire lo “stato” degli impianti in esercizio per fotovoltaico, eolico ed idroelettrico e le concrete potenzialità di revamping/repowering.

In particolare si sono valutate, a partire dal confronto con gli operatori del settore, le alternative concrete di investimento e la redditività attesa (come di consueto in termini di IRR e Tempo di Pay Back), prendendo anche in considerazione – assumendo importante il contributo alla capacità di generazione del nostro Paese – gli impatti di questi interventi sulla produzione elettrica degli impianti.
Le alternative che sono risultate economicamente interessanti sono poi state confrontate con le possibilità concesse dall’attuale quadro normativo e regolatorio. Il risultato ultimo di questo confronto si immagina possa esprimere un nuovo tipo di “mercato”, una sorta di “via di mezzo” tra il mercato “primario” e quello “secondario”.

Il mercato del fotovoltaico italiano, come visto, può vantare un parco impianti di notevole potenza, grazie agli oltre 19 GW è il secondo mercato europeo per base installata.
Il performance ratio (PR) caratteristico degli impianti di grande taglia si attesta intorno al 75%. Solo nei casi migliori si trovano impianti che raggiungono l’80% di PR.
Il valore di PR raggiunto sugli impianti nuovi – ossia che impiegano le tecnologie ed i sistemi oggi disponibili – si attesta normalmente su un valore compreso tra l’84% e l’86%.
Prendendo in considerazione il triennio 2010-2012, dove è entrato in funzione il 70% dell’installato totale, e le centrali solari (impianti con potenza maggiore di 900 kW) rappresentavano oltre il 50% delle nuove installazioni, si deduce che il deterioramento degli impianti è stato più elevato di quanto ci si aspettava rispetto al canonico decadimento delle prestazioni delle singole componenti «promesse» dai loro produttori.

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La analisi economica sulle opportunità di revamping e repowering nel fotovoltaico permette di evidenziare:
–  la assoluta convenienza – all’interno del range di casistiche considerate – degli interventi che hanno ad oggetto il riassetto del layout, che fanno registrare IRR medi nell’ordine del 40-50%. Va fatto notare tuttavia che questo intervento sia anche quello con i minori impatti – quelli però più interessanti se si assume la prospettiva del potenziamento del parco di generazione da fotovoltaico – sulla produzione elettrica degli impianti.
– Il posizionamento comunque sopra la soglia di convenienza (con la sola parziale eccezione degli
impianti residenziali) degli interventi di sostituzione degli inverter. Per gli impianti più obsoleti questo intervento porta ad incrementi della produzione anche nell’ordine del 9%.
– la maggiore difficoltà a posizionarsi in condizioni di convenienza per gli interventi di sostituzione dei moduli, evidentemente i più ”invasivi” e costosi sull’impianto, ma anche quelli in grado di garantire i maggiori incrementi prestazionali reali. Per questo tipo di interventi l’IRR soglia si raggiunge solo nel caso in cui l’incremento di produzione superi i 18 punti percentuali, ovvero in quei casi dove le prestazioni di PR attuali siano inferiori al 70%.

Il mercato dell’eolico italiano può vantare un parco impianti di oltre 9 GW, di cui circa il 30% (circa 2,7 GW) si riferisce a impianti con almeno 10 anni di vita, che entro il 31 Dicembre 2019 vedranno terminare il loro regime incentivante dei certificati verdi.
Nello specifico, circa 1.200-1.500 MW si apprestano a compiere 14-15 anni di attività e si avvicinano alla loro data di fine vita utile (20 anni), perlomeno dal punto di vista progettuale; perciò si presentano appetibili ad attività di revamping o ricostruzione completa.
Inoltre, ci si riferisce ad impianti dove le condizioni di ventosità sono comprovate da anni di funzionamento e che oggi, grazie a soluzioni tecnologiche atte a utilizzare nel miglior modo possibile Ia ventosità caratteristica dei siti, porterebbe una notevole riduzione dei rischi di gestione degli asset eolici.

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La analisi economica sulle opportunità di revamping e repowering nell’eolico permette di evidenziare la assoluta convenienza – all’interno del range di casistiche considerate – degli interventi di incremento delle prestazioni per gli impianti eolici.
In tutti i casi considerati, infatti, e proporzionando evidentemente l’entità dell’intervento alla vetustà dell’impianto si raggiungono livelli di redditività più che accettabili.
Se si assume la prospettiva della massimizzazione della produzione elettrica dal parco installato è poi evidente come gli interventi sugli impianti più vecchi siano non solo economicamente interessanti ma anche auspicabili per l’intero sistema, potendo garantire incrementi della produzione ben oltre il 50%.

E’ ancora più importante quindi sottolineare quindi in questo caso come i vincoli (la “strada stretta” nelle parole degli operatori) di natura normativa facciano da freno ad un
potenziale economico ed energetico di investimenti che invece avrebbe la possibilità di esprimersi nel nostro Paese.

Le principali barriere sono di carattere normativo e vengono riassunte nei seguenti due punti:
Iter autorizzativi ex-novo necessari anche per i siti che già ospitano impianti eolici, con le medesime difficoltà in termini di costi e tempistiche necessarie;
-Il decreto ministeriale 6 novembre 2014 del Ministero dello Sviluppo Economico prevedeva la facoltà di aderire al decurtamento della tariffa incentivante per impianti che aderivano ai certificati verdi e tariffe onnicomprensive; di contro, chi non aderiva manteneva si l’incentivo ma per un periodo di dieci anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al
regime incentivante, interventi di qualunque tipo realizzati sullo stesso sito non hanno diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti, incluso ritiro dedicato e scambio sul
posto, a carico dei prezzi o delle tariffe dell’energia elettrica.
Questi sono i principali ostacoli che ad oggi mantengono il mercato del revamping/ricostruzione degli impianti eolici solamente teorico, dato che il 99% dei proprietari degli impianti non ha aderito alla decurtazione dell’incentivo.

Il mercato dell’idroelettrico italiano, seppur rimane essere il più «anziano» tra quello delle rinnovabili, ha subito in passato un forte rinnovamento grazie ai regimi incentivati passati (Certificati verdi e aste & registri per i rifacimenti/ricostruzioni parziali/totali).

Nelle finestre temporali tra il 2001-2003 e nel quinquennio 2008-2013 oltre 80% degli impianti di taglia maggiore dei 3 MW ha subito opere importanti di ammodernamento.

Per gli impianti di taglia inferiore la percentuale di rinnovamento è minore principalmente per il fatto che si tratta di un parco installato notevolmente più giovane (10-15 anni) che con la manutenzione ordinaria rimane in perfetta efficienza.

La analisi economica sulle opportunità di revamping e repowering nell’idroelettrico permette di evidenziare, a differenza di quanto visto negli altri casi, come la convenienza economica per gli interventi di incremento delle prestazioni degli impianti idroelettrici sia ancora lontana, con la sola parziale eccezione della introduzione dei sistemi di automazione.

Particolarmente interessante risulta anche sottolineare come questi interventi – anche qualora effettuati – abbiano un impatto comunque limitato sulla producibilità, ovviamente con un impatto sulla redditività degli interventi stessi.

Il potenziale dei “mercati” delle rinnovabli in Italia

Complessivamente – come riportato in tabella – le nuove installazioni previste nel prossimo quadriennio sono pari a 4,4 GW, con il fotovoltaico a prendersi la lion’s share con 2,3 GW, seguito dall’eolico (1,6 GW) e – notevolmente staccato – dall’idroelettrico (320 MW). Le altre fonti (biomasse, geotermia, CSP) potrebbero quindi cubare complessivamente, guardando anche in questo caso agli andamenti delle ultime aste come proxy delle future installazioni, per 200 MW.
Rispetto al quadriennio 2013-2016 le previsioni di mercato sono quindi nel complesso più favorevoli, facendo pensare definitivamente all’uscita dalla “crisi” delle rinnovabili del nostro Paese e ad una fase di “crescita moderata” del mercato.

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A queste si aggiungono le stime sull’andamento del mercato degli interventi di revamping/repowering, come visto una sorta di mercato “alternativo” per i produttori di impianti e componentistica, oltre che ovviamente per EPC e O&M delle rinnovabili, con la necessità in questo caso di ampliare l’orizzonte temporale, ipotizzando perciò una distribuzione degli interventi sulla base installata ad oggi che va dal 2017 al 2025.
Sono oltre 9 GW (il 17% del parco installato attuale, escluso l’idroelettrico “storico”) nello scenario ottimistico gli impianti che si stima saranno oggetto di interventi di efficientamento nell’orizzonte di tempo considerato, per un controvalore di investimenti pari a circa 5,5 mld. €.
Numeri che scendono rispettivamente a 5,8 GW e 2,2 mld. € nello scenario pessimistico.

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Sono numeri “importanti” alla stessa stregua di quelli del mercato “primario” e sono numeri che hanno ricadute economiche e occupazionali estremamente significativi sulla filiera impiantistica, dell’EPC e degli O&M delle rinnovabili
Sono numeri “importanti” anche per il “mercato elettrico” perché vanno a consolidare ed efficientare una parte ormai imprescindibile del nostro parco di generazione e che deve
cominciare a ragionare – ed essere esercita e manutenuta – secondo ottiche proprie di chi si occupa della produzione di energia
Sono numeri che richiedono però uno sforzo di coordinamento tra operatori, proprietari di impianti, ed ovviamente il regolatore (a livello nazionale ma anche locale). Insomma uno sforzo di “sistema” che forse – nella fase di “post crisi” – il mercato delle rinnovabili in Italia è finalmente pronto a fare.

Renewable Enegy Report

24 maggio 2017 ore 9.30
Politecnico di Milano – Campus Bovisa
Via Raffaele Lambruschini 4- Edificio BL 28
Aula Magna Carassa D’Adda

Ai presenti sarà consegnata in omaggio una copia del Renewable Energy Report – 3a ed.

Vedi il programma del convegno.

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