Gli allevamenti intensivi inquinano più delle auto, le emissioni sono il 17% del totale in Europa

Nuovo rapporto di Greenpeace: la zootecnia europea produce 704 milioni di tonnellate di CO2; utilizzare il denaro pubblico per sostenere la riduzione del numero di animali e aiutare gli agricoltori a una vera e propria transizione. Cambiare la zootecnia europea anche per prevenire nuove pandemie. Il caso di denuncia lanciato da Animal equality in Messico su due grandi allevamenti intensivi di suini: dispersione incontrollata di liquami, materiali di scarto liberi in natura, e un impatto ambientale potenzialmente catastrofico

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Gli allevamenti intensivi inquinano più delle auto, le emissioni sono il 17% del totale in Europa

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Gli allevamenti intensivi sono peggio dei trasporti (su gomma). Inquinano più delle auto, con le emissioni di gas serra che arrivano al 17% del totale in Europa.

E’ il risultato di un nuovo rapporto di Greenpeace da cui emerge che le emissioni annuali degli allevamenti sono aumentate del 6% tra il 2007 e il 2018. Si tratta di un aumento che spinge in avanti di 39 milioni di tonnellate le emissioni di CO2, l’equivalente di un aggiunta di 8,4 milioni di auto sulle strade europee.

In tutto, la zootecnia europea – viene spiegato da Greenpeace – produce 502 milioni di tonnellate di CO2 all’anno; includendo nel conteggio le emissioni indirette di gas serra derivanti dalla produzione di mangimi, dalla deforestazione e da altri cambiamenti nell’uso del suolo, le emissioni annuali totali attribuibili alla zootecnia europea arrivano a 704 milioni di tonnellate di CO2, più di quelle di tutte i mezzi di trasporto su gomma che hanno circolato nell’Ue nel 2018, pari a quasi 656 milioni di tonnellate.

I benefici per l’ambiente dalla diminuzione degli allevamenti

Il potenziale di riduzione dei gas serra derivante dalla diminuzione del numero di animali allevati – continua lo studio – è enorme: un taglio del 50% consentirebbe un risparmio di emissioni dirette di quasi 251 milioni di tonnellate di CO2, una cifra paragonabile alle emissioni nazionali annuali di Paesi Bassi e Ungheria messi insieme.

Mentre ridurre la produzione del 75% permetterebbe un risparmio di gas serra di 376 milioni di tonnellate di CO2, più delle emissioni nazionali annuali combinate di 13 Paesi dell’Ue, e equivalente all’impatto che hanno sul clima tutti i processi industriali dei Paesi europei.

Per questo Greenpeace mette in guardia: senza una decisa riduzione del numero di animali allevati, l’Ue non sarà in grado di raggiungere gli obiettivi definiti dell’Accordo di Parigi sul clima. “I numeri parlano chiaro: non possiamo evitare le conseguenze peggiori della crisi climatica se a livello politico si continua a difendere a spada tratta la produzione intensiva di carne e latticini – dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia – l’Ue sta elaborando una nuova legge sul clima, aggiornando i suoi obiettivi climatici e definendo la Pac per i prossimi sette anni. La nostra analisi mostra chiaramente che un’azione credibile per il clima deve includere la fine delle sovvenzioni pubbliche per l’allevamento intensivo nella Pac e utilizzare piuttosto il denaro pubblico per sostenere la riduzione del numero di animali allevati e aiutare gli agricoltori a una vera e propria transizione”.

Inoltre riuscire a cambiare la zootecnia europea “non solo è necessario per affrontare i cambiamenti climatici, ma anche per prevenire nuove pandemie”. L’allevamento intensivo di animali – viene spiegato – ha un ruolo ben riconosciuto nell’emergere e nella diffusione di infezioni virali simili al Covid-19. Si stima che circa il 73% di tutte le malattie infettive emergenti abbia origine negli animali, e che le specie allevate trasmettano un numero straordinario di virus alle persone come i coronavirus e i virus dell’influenza. 

Effetti devastanti sull’ambiente

La questione riguarda tutto il mondo. E un caso di denuncia arriva dal centro America: dispersione incontrollata di liquami, materiali di scarto liberi in natura, e un impatto ambientale potenzialmente catastrofico. L’allarme è stato lanciato da Animal equality (l’organizzazione internazionale per la protezione degli animali composta da esperti del settore, scienziati e volontari ambientalisti che punta a fare pressione sull’opinione pubblica e sulla politica) che in nuovo rapporto ha pubblicato i risultati di una ricerca investigativa – fatta anche grazie a ricognizioni effettuate da droni nelle aree di due allevamenti intensivi da 89mila maiali – portata avanti in Messico a Jalisco, su due grandi allevamenti intensivi di suini.

Il dossier mostra, accanto ai lunghi capannoni dove alloggiano i suini, grandi vasche a cielo aperti contenenti ingenti quantità di liquami e altri materiali inquinanti, micidiali concentrati di elementi chimici, batteriologici e patogeni. Il pericolo è l’inquinamento del suolo, con la penetrazione dei materiali nei terreni agricoli circostanti e nelle acque di superficie e delle falde acquifere, con la dispersione di elementi chimici, soprattutto composti azotati e nitrati. A tutto questo bisogna aggiungere l’inquinamento atmosferico per via della dispersione in atmosfera di metano e altri composti chimici e gassosi nocivi per la salute.

Animal equality ha presentato al governo messicano quattro denunce sulle attività di produzione e smaltimento dei rifiuti; l’obiettivo è di arrivare alla revoca delle licenze e dei permessi, oltre che alla chiusura definitiva, e al risarcimento dei danni per le ferite inferte all’ambiente.

L’ impronta ambientale degli allevamenti intensivi, della sostenibilità ambientale delle produzioni agricole e zootecniche, è al centro del nuovo rapporto del Wwf Enhancing nationally determined contributions (Ndcs) for food systems, insieme con il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, dedicato all’attuazione pratica in campo alimentare dell’Accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni di gas serra.

Attualmente circa il 37% delle emissioni di gas serra sono legate alla produzione di cibo. La valutazione è legata anche al consumo di suoli e dell’acqua, alla distruzione della biodiversità, agli impatti dei cambiamenti climatici sulle produzioni alimentari, e all’accesso al cibo.

I governi hanno la possibilità di concordare un New deal for nature and people, per arrestare la perdita di biodiversità e invertire la rotta. Il primo vertice dei sistemi alimentari dell’Onu si terrà nel 2021; e al momento del lancio il Segretario generale delle Nazioni Unte Antonio Guterres ha ribadito che “la trasformazione dei sistemi alimentari è cruciale per il raggiungimento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.

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