Milano presenta l’Energy Efficiency Report

Efficienza energetica in Italia: modelli di business, soluzioni tecnologiche, vincoli, opportunità di sviluppo

L’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano ha presentato il 9 novembre la 1ª edizione dell’Energy Efficiency Report, utile stru­mento di lavoro per tutti coloro che sono interes­sati al tema dell’efficienza energetica degli edifici, dai progettisti ed installatori agli operatori industriali, ai ricercatori, ai policy ma­kers, ai cittadini.

Ha aperto i lavori Umberto Bertelé, della School of Management del Politecnico di Milano, che ha sottolineato che per riuscire a consumare meno energia e in modo più razionale è necessario guardare il mondo degli edifici. Si tratta certamente di un processo lungo perché in Italia si deve soprattutto intervenire sull’esistente.
La prima edizione del Rapporto è quindi focalizzata sugli edifici – sia residenziali che non (uffici, scuole ed università, ospedali, alberghi e ristoranti, edifici della Grande Distribuzione Organizzata ed edifici industriali) – cui spetta la maggioranza “relativa” (36%) del totale dei consumi energetici nel nostro Paese. L’Italia è al primo posto in Europa per quanto riguarda la percentuale di emissioni di CO2 (17,5% sul totale europeo) imputabile agli usi energetici nel comparto abitativo. Per questi usi, nel nostro paese si emettono annualmente 96 mln ton CO2, mentre nell’intera Comunità Europea vengo­no emessi ogni anno circa 550 mln ton C02.

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I risultati della ricerca sono stati presentati da Vittorio Chiesa, Federico Frattini e Davide Chiaroni dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.
Vittorio Chiesa ha spiegato il nuovo filone di ricerca concentrato sul mondo dell’efficienza energetica in particolare negli edifici eha sottolineato cheper identificare costi/benefici, ‘tastare il pol­so’ del mercato, confrontarsi sui risultati ottenuti e capire dove indirizzare l’attività di incentivazione  “sono state valutate più di 35 soluzioni tecnologiche alternative, un totale di circa 270 scenari di impiego presi in esame per le analisi economiche, quasi 300 im­prese profilate su un campione identificato di oltre 1.900 ed un cospicuo numero (oltre 120) di operato­ri dell’efficienza energetica intervistati direttamente dal gruppo di lavoro”.

Chiesa ha poi analizzato il quadro degli aspetti normativi a livello europeo e in Italia, a partire dal “Pacchetto clima energia 20-20-20” del marzo 2007 – rafforzato ulteriormente nel marzo 2011 – e dal ruolo che l’efficientamento energetico degli edifici deve avere per permettere il rispetto dello stesso Pacchetto. Chiesa ha sottolineato che la Commissione Europea non ha riconosciuto all’obiettivo sul risparmio energetico – unico tra i 3 – il carattere vincolante.

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Per capire quale sforzo sia indispensabile fare per efficientare il nostro patrimonio edilizio basti pensare che il 70% dei circa 13,7 mln di edifici esistenti in Italia è stato realizzato prima che venisse introdotta qualsiasi norma sull’efficienza energetica in edilizia (la prima in Italia è del 1976), e un quarto del patrimonio edilizio non ha mai subito alcun intervento di manutenzione o riqualificazione.

Chiesa ha poi sottolineato che la riduzione dei consumi energetici in Italia è ancora più importante se si tiene conto che il nostro paese si contraddistingue in Eu­ropa per l’elevata dipendenza energetica dall’estero per oltre l’85% del suo fabbisogno di energia pri­maria.

Per quanto riguarda il quadro normativo nazionale, il primo Piano d’Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili (PAEE) italiano è stato emanato nel 2007 e traguardava un risparmio energetico di circa 10,8 mln tep rispetto alle stime tendenziali (fatte considerando l’assenza di interventi di efficientamento) al 2016.
Nel Luglio del 2011 il Governo italiano ha presentato alla Commissione Europea un nuovo PAEE, con un obiettivo di risparmio ancora più ambizioso di circa 16 mln tep al 2020.

L’impegno preso a livello nazionale sembra essere chiaro, ma è nella traduzione degli obiettivi in strumenti concreti di verifica (ossia di certificazione dei consumi energetici), obbligo e incentivazione delle soluzioni di efficienza energetica che il processo – come mette in luce lo studio dell’Energy&Strategy Group – rischia di “incepparsi”.
L’Italia nel 1976 è stata il primo Paese ad introdurre il concetto di isolamento termico minimo necessa­rio e si è posta all’avanguardia su scala internazionale con l’emanazione della Legge n. 10 del 1991 “Norme per l’at­tuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energeti­co e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”. Con due anni di anticipo rispetto alla Direttiva Co­munitaria 1993/76/CE, volta a limitare le emissioni di CO2 ed a migliorare l’efficienza energetica degli edifici, viene introdotto il principio della certifi­cazione energetica degli edifici. Viene stabilito l’obbligo per le Province e Comuni con più di 40.000 abitanti di effettuare controlli periodici, viene introdotto, in linea di principio, l’obbligo per gli edifici pubbli­ci e privati di essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo i consumi di energia termica ed elettrica. Si assegna alla Pubblica Amministrazione un ruolo prioritario per la diffusione delle fonti rinnova­bili di energia o assimilate.
Se sui principi l’Italia si mostra quindi decisamente all’avanguardia, sull’applicazione concreta del det­tato legislativo si possono sollevare parecchi dub­bi: solo nel 2009, con la approvazione delle Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica degli edifici, viene approvata una forma univoca a livello nazionale per l’Attestazione di Certifica­zione Energetica (ACE), che però già a partire dal 1° Gennaio 2007 era obbligatoria per gli edifici di nuova costruzione; la certificazione obbligatoria è ancora limitata ai consumi per la climatizzazione invernale e per la produzione di acqua calda sani­taria, mentre per la climatizzazione estiva è prevista solamente una valutazione “qualitativa” dell’invo­lucro; non è prevista una qualificazione a livello nazionale che individui le caratteristiche dei pro­fessionisti che possono rilasciare l’ACE, ed anzi è ancora ammessa – in deroga a quanto previsto in ambito europeo – a livello generale la possibilità di autocertificazione dell’appartenenza a classe a minore efficienza.  A livello regionale sono solo 4 le Regioni italia­ne (Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia e Piemon­te), cui si devono aggiungere la Provincia autonoma di Trento e quella di Bolzano, a prevedere obblighi specifici per la prestazione energetica degli edifici.

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Chiesa ha poi approfondito il tema degli incentivi, sottolineando che le soluzioni di efficienza energetica sono incentivate essenzialmente attraverso due meccanismi: i Titoli di Efficienza Energetica e le agevolazioni fiscali.
Il meccanismo italiano dei Titoli di Efficienza Energetica (“TEE” o anche detti Certificati Bian­chi) è stata la prima esperienza al mondo di ap­plicazione di strumenti incentivanti e di creazio­ne di un apposito mercato di scambio titoli per la promozione dell’efficienza energetica negli usi finali.

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Le agevolazioni fiscali, che invece ri­ducono l’impatto dell’investimento iniziale, permet­tendone, anche se solo in parte, un recupero ai fini fiscali, nella misura del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici e nella mi­sura del 36% previste per gli interventi di ristrut­turazione edilizia ed il cosiddetto “Piano Casa”. Al momento non è ancora chiaro se nel 2012 la misura della detrazione del 55% sarà prorogata, rimodulata o abbandonata.

Entrambi i meccanismi, nonostante abbiano esercitato sino ad ora un indubbio ruolo propulsivo, risentono del problema di “incentivare” primariamente interventi relativamente “piccoli” e con tempi di rientro modesti, in altre parole sono affetti da uno shortermismo che rende difficili quegli interventi strutturali che invece andrebbero messi in atto per raggiungere gli obiettivi che ci si è posti.

Federico Frattini ha presentato un’analisi delle soluzioni proposte dal Rapporto per l’efficienza energetica negli edifici: Riduzione dei consumi di energia e Riduzione della dipendenza da approvvigionamento, a parità di consumi (autoproduzione da fionte rinnovabile).

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Il Rapporto in particolare analizza le tecnologie impiantistiche (sistemi di illuminazione, elettrodomestici, tecno­logie efficienti per la produzione di energia termica e sistemi di building automation), quelle che inte­ressano la struttura dell’edificio (sostanzialmente chiusure trasparenti e strutture opache, oltre alle soluzioni per la progettazione energeticamente effi­ciente degli edifici) e le tecnologie per la generazio­ne in loco di energia (impianti fotovoltaici, eolici, i sistemi solari termici e le caldaie a biomassa solida).
Per ogni tipologia di soluzione di efficienza energe­tica e per le diverse categorie di edifici (edifici re­sidenziali e non residenziali, tra cui, in particolare, uffici, scuole ed università, ospedali, alberghi e ri­storanti, edifici della GDO ed edifici industriali) si sono identificate e descritte le principali alternati­ve tecnologiche disponibili a livello commerciale.
Per ognuna di esse è stata quindi analizzata la con­venienza economica, sia nel caso di adozione della tecnologia di efficienza energetica in edifi­ci esistenti, sia nel caso di nuove realizzazioni. Il calcolo è effettuato sia in assenza di incentivi, sia considerando l’impatto dei sistemi di incentiva­zione applicabili caso a caso.

Il Rapporto ha cercato di rendere direttamente confrontabili fra di loro le diverse soluzioni per l’efficientamento energetico degli edifici e di comprendere le eventuali reali necessità di incentivazione, mettendone a confronto costi e ritorni.
Le conclusioni permettono di identificare diverse categorie di tecnologie:
• le tecnologie per cui la convenienza “assoluta” si ha già oggi in qualsiasi contesto di adozione, anche in assenza di forme di incentivazione: spiccano l’illuminazione, le soluzioni per il fabbisogno termico degli edifici (le caldaie a condensazione, le pompe di calore, i sistemi di iso­lamento delle coperture e del suolo e le caldaie a biomassa)
• le tecnologie che risultano convenienti soltanto se adottate congiuntamente alla realizzazione di un nuovo edificio (per es. building automation, gli elettrodomestici del freddo, le chiusure vetrate, ecc),
• le tecnologie per cui, indipendentemente dal contesto di riferimento, non vi è la convenienza “assoluta” dell’investimento (per es. le tecnologie di generazione energetica da fonti rinnovabili e le soluzioni di efficienza energetica relative agli elettrodomestici del lavaggio).

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Partendo da queste considerazioni Frattini ha poi presentato le stime del potenziale “teorico” di mercato associato alle diverse tecnologie per l’efficienza energetica ed il verosimile grado di penetrazione che si potrà sperimentare in Italia da qui al 2016. “Così facendo, si offrono al lettore gli strumenti per valutare dei ragionevoli scenari di sviluppo del comparto dell’efficienza energetica negli edifici in Italia e quindi di pianificare al meglio possibili investimenti e nuove attività di business, ed al le­gislatore la possibilità di “progettare” un sistema di supporto che sia coerente con le caratteristiche tecnologiche e di potenziale di ciascuna soluzione tecnologica”.

Il Rapporto ribadisce che la parte più consistente del potenziale di intervento risiede nel nostro parco edilizio residenziale. Il 73% degli oltre 148 TWh elettrici complessiva­mente risparmiabili e l’88% dei quasi 654 TWh termici che possono essere il risultato di interventi di riduzione dei consumi sono infatti da imputarsi agli edifici residenziali.

Trasformando i  TWh in tep, il potenziale teorico derivante dall’adozione di soluzioni di efficientamento energetico in Italia da qui al 2016 (senza tener conto di quanto già è stato fatto sino al 2011) è pari complessivamente a circa 44 mln tep. Si tratta di un valore molto più  elevato (circa 3 volte tanto) dei circa 16 mln tep che l’Ita­lia si è posta come obiettivo nel Piano d’Azione per l’Efficienza Energetica (PAEE) che è stato approvato nel 2011.

Se si guarda alle stime di penetrazione invece, per quanto riguarda i consumi elettrici la riduzione che si ritiene possa essere ragionevolmente acquisita da qui al 2016 attraverso l’adozione di soluzioni di efficientamento energetico è pari a 21,6 TWh, ossia solo poco più del 14% del potenziale teorico; il risparmio energetico invece imputabile ad azioni di efficientamento dei consumi termici può essere ragionevolmente stimato in 118 TWh termici, circa il 18% (ossia appena più significativo del caso elettrico) del potenziale teorico.

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Se si traducono le stime di penetrazione in mln tep e si considera anche la “base installata” al 2011 l’Energy Efficiency Report conclude che l’impatto dell’adozione delle tecnologie per l’efficienza energetica potrà ragionevolmente essere pari a 21,5 mln tep, oltre il 30% in più rispetto al valore soglia definito nel PAEE.

Appare possibile, quindi, fare dell’Italia un Paese all’avanguardia per l’efficienza energetica negli edifici. E’ necessario tuttavia superare le logichedi “omogenea” distribuzione delle risorse a favore di una maggiore “equità”, ossia di una corrispondenza fra il “peso” (economico o impositivo) della misura e l’effettivo contributo (in termini di potenziale di risparmio) all’obiettivo che si intende realizzare.

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Davide Chiaroni ha chiuso i lavori presentando le Energy Service Companies (ESCo), ovvero i soggetti deputati alla promozione dell’efficienza energe­tica negli usi finali, riconosciute come tali a livel­lo europeo dalla Direttiva Europea 2006/32/CE e a livello italiano dal suo recepimento con il Decreto Legislativo n. 115 del 30 Maggio 2008.
L’analisi ha evidenziato che a Settembre 2011, erano oltre 1.900 le imprese “accreditate” come ESCo presso l’Autorità per l’E­nergia Elettrica e il Gas (AEEG).
Chiaroni ha sottolineato due aspetti in  particolare:
• l‘estrema frammentazione de­gli interventi, con più del 50% dei progetti realiz­zati dalle ESCo (e per cui si è chiesta l’emissione di TEE) relativi a risparmi energetici inferiori a 200 tep/anno.
• la frammentazione dell’offerta, con il volume d’affa­ri generato che è “equamente” diviso fra un 5% di ESCo di grandi dimensioni ed il restante 95% di imprese medie e piccole (nel 60% con meno di 10 addetti).
Dal rapporto infine emerge che sono poche le ESCo che adot­tano sistemi contrattuali “evoluti” di tipo EPC (Energy Performance Contracting) che obbligano la ESCo alla cura ed al coordinamento di tutte le attività volte alla progetta­zione, realizzazione, gestione e manutenzione dell’in­tervento individuato, attraverso l’assunzione su di sé del rischio tecnico e, a seconda delle diverse varianti, anche del rischio finanziario e della garanzia in senso tecnico-giuridico circa l’effettivo raggiungimento del livello di risultato ipotizzato. La peculiarità del mec­canismo contrattuale EPC sta nel fatto che la ESCo viene remunerata sulla base dei risultati effettivi che il cliente consegue attraverso l’implementa­zione e l’ammodernamento della tecnologia, degli impianti e delle strutture esistenti.

La maggiore “apertura” del sistema bancario, in­dispensabile per sostenere i necessari investimenti di ammodernamento, è tuttavia un prerequisito indispensabile dello sviluppo ed anche una delle principali problematiche al momento lamentate dagli operatori del settore.
“Oltre ad evolvere nel loro rapporto contrattuale con il cliente, tuttavia, le ESCo – secondo quanto emerge dalla nostra indagine – dovrebbero puntare di più sulla “integrazione” dei servizi offerti, con un pac­chetto di tecnologie e soluzioni che rispondano in maniera sempre più specifica alle esigenze non solo di riduzione dei consumi ma anche di generazione in loco di energia”.

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