I Cool Roofs

Soluzione innovativa per il risparmio energetico in edilizia

I cool roofs sono tetti contraddistinti da elevata capacità di riflettere l’irradiazione solare incidente e, al contempo, di emettere energia termica nell’infrarosso. Essi possono fornire un’efficace soluzione al problema del surriscaldamento estivo dei singoli edifici e delle grandi aree urbane.
In California e in altri Stati degli U.S.A. i cool roofs sono da molti anni oggetto di analisi tecnico-economiche estensive e, più recentemente, di attività di certificazione e regolamentazione. In Italia, invece, sebbene le condizioni climatiche di buona parte della penisola siano tali da rendere conveniente l’installazione di cool roofs, questi sembrano sconosciuti ai più. Studi in materia sono stati perciò avviati dal Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Civile di Modena.
In questa relazione si illustra il funzionamento dei cool roofs dal punto di vista fisico. In particolare, si analizzano gli effetti che le diverse proprietà emissive hanno sulle temperature raggiunte dal tetto e sul calore che lo attraversa. Si delineano inoltre i principali programmi di attestazione delle proprietà e di incentivazione avviati degli U.S.A. e la situazione di mercato.

INTRODUZIONE
Un cool roof, in italiano “tetto freddo”, è un tetto contraddistinto da un valore elevato dell’albedo, cioè della capacità di riflettere l’irradiazione solare incidente, combinato con un elevato valore dell’emissività nell’infrarosso, che consente al tetto di restituire all’atmosfera, mediante irraggiamento termico, la maggior parte della frazione assorbita dell’irradiazione solare.
In pratica, un cool roof può essere ottenuto applicando alla superficie del tetto uno strato di ricoprimento superficiale esterno con colore molto chiaro, preferibilmente bianco, e con carattere non metallico. Un tipo di copertura con simili proprietà può fornire una soluzione sia al problema del surriscaldamento estivo degli edifici, con i suoi negativi effetti sul benessere termoclimatico, sia al correlato problema dell’isola di calore urbana, l’aumento di temperatura rispetto alle campagne circostanti che in estate caratterizza le aree altamente urbanizzate. Si possono quindi avere vantaggi diretti, connessi al minore riscaldamento del tetto e, di conseguenza, al maggiore comfort termico interno, ai minori consumi energetici e costi di impianto per condizionamento ed al più lento degrado delle strutture edilizie, e vantaggi indiretti, consistenti in una riduzione del surriscaldamento urbano e del conseguente fenomeno dello smog fotochimico, con i costi sociali e sanitari a questi correlati, nonché in minori consumi  energetici globali, inferiori carichi di picco sulla rete elettrica e più ridotta immissione di gas serra in atmosfera.
Negli U.S.A., la diffusione dei cool roofs è oggi promossa da svariate amministrazioni ed organizzazioni pubbliche, specialmente in California e in Florida. In particolare,sulla scorta dei risultati largamente positivi di alcune sperimentazioni, effettuate da centri di ricerca governativi ed universitari, sono stati avviati programmi di attestazione delle prestazioni delle coperture e, in alcuni casi, di incentivazione normativa ed economica alla loro adozione. In California, una significativa accelerazione si è recentemente avuta in seguito ai black-out estivi innescati dall’azionamento simultaneo, nelle ore più calde della giornata, degli impianti di condizionamento e dal conseguente sovraccarico della rete elettrica.
Sul fronte della ricerca, si sono dimostrati particolarmente attivi centri come il Federal Solar Energy Center (FSEC) in Florida, o il Building Technology Center dell’Oak Ridge National Laboratory (BTC-ORNL) ed il Lawrence Berkeley National Laboratory (LBNL) in California. Questi centri, oltre che effettuare analisi teoriche estensive, hanno strumentato e monitorato un numero consistente di edifici (capannoni industriali, centri commerciali, scuole, abitazioni, centraline per telecomunicazioni, ecc.) dotati di tipi differenti di copertura, o anche di coperture realizzate a settori con caratteristiche diversificate. Gli studi svolti hanno dimostrato che i cool roofs possono permettere riduzioni dei consumi per condizionamento e dei carichi elettrici di picco fino anche al 70%.
Sul fronte della certificazione, il principale punto di riferimento è oggi il Cool Roof Rating Council (CRRC),
un’organizzazione formata nel 1998 e che ha realizzato un programma di attestazione obiettiva delle proprietà emissive dei prodotti commerciali per copertura degli edifici, sia nuovi che invecchiati. Le procedure di attestazione del CRRC sono ormai assunte a standard da molte amministrazioni U.S.A.
Una delle prime iniziative di promozione dei cool roofs è venuta dall’Environmental Protection Agency (EPA) degli U.S.A. attraverso una specifica azione del programma Energy Star, un progetto federale finalizzato all’incentivazione su base volontaria del risparmio energetico e che consente di apporre uno specifico logo a prodotti con caratteristiche di efficienza energetica certificate. In particolare, nel 1998 è stato avviato l’Energy Star Roof Product Program, in base al quale possono essere etichettate con il logo Energy Star soluzioni di copertura che garantiscano albedo sempre superiore a valori prestabiliti, sia all’installazione che dopo un certo periodo di tempo. Le specifiche Energy Star sono state successivamente rese obbligatorie da svariate amministrazioni locali degli U.S.A, alcune delle quali hanno anche incentivato economicamente l’installazione di cool roof. Ad esempio, la California ha lanciato nel 2001 un programma con incentivi fino a 0.25 $/ft2 (2.15 $/m2).
Al momento, si sta sviluppando negli U.S.A. un fiorente giro di affari non solo sulle opere di installazione, ma anche sull’ottimizzazione dei materiali di ricoprimento e sulle attività di valutazione tecnico-economica e di attestazione delle proprietà emissive, a prodotto sia nuovo che invecchiato.
Infatti, è riduttivo pensare che un cool roof si ottenga semplicemente verniciando con un colore chiaro la superficie di un tetto, poiché la relazione tra aspetto esteriore e valori delle proprietà emissive non è banale e, inoltre, vanno adeguatamente considerate una serie di problematiche quali la resistenza allo sporcamento e al degrado chimico-fisico, l’impatto visivo o la perdita degli apporti gratuiti invernali.
In Italia, le condizioni climatiche di buona parte della penisola non sono molto diverse da quelle delle regioni U.S.A. in cui i cool roofs vanno affermandosi. Ciononostante, il concetto di cool roof rimane sconosciuto ai più, non esclusi larga parte degli operatori del settore energetico ed edile. In zone dal clima particolarmente caldo i principi di base sono già applicati in modo più o meno inconsapevole (in tutto il Mezzogiorno, il colore dominante nei piccoli centri rurali è tuttora il bianco), ma mancano analisi teoriche e pratiche approfondite sulle problematiche scientifiche e tecnologiche, così come mancano criteri standardizzati di valutazione dei benefici economici potenziali o programmi di normazione ed incentivazione. In risposta a queste esigenze, l’unità di ricerca in Fisica Tecnica Industriale del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Civile di Modena ha recentemente intrapreso studi estensivi sui cool roofs, con particolare riferimento all’analisi dei processi termocinetici di base e alla loro modellazione matematica, alla misura delle proprietà emissive superficiali di interesse, alla previsione dei vantaggi in termini di comfort termoclimatico, risparmio energetico ed impatto ambientale.
Questa relazione si colloca nel contesto sopra illustrato. Al suo interno, si descriverà il funzionamento dei cool roofs dal punto di vista fisico. Si presenterà quindi la situazione corrente negli U.S.A., passando in rapida rassegna i programmi di certificazione ed incentivazione e le tipologie di prodotti sul mercato. Infine, si delineeranno le attività di studio in corso presso il DIMeC.

TERMOCINETICA DEI COOL ROOFS
Albedo ed emissività
Per comprendere il funzionamento di un cool roof, è opportuno analizzare i processi di scambio termico che interessano il piano di copertura di un edificio soggetto ad irradiazione solare. Tali processi sono schematizzati in fig. 1.
L’energia termica irradiata dal sole ed incidente sulla superficie esterna del tetto è in parte riflessa, in parte assorbita.
Il rapporto tra flusso termico solare incidente, G [W/m2], e frazione riflessa dello stesso, Gr [W/m2], è dato dall’albedo della superficie irradiata, r, vale a dire dal suo coefficiente di riflessione della radiazione solare (diverso quindi dal coefficiente di riflessione totale, cioè quello relativo a tutto lo spettro della radiazione elettromagnetica termica).
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La radiazione solare si concentra nelle bande spettrali dell’ultravioletto, del visibile e dell’infrarosso vicino . La sua intensità, cioè il flusso termico che investe la superficie irradiata, dipende dalla latitudine locale, dal giorno nell’anno, dall’ora nel giorno e dalle condizioni di copertura del cielo.

Fig. 1: Processi di scambio termico di un tetto piano
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Per effetto dell’assorbimento della radiazione solare incidente, il tetto si riscalda e restituisce energia termica all’atmosfera attraverso la sua superficie esterna. La cessione di calore avviene per convezione e per irraggiamento. Nel caso del primo meccanismo, il flusso termico netto scambiato, qconv [W/m2], può essere correlato linearmente alla differenza tra temperatura superficiale esterna del tetto, Tsup,est [K], e temperatura dell’aria atmosferica, Test [K], attraverso un coefficiente di scambio termico convettivo, hconv [W/(m2K)]:

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A qconv va aggiunto il flusso termico netto scambiato per irraggiamento termico, qrad [W/m2], che è il bilancio netto tra flusso termico emesso dalla superficie del tetto verso il cielo o, più precisamente, verso la soprastante atmosfera, e flusso termico ceduto dall’atmosfera alla superficie del tetto. Questo meccanismo di scambio termico riguarda le bande spettrali dell’infrarosso medio e lontano, ben distinte quindi da quelle dell’irradiazione solare, poiché le temperature del tetto e dell’atmosfera sono molto minori di quelle della superficie solare (attorno a 300 K contro circa 5800 K).
Anche qrad può essere correlato ad una differenza di temperatura, quella tra temperatura superficiale del tetto, Tsup,est [K], e temperatura del cielo, Tcielo [K], attraverso un coefficiente di scambio termico radiativo, hrad [W/(m2K)].
Siccome, in una giornata estiva calda ed umida, la temperatura del cielo è approssimabile alla temperatura che l’aria atmosferica assume in prossimità del suolo, si può verificare che:

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Il coefficiente di scambio termico radiativo può essere stimato attraverso la relazione:
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In quest’ultima eq. si è indicata con e l’emissività della superficie nell’infrarosso medio e lontano (diversa quindi dall’emissività totale, cioè quella relativa a tutto lo spettro della radiazione elettromagnetica termica). L’infrarosso medio e lontano sono le bande spettrali cui si concentra la radiazione elettromagnetica termica emessa dal tetto e, più in generale,  quella emessa da tutti i corpi solidi a temperatura prossima a quella ambiente. Il coefficiente σ0 è la costante di Stefan-Boltzmann [5.67×10-8 W/(m2K4)].
L’emissività costituisce il rapporto tra il flusso termico che la superficie in esame effettivamente emette verso l’esterno (cioè verso l’atmosfera) ed il massimo flusso termico che può essere teoricamente emesso alla temperatura della superficie.
Ciò consente di definire un valore limite per il coefficiente di scambio termico radiativo, hrad,max, dipendente solo indirettamente dalle caratteristiche della superficie. Al coefficiente hrad,max può essere poi correlato, attraverso l’emissività, il coefficiente di scambio termico radiativo riferito alla superficie in esame, hrad:

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Combinando le eq. (2)-(3) si ottiene che il flusso termico netto scambiato tra superficie del tetto ed atmosfera esterna all’edificio è valutabile come segue:

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Tramite le relazioni semi-empiriche comunemente reperibili in letteratura è agevole verificare che, per edifici di normali dimensioni ed in assenza di vento (situazione usuale nelle afose giornate estive), hconv assume valori inferiori a 2:3 W/(m2K). Di contro, hrad,max assume valori sempre maggiori di 6:7 W/(m2K). Ne consegue che, negli scambi termici tra tetto ed atmosfera esterna, l’irraggiamento è in generale dominante, specialmente se l’emissività superficiale del tetto è elevata.
In definitiva, il flusso termico conduttivo che attraversa la superficie del tetto, qsup,est [W/(m2K)], è dato dal bilancio della radiazione solare non riflessa (assorbita) e degli scambi termici con l’atmosfera per convezione ed irraggiamento:

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La frazione dell’irradiazione solare incidente che viene assorbita dal tetto diminuisce all’aumentare dell’albedo, r. Inoltre, l’energia termica restituita dal tetto all’atmosfera per irraggiamento nell’infrarosso aumenta all’aumentare dell’emissività, e. Pertanto, un tetto la cui superficie esterna presenta valori elevati sia dell’albedo, vale a dire del coefficiente di riflessione in campo ottico, sia dell’emissività in campo infrarosso, è un tetto che si riscalda poco – cioè un cool roof.

Relazione tra proprietà emissive superficiali e riscaldamento degli edifici
L’impatto che le proprietà emissive superficiali della copertura (albedo ed emissività) hanno sul riscaldamento di un edificio, in particolare sul flusso termico trasmesso al suo interno, può essere stimato agevolmente per condizioni termiche stazionarie. Si noti che l’assunzione di stazionarietà è plausibile solo in primissima approssimazione e per strutture edilizie con ridotta inerzia termica, ma appare comunque adeguata agli scopi di questa trattazione.
Il flusso termico che attraversa la superficie esterna di un tetto, valutabile tramite l’eq. (7), in condizioni stazionarie deve attraversare anche tutti gli strati sovrapposti di materiale che costituiscono il tetto suddetto (catramatura, isolamento termico, solai in cemento o laterizio, intonaco, eventuali intercapedini, ecc.), per essere infine trasmesso ai locali sottostanti. Da tali locali dovrà essere estratto mediante un impianto di condizionamento, pena un progressivo riscaldamento dell’aria interna e delle strutture edilizie. Assegnati la resistenza termica del tetto riferita all’unità di superficie, R [m2K/W], il coefficiente di scambio termico adduttivo (convettivo e radiativo) alla superficie interna del tetto, hint [W/(m2K)], tipicamente poco variabile, e la temperatura interna dei locali sottostanti il tetto, Tint [K], la relazione seguente consente di calcolare il flusso termico q [W/m2] che attraversa il tetto:

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Un aumento dell’albedo r comporta una proporzionale riduzione del secondo addendo a numeratore e, quindi, del flusso termico q. Analogo effetto si ha all’aumentare dell’emissività e. Un aumento dell’emissività comporta anche un incremento del primo termine a denominatore, ma si può verificare che questo incremento è percentualmente piccolo se si è in presenza di un isolamento termico anche blando (incluso nella resistenza termica R).
Incrementando la resistenza termica data dall’isolamento, si riduce il flusso termico trasmesso, ma si ha anche un aumento della temperatura superficiale esterna del tetto, valutabile tramite la relazione:

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Maggiori temperature degli strati più esterni del tetto comportano un più veloce degrado chimico-fisico dei materiali, nonché maggiori sollecitazioni a fatica delle strutture per le dilatazioni e contrazioni connesse ai cicli termici.
In fig. 2 e fig. 3 si presentano i risultati ottenuti applicando l’eq. (8) e l’eq. (9) ad una soluzione di copertura come quelle usualmente utilizzate in capannoni industriali ed edifici per servizi collettivi, costituita da un solaio orizzontale in cemento armato rivestito superiormente da uno strato di isolante termico a bassa densità. Il rivestimento isolante è generalmente protetto contro gli agenti atmosferici da una guaina catramata. Le condizioni ambientali considerate sono quelle medie di una tipica giornata estiva emiliana: la temperatura ambiente esterna, Test, è assunta pari a 30°C, l’irradiazione solare, G, a 500 W/m2. Nell’ambiente di sottotetto viene mantenuta una temperatura di 25°C.

Figura 2. Flusso termico attraverso la copertura.
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Figura 3. Temperatura superficiale esterna della copertura
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Una guaina catramata, generalmente nera o comunque di colore molto scuro, può presentare un’albedo estremamente ridotta, pari al valore di 0.05 considerato nei calcoli o persino inferiore. Ciò significa che il 95% ed oltre della radiazione solare incidente viene assorbita dal tetto, causandone il surriscaldamento (fig. 3) e la trasmissione di un consistente flusso termico q agli ambienti sottostanti (fig. 2).
Incrementando la resistenza dell’isolamento termico, R, si ha un minore flusso termico trasmesso, ma anche un aumento della temperatura superficiale esterna, Tsup,est, con ciò che questo comporta in termini di degrado della guaina catramata e del materiale isolante o di sollecitazione termomeccanica a fatica delle strutture del tetto. A poco vale il fatto che la guaina, come tutti i materiali non metallici, presenti un’emissività termica elevata, poiché il calore rilasciato all’atmosfera esterna per convezione e irraggiamento non basta a compensare quello assorbito per irradiazione solare.
Va peraltro rilevato che, perché nell’edificio possa essere mantenuta la temperatura interna prefissata Tint (25°C), il flusso termico trasmesso deve essere estratto tramite un opportuno impianto di condizionamento. In caso contrario, la temperatura interna deriverebbe progressivamente verso l’alto, e con essa la temperatura del tetto, finché non venga raggiunta una condizione di equilibrio tale che il calore ceduto all’atmosfera per convezione ed irraggiamento uguagli l’irradiazione solare assorbita. In ogni caso, l’energia termica apportata al tetto dall’irradiazione solare assorbita e che viene quindi ceduta per convezione ed irraggiamento va a contribuire pressoché integralmente al riscaldamento dell’aria in prossimità del suolo, cosa che non si verifica per l’irradiazione solare riflessa. Ne consegue che una superficie di copertura poco riflettente può essere deleteria non solo dal punto di vista del benessere termoclimatico e dei consumi energetici locali, ma anche per ciò che concerne l’isola di calore urbana.
Per riflettere la radiazione solare incidente, si potrebbe pensare di rivestire superiormente il tetto con una lastra metallica lucida (a prescindere dalla possibilità di mantenerla tale nel tempo). I diagrammi in fig. 2 e fig. 3 dimostrano però la scarsa efficacia di tale soluzione, che sarebbe caratterizzata da un’albedo relativamente elevata (r=0.61), ma anche da una ridotta emissività (e=0.25). Ne risulterebbe una frazione assorbita dell’irradiazione solare molto più ridotta che in presenza di una guaina catramata, ma anche una minore cessione di energia all’atmosfera esterna per irraggiamento termico. In definitiva, sia il flusso termico trasmesso all’interno dell’edificio, sia le temperature raggiunte dal tetto non cambierebbero sostanzialmente.
La situazione si modifica radicalmente se la lastra metallica precedentemente considerata viene ricoperta con un strato di vernice bianca, in modo da togliere alla superficie il carattere metallico ed incrementare l’emissività, lasciando però invariato o incrementando leggermente il valore dell’albedo.
Un risultato anche migliore si può ottenere sostituendo o sovrapponendo ad una guaina catramata un ricoprimento in gomma bianca oppure una copertura di piastrelle ceramiche bianche. Entrambe le soluzioni configurano un cool roof in quanto producono una riduzione del flusso termico trasmesso comparabile a quella ottenuta adottando uno spessore consistente di isolante termico, ma con temperature delle strutture del tetto molto più contenute. Inoltre, dal punto di vista dell’isola di calore, solo l’energia termica connessa alla frazione assorbita dell’irradiazione solare viene poi trasferita all’aria in prossimità del suolo, mentre la frazione riflessa va ad interessare l’atmosfera ad alta quota e lo spazio esterno.
In sintesi, la scelta di materiali con valori appropriati dell’albedo e dell’emissività sembra relativamente semplice.
Va tuttavia rilevato che superfici a prima vista simili tra loro possono presentare proprietà emissive anche molto diverse.
Oltre a ciò, il mantenimento dei valori iniziali delle proprietà emissive costituisce uno dei principali problemi tecnologici
dei cool roof. Nel tempo, la superficie del tetto si sporca o si incrosta. Inoltre, le vernici ed i ricoprimenti di natura organica possono subire modificazioni della composizione chimica, per effetto dei surriscaldamenti, della radiazione ultravioletta, di azioni biologiche o dell’infiltrazione di umidità, con tendenza a cambiare colore. Ciò non va a modificare significativamente l’emissività, ma può avere un impatto drammatico sull’albedo.
Maggiori dettagli sull’argomento sono forniti nel seguito.
Va infine rilevato che l’adozione di un cool roof presenta i massimi benefici in situazioni climatiche prevalentemente calde o, quantomeno, caratterizzate da estati calde e afose. Nel riscaldamento invernale, si ha una perdita degli apporti energetici gratuiti del sole, che in certi climi può ridurre molto ed anche annullare la convenienza economica dei cool roofs.

SITUAZIONE NORMATIVA E COMMERCIALE

La principale iniziativa volta alla certificazione dei materiali per cool roofs è il Product Rating Program del Cool Roof Rating Council (CRRC). Con tale programma si sono introdotte procedure uniformi e rigorose di attestazione delle proprietà emissive dei materiali. Le procedure sono basate sull’utilizzo di standard di misura ben definiti, per l’albedo gli ASTM E903, ASTM E1918 o ASTM C1549, per l’emissività l’ASTM C1371 [18]. Le misure vanno effettuate su prodotti sia nuovi che invecchiati e si devono svolgere presso laboratori accreditati, cioè formalmente riconosciuti dal CRRC per aver dimostrato la loro competenza tecnica.
I fabbricanti ed i rivenditori che sottopongono i propri prodotti al percorso di certificazione previsto dal CRRC possono ottenere l’autorizzazione all’utilizzo di un’etichetta depositata, che attesta i valori misurati delle proprietà emissive, quelle iniziali e (se disponibili) quelle dopo invecchiamento.
Per i prodotti commerciali fabbricati in grandi volumi, le procedure CRRC prevedono che nove campioni di materiale, prelevati, a gruppi di tre, da tre distinti lotti di  produzione ed appositamente preparati, siano caratterizzati presso un laboratorio accreditato, al fine di misurare i valori iniziali delle proprietà emissive. I nove campioni vanno successivamente distribuiti, a gruppi di tre, in tre Test Farm approvate e con situazioni climatiche differenziate (calda/umida, fredda/temperata e calda/secca), ove devono essere sottoposti ad un processo di invecchiamento della durata di almeno tre anni. A conclusione di tale processo, i campioni vanno nuovamente caratterizzati presso un laboratorio accreditato. I risultati di tutte le misure devono essere comunicati al CRRC, che si riserva di svolgere ulteriori analisi, effettuate su campioni ottenuti attraverso la rete di distribuzione commerciale dei fabbricanti e rivenditori, ed eventualmente di revocare le certificazioni già concesse se vengono rilevate gravi difformità.
Il CRRC non prescrive i valori delle proprietà emissive, ma solo le modalità per verificarli. Indicazioni precise sulle prestazioni minime che un cool roofs deve garantire sono state invece fornite fin dal 1998 dall’Environmental Protection Agency (EPA) e dal Department of Energy (DOE) degli U.S.A. attraverso l’Energy Star Roof Product Program, un programma federale finalizzato all’incentivazione su base volontaria dei cool roofs. Il programma prevede infatti che possano essere etichettate con il logo Energy Star soluzioni di copertura per tetti a bassa inclinazione che garantiscano albedo maggiore o uguale a 0.65 a prodotto nuovo, e maggiore o uguale a 0.50 dopo tre anni di invecchiamento. La verifica deve essere fatta per tre distinte installazioni, di cui almeno una collocata in una grande area metropolitana, secondo modalità analoghe a quelle previste dal CRRC. Le indicazioni sopra delineate sono state recepite e rese talora obbligatorie da alcune amministrazioni locali degli
U.S.A. come, ad esempio, la città di Chicago.
Nell’ambito dell’Energy Star Roof Product Program non si fornisce alcuna prescrizione circa l’emissività, che si è invece visto essere fondamentale dal punto di vista del surriscaldamento delle superfici irradiate. Pertanto, molte amministrazioni degli U.S.A. come, ad esempio quelle della California, della Georgia e della Florida, oltre a porre limiti più stringenti per l’albedo, prescrivono valori minimi da conseguire anche per l’emissività.
In generale, gli impulsi che le diverse amministrazioni hanno dato, e continuano a dare, all’adozione di cool roofs si attuano, oltre che in termini di esplicito obbligo all’installazione per edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazione.
integrale, sotto forma di prescrizioni di isolamento termico più stringenti in caso di mancata installazione, o anche di contributi economici riconosciuti a chi converte in cool roof un tetto preesistente.
Sulla spinta sia dei programmi di incentivazione, sia di una ormai acquisita consapevolezza da parte di costruttori, fornitori e committenti del settore edile, la varietà e la disponibilità di materiali adatti alla realizzazione di cool roof, cioè contraddistinti da proprietà emissive adeguate e durevoli, è oggi negli U.S.A. assai ampia. È infatti possibile reperire soluzioni commerciali per tipologie di copertura di ogni genere:
• vernici
• guaine bituminose
• ricoprimenti in lattice
• ricoprimenti in granigliato
• lastre metalliche verniciate
• piastrelle ceramiche o in cemento
Alcuni dei prodotti distribuiti sul mercato nordamericano presentano valori iniziali dell’albedo e dell’emissività anche molto elevati, rispettivamente superiori a 0.85 e a 0.90 (si tratta solitamente di prodotti con colore bianco o molto chiaro). Molti prodotti sono già stati sottoposti a tutte procedure di certificazione Energy Star o previste dal CRRC e sono per essi disponibili dati sulle proprietà emissive sia a nuovo che dopo invecchiamento, raccolti in archivi informatici di pubblico dominio.

CONSIDERAZIONI DI PROSPETTIVA
L’entità dei benefici locali e globali, di ordine termoclimatico, energetico, economico ed ambientale, che possono derivare dall’adozione di un cool roof dipende, oltre che dalle proprietà emissive superficiali e dalla loro durata nel tempo, da una molteplicità di altre variabili e condizioni, intrinseche e al contorno:
• la tipologia di copertura
• le caratteristiche generali dell’edificio
• la collocazione urbanistica
• le condizioni climatiche tipiche della zona di intervento, sia estive che invernali
• la presenza di eventuali vincoli storico-artistici o paesaggistici
L’interazione tra le diverse problematiche si presenta in generale complessa. La convenienza effettiva di un cool roof è quindi fortemente variabile e di valutazione non immediata.
Sono tra l’altro possibili situazioni in cui i benefici diretti all’utenza finale sono relativamente ridotti, al limite nulli, ma sono invece consistenti quelli per la collettività. In tali situazioni, entrano in gioco ulteriori fattori di condizionamento quali l’imposizione normativa e la presenza di programmi di incentivazione economica. Tutte queste problematiche sono state ampiamente affrontate negli U.S.A., ove si sta assistendo alla progressiva definizione di un quadro normativo organico e al contestuale sviluppo di un’offerta commerciale ampia e diversificata.
La situazione vigente in Italia è, purtroppo, molto diversa. D’altro canto, sulla base delle condizioni climatiche esistenti è ragionevole presumere che l’adozione diffusa di cool roofs possa offrire vantaggi economici e sociali significativi in buona parte del territorio nazionale, specialmente se si considerano la sfavorevolissima situazione energetica italiana, la crescente diffusione degli apparati per condizionamento estivo ed i problemi recentemente sollevati da inquinanti come l’ozono, la cui formazione è direttamente correlata al surriscaldamento delle aree urbane. In considerazione di tutto ciò, l’unità di ricerca in Fisica Tecnica Industriale del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Civile di Modena si è proposta di portare i cool roofs all’attenzione degli operatori del mondo politico, della ricerca scientifica e del settore edile, avviando a tal scopo una serie di iniziative:
• diffusione del concetto di cool roof mediante presentazioni, partecipazione a convegni e seminari, pubblicazioni sia scientifiche che divulgative
• esecuzione di studi di carattere energetico ed economico, finalizzati a sollecitare e supportare gli enti locali nella eventuale formulazione di un quadro normativo
• implementazione di un laboratorio per la caratterizzazione delle proprietà emissive dei materiali
• esecuzione di ricerche sui materiali, eventualmente in collaborazione con aziende che vogliano formulare un’offerta commerciale specifica
• esecuzione di verifiche sperimentali in contesti rappresentativi, dal punto di vista climatico, funzionale e urbanistico, di zone e situazioni di particolare rilevanza
Ad esemplificazione delle attività pianificate, è attualmente in itinere uno studio su un edificio del campus della Facoltà di Ingegneria di Modena, adibito a laboratorio. L’edificio, privo di apparati di condizionamento dell’aria, presenta problemi di surriscaldamento estivo molto seri, che lo rendono pressoché inabitabile. La causa risiede nella struttura del tetto, simile a quella schematizzata in fig. 1 e con protezione superficiale dalle intemperie data da una guaina catramata nera. È peraltro verosimile che problemi simili siano frequenti, essendo i capannoni industriali solitamente realizzati con analoghe modalità. Analisi teoriche al calcolatore hanno mostrato che la situazione migliorerebbe drasticamente in presenza di un cool roof, la cui installazione è stata quindi progettata per l’estate entrante. Prima dell’intervento, l’edificio sarà adeguatamente strumentato e la sua situazione termoclimatica monitorata con continuità, in modo da verificare e quantificare i miglioramenti ottenuti e poterli quindi estendere a casistiche analoghe.

Giovanni S. Barozzi, Mauro A. Corticelli Alberto Muscio, Paolo Tartarini
Dip. di Ingegneria Meccanica e Civile, Università di Modena e Reggio Emilia

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