Il mestiere dell’architetto

Il futuro per gli architetti è incerto e in salita? E’ necessario cambiare atteggiamento, riappropriarsi della dimensione sociale, essere capaci di anticipare il cambiamento anziché subirlo

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Praticare l’architettura in Italia è un mestiere più complicato e difficile che altrove e il futuro è decisamente in salita. La difficoltà deriva principalmente dal declino, che sembra inarrestabile, del progetto inteso nella sua capacità di anticipare ciò che verrà. L’iper-legislazione, i deliri burocratici e normativi, invece che regolarlo, sostituiscono il progetto con una noiosissima produzione di carte inutili che annullano inesorabilmente ogni possibilità di un futuro migliore. Il risultato è un decadimento culturale di cui tutta la società contemporanea è responsabile, ognuno per la propria parte. Compresi gli architetti. Un fosso ha sempre due rive, amava ripetermi spesso mio nonno. Un decadimento che non produce nulla di buono, sia per il mestiere, in costante declino, sia per l’ambiente costruito, che sta raggiungendo il punto più basso della storia, sia per la stima della capacità dell’architettura di risolvere i problemi della vita quotidiana, a cui ormai non crede più nessuno.

Continuare a piangerci addosso, ad attribuire colpe sempre a qualcun altro, o rimembrare i bei tempi andati, non solo non serve a nulla, ma peggiora la situazione a tal punto da renderla irrecuperabile.

Che cosa possa fare l’architetto nel futuro prossimo per evitare questo declino, che sembra inarrestabile, mi è abbastanza chiaro. Il mestiere è profondamente cambiato, e non possiamo pensare di cambiare le cose se cambiamo il modo con cui le facciamo.

L’architetto deve uscire dalla torre dorata in cui si è rinchiuso per riappropriarsi della propria dimensione sociale, riacquisire il proprio ruolo nella società contemporanea. Ascoltare le necessità di chi abita la città e il paesaggio, arricchire la conoscenza per divenire più preparato a risolvere problemi complessi e nuovi, essere capace di anticipare il cambiamento anziché subirlo, dare il suo contributo di creatività e innovazione per arricchire la vita della comunità di spazi e forme belle, utili, sicure. Essere ricercato per la capacità di progettare invece che per ottenere un permesso a costruire o scaltro a risolvere un inghippo burocratico.

Una ricerca dell’università di Oxford del 2013 sostiene che entro i prossimi venti anni, quindi entro il 2033, il 50% dei lavori ad oggi esistenti scompariranno. Il tema dell’intelligenza artificiale, o meglio dell’apprendimento automatico, è un fenomeno recente nella storia della civiltà umana. E’ stato ideato circa venti anni orsono per compiti molto semplici tipo il riconoscimento automatico del codice di avviamento postale nelle buste per arrivare ora a impegni più complessi fino all’impiego nella medicina. Il processo di sostituzione è molto semplice: la lettura dei dati iniziali e la loro elaborazione per ottenere una diagnosi è molto più preciso e infinitamente più veloce della mente umana che l’ha generato. Nel corso di un’intervista recente perfino Bill Gates, uno dei principali attori dello sviluppo delle macchine, ha affrontato il tema della sostituzione dell’uomo con l’apprendimento automatico all’interno dei processi. Gates sembra avere le idee piuttosto chiare su come gestire economicamente quest’aspetto, proponendo una “robot tax” che metterebbe sullo stesso piano – fiscale – l’uomo e la macchina secondo il principio del “chi lavora deve pagare le tasse”. La proposta è certamente provocatoria, ma mette in evidenza l’importanza del tema per l’equilibrio del futuro dell’umanità.

Purtroppo anche l’architettura non è immune dallo sviluppo dell’apprendimento automatico: il settore del design parametrico è in costante ascesa e promette una maggiore efficienza ed efficacia del processo di sviluppo di progetti architettonici. Si tratta sicuramente di un’evoluzione del Computer Aided Design (CAD) verso una logica di progettazione molto più complessa, dove la rappresentazione è sostituita dalla simulazione e dalla generazione di forme. L’automazione impatterà sul processo di progettazione: il design parametrico, detto anche progettazione generativa, sostituisce di fatto alcune mansioni dell’architetto, come quelle dell’ideazione, discussione e analisi nelle fasi iniziali.

Ci sono, tuttavia, delle cose che le macchine non riescono a fare, ma gli umani sì. Le macchine non riescono ad affrontare situazioni completamente nuove, che non hanno affrontato altre volte prima: hanno necessità di possedere un sufficiente numero di dati per emettere la diagnosi. Se vogliamo evitare di essere sopraffatti dalle macchine, dobbiamo sviluppare la capacità del pensiero umano di collegare fili apparentemente diversi per creare cose nuove che non si sono mai affrontate prima.

Questa capacità si chiama creatività. La creatività non è nient’altro che la capacità di collegare concetti esistenti in modo diverso e utile. La creatività è un fatto mentale e individuale e richiede flessibilità, competenze, focalizzazione. La creatività è un concetto di visione. I bisogni delle persone sono in continua evoluzione e così come lo sono le sfide economiche ed ambientali. L’architettura è chiamata a dare una risposta a tutto questo, in armonia con l’ambiente ed il contesto culturale. Il progetto di architettura è creatività: riuscire a generare qualcosa che ancora no esiste, ma una volta riconosciuto non se ne può più farne a meno. Contrariamente a quanto il luogo comune ci suggerisce, il carburante delle creatività non è il talento ma la conoscenza. La conoscenza di ciò che è passato ci serve per immaginare ciò che sarà il futuro. Se il passato non diventa fine a se stesso. Come società e come architetti tendiamo, infatti, a guardare troppo spesso nello specchietto retrovisore, convinti che quello che era stato fatto nel passato possa essere valido anche oggi. Crediamo erroneamente che chi eravamo può essere anche chi siamo. Di conseguenza filtriamo ogni scelta che facciamo attraverso una serie di convinzioni limitanti perdendo di vista un principio fondamentale: per la natura dell’evoluzione umana il passato non equivale mai al futuro. L’architettura perde, in questo modo, la possibilità di essere il modo per il soddisfacimento delle necessità moderne e dei rapporti sociali. Si costruisce un’identità dorata che la rende autonoma e irraggiungibile, ma l’architettura non può esistere fine a se stessa, non può sopravvivere dei propri problemi e della propria storia. Necessita del soddisfacimento dei rapporti sociali per costruire, vivere e produrre il nuovo. Il concetto di memoria nel progetto di architettura va quindi inteso come strumento capace di condizionare il pensiero a livello neuroscientifico, come acquisizione di conoscenza per il un futuro diverso.

Questo concetto si chiama innovazione. L’innovazione non è nient’altro che un modo nuovo di fare le cose capaci di produrre un cambiamento positivo. L’innovazione è un concetto di strategia. Nella cultura post-industriale, questa strategia deve essere adeguata al rapido mutare delle cose. L’innovazione dell’era industriale era mirata alla risoluzione di uno specifico problema mentre l’innovazione dell’era digitale è in continua evoluzione, pensata per generare altre innovazioni: per dirla con una metafora coniata da Zygmunt Bauman, è liquida. Per esempio una delle tipiche innovazioni dell’era industriale, la macchina per la produzione, era pensata per migliorare la condizione, la qualità, il modo per fare un determinato oggetto o cosa. Punto e basta. Lo smartphone, l’innovazione per eccellenza dell’era digitale, è capace di generare un cambiamento dei modi di vita: con lo smartphone posso fare un numero considerevole di cose, posso generare altre innovazioni nel continuo mutare delle condizioni. Nel progetto di architettura non possiamo prescindere dal concetto d’innovazione: il nostro cervello è programmato per riconoscere tutto ciò che è nuovo e interessante, che riesce a emergere dal resto che ci circonda.

Un ordine professionale non può sostituirsi alla capacità dei singoli di sviluppare la conoscenza, l’etica, la responsabilità, il rispetto per il bene comune, l’amore per il progetto: il suo compito è di regolare l’attuazione del mestiere di architetto. Ma può certamente assumere il ruolo di facilitatore dello sviluppo della creatività e innovazione dei suoi iscritti e aiutare a creare le condizioni per fare in modo che certi principi diventino parte integrante della cultura della comunità.

L’Ordine degli Architetti di Reggio Emilia ha intrapreso un ambizioso piano di comunicazione tra l’Ordine, gli iscritti e la comunità, per creare queste condizioni. Un lavoro che dovrà essere portato avanti con costanza e intraprendenza, ma che comincia a mostrare alcuni risultati:

–   il Giuramento di Vitruvio, nato dalla collaborazione tra l’Ordine di Reggio Emilia, il Centro Studi Vitruviani e il Dipartimento di Architettura di Ferrara,  e da idea di Salvatore Settis, è un atto nuovo e rivoluzionario. Il testo riprende i punti fondamentali del trattato De Architectura di Marco Vitruvio Pollione che sono stati riassunti in cinque parole: conoscenza, etica, bene comune, qualità dell’architettura e responsabilità. Attraverso il Giuramento l’architetto, consapevole dell’impegno assunto, stringe un vero e proprio patto etico con la società e l’ambiente – oltre che con il committente – giurando di tener conto di tutti i fattori che costituiscono il contesto storico, naturale ed ambientale in cui opera: a giovarne sarà la qualità della vita di tutti i cittadini. Il Giuramento di Vitruvio, al pari del Giuramento di Ippocrate per i medici, rappresenta la volontà di affermare l’importanza del progetto di architettura per la rigenerazione urbana ed ambientale e di una professione, come quella dell’architetto, di riappropriarsi del proprio ruolo nella società contemporanea. Tutti gli iscritti all’Ordine di Reggio Emilia effettueranno il Giuramento al momento della loro iscrizione.

–   l’iniziativa “Perché scegliere un architetto” per far capire alla comunità l’importanza del mestiere di architetto. L’idea, mutuata da quanto si propone al RIBA (Royal Institute of British Architects), è stata quella di realizzare tre video sul “Perché scegliere un architetto” della durata di un minuto ognuno, che si dividono in tre grandi argomenti, volti ad avvicinare i cittadini alla figura dell’architetto.  Una vivacità d’idee e contenuti supportati da una comunicazione dinamica che sta ricevendo interesse e apprezzamenti crescenti sul web e tra gli utenti. Gli architetti potranno scaricarli, personalizzarli e utilizzarli con i propri clienti.

Il mestiere dell’architetto 2–   il TEDxReggioEmilia, Un nuovo modo di comunicare “idee che vale la pena di diffondere”, in modo semplice, concreto, efficace. RETHINK, ripensarci, rimetterci in gioco, ripensare la città e la sua comunità. Il 70% del patrimonio immobiliare è prossimo a fine vita per ragioni di obsolescenza o per errori di programmazione urbanistica: è fondamentale una rivoluzione nel pensare le nostre città proiettandole verso una progettazione aperta, rispondente alle necessità della collettività. E in questo senso TEDxReggioEmilia proporrà le idee per il riuso della città di oggi e per gettare le basi per quella di domani, affrontando il tema dal punto di vista tecnico, economico e sociale usando linguaggi e suggerendo strumenti diversi fra loro in grado di generare contaminazioni e confronti propositivi.  Ma la riflessione si snoderà anche su come muoversi efficacemente dal concetto di possesso a quello di accesso, dal consumo all’uso delle cose, da un’economia di tipo lineare ad una di tipo circolare, dal concetto di provvisorietà al concetto di durata.

Siamo solo agli inizi, anche se sulla strada giusta, almeno credo.

Approfondimento realizzato in collaborazione con Architettura>Energia, centro ricerche del Dipartimento Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara.

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