Le Rinnovabili in Italia nel 2015: investimenti, previsioni, normativa

Crescono a livello globale gli investimenti per la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili ma l’Italia ha solo un ruolo marginale. Nel fotovoltaico tengono solo le taglie residenziali. La riforma del mercato elettrico per le utenze domestiche

Le Rinnovabili in Italia nel 2015: investimenti, previsioni, normativa 1

Nel 2015 sono stati investiti per la realizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili oltre 290 miliardi di € a livello globale, in crescita del 21% rispetto al 2014. Appare ormai evidente come il trend negativo degli anni 2012 e 2013 sia definitivamente superato, ed anzi con il 2015 che fa segnare il «record» assoluto degli investimenti anche oltre il picco raggiunto nel 2011. E’ cambiata però decisamente la “geografia” del mercato.

L’Europa ha perso ormai definitivamente il suo ruolo di leadership, passando dal 40% degli investimenti complessivi nel 2008 al 21% nel 2015, facendosi superare anche dall’America. Nonostante questo, Regno Unito, Germania e Francia, con rispettivamente 13, 11 e 5 mld. di € di investimenti nel 2015 (oltre il 45% del totale) continuano ad avere piani di sviluppo delle rinnovabili di una qualche rilevanza. L’Italia – come si vedrà meglio più avanti – è tornata purtroppo a giocare un ruolo «marginale», dopo aver toccato il suo «record» con il 2° posto nel 2011.

L’Asia è l’indiscusso leader degli investimenti in rinnovabili nel 2015 (con il 55% del totale contro il 23% del 2008) e con una crescita in valore assoluto di circa 110 miliardi di € in 6 anni.

L’Africa, quasi irrilevante nel 2008, ha moltiplicato per 20 il suo livello di investimenti, contando al termine del 2015 circa un terzo dell’Europa, contro un rapporto che era 1 a 45 nel 2008.

La presenza di regimi incentivanti «all’europea» in Egitto, Marocco e Algeria ha permesso infatti di raggiungere in solo questi 3 Paesi quota 14 mld € di investimenti per la realizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili.

Altro aspetto degno di nota è che è il fotovoltaico, con oltre 120 mld € la principale fonte rinnovabile per quota di investimenti, «pesando» per il 41% del totale, seguita dall’eolico che si ferma a circa 92 mld € (31% del totale) e dall’idroelettrico con il 22%. Sono però in generale tutte le rinnovabili, includendo anche wasteto-energy (35 GW di potenza globalmente installata), geotermia (13 GW) e solare termodinamico – CSP (5 GW), a crescere a livello globale, segno di un «trend» di mercato molto più ampio e generalizzato.

Il Mercato delle Rinnovabili In Italia nel 2015

Nel 2015 le rinnovabili hanno contribuito al 40,5% della produzione e alla copertura del 35% della domanda elettrica nazionale. Se si esclude l’idroelettrico «storico» questi valori scendono al 26% e 20% rispettivamente. Complessivamente la potenza installata è pari a 50,3 GW, in crescita dell’1,8% rispetto al 2014 con un parco impianti che è composto per un terzo della sua potenza da impianti idroelettrici (95% dei quali attivi però ben prima dell’anno 2008), un terzo da fotovoltaico e la rimanente parte da eolico, biomasse e geotermico.

Se si analizza quello che è successo nel corso del 2015 si notano andamenti con segni decisamente differenti.

L’eolico, con potenza installata pari a 9.080 MW a fine 2015, ha fatto registrare nuove installazioni pari a circa 423 MW, che comparato con il valore raggiunto l’anno precedente risulta essere ben 4 volte più grande. Una «ripresa» importante, ma che tuttavia è soprattutto dovuta all’effetto del ritardo ingenerato nel sistema con il «Decreto Rinnovabili» ed il meccanismo delle aste e dei registri (che avevano sostanzialmente «fermato» le installazioni nel 2014 e creato quini una «coda» nel 2015) e non ad una rinnovata fiducia degli investitori.

In ogni caso, il valore del mercato delle nuove installazioni è stato pari nel 2015 a circa 670 mln €. La larga maggioranza è rappresentata da impianti di taglia superiore a 5 MW, con un controvalore di oltre 431 mln € (oltre il 60% del totale) ed una distribuzione geografica molto peculiare, visto che la Basilicata da sola conta per il 67% del totale.

Il fotovoltaico (con 18.610 MW complessivi a fine 2015), ha visto nuove installazioni per circa 290 MW, in contrazione di circa il 25% rispetto a quanto accaduto nell’anno precedente. A differenza di quanto accaduto per l’eolico quindi – ma qui non vi sono stati effetti di «ritardo» indotti dal cambio di normativa – il trend di discesa delle nuove installazioni pare inesorabile ed ha riportato le nuove installazioni a livelli inferiori addirittura a quelli del 2008.

Il valore del mercato delle nuove installazioni è stato pari nel 2015 a circa 558 mln €, con il mercato residenziale che ha pesato per oltre 284 mln. € (circa il 51% del totale), mentre gli impianti di taglia pari o superiore a 1 MW hanno ricevuto nel 2015 investimenti per «solo» 15 mln. € (nel 2011 questi hanno contato su oltre 2,8 mld € di investimenti). Si è portata quindi a compimento della forte inversione di tendenza nel mercato che si è avuta a partire dal 2012, con le taglie residenziali e commerciali che hanno fatto registrare una forte crescita del loro peso «relativo» a discapito degli impianti Industriali e dei grandi impianti.

L’idroelettrico (18.448 MW a fine 2015) ha visto crescere la sua potenza installata di circa 110 MW, con un incremento, rispetto al 2014, di 40 MW su base annua. Il valore del mercato delle nuove installazioni è stato pari nel 2015 a circa 500 mln €, in larga parte appunto attribuibile agli impianti di piccola taglia che hanno pesato per l’85% del totale. Gli impianti tra 1 e 10 MW sono cresciuti del 9% in numero rispetto al 2011, a fronte di una crescita del 18% degli impianti sotto il MW (+1% e +4% rispettivamente prendendo a paragone il 2014) La potenza cumulata, sommando le quattro diverse tipologie di biomassa (biogas, biomasse agroforestali, RSU, bioliquidi) utilizzate per la produzione elettrica, ha raggiunto, al termine del 2015, i 4,2 GW, con una crescita di «soli» 70 MW, contro i 450 MW del 2013 ed i 764 MW del 2012.

Il trend di discesa delle nuove installazioni è qui tale da poter parlare di un mercato sostanzialmente «fermo». Le uniche variazioni riguardano le biomasse agroforestali (+40 MW) ed il biogas (+30 MW). Il valore del mercato delle nuove installazioni è stato quindi pari nel 2015 a solo circa 350 mln €, per lo più concentrati in impianti di piccola taglia (sotto i 500 kW).

Se allarghiamo però la prospettiva ci rendiamo conto che nel periodo 2010-2015 si sono installati 23.788 dei 50.370 MW di rinnovabili presenti nel nostro Paese.

La tabella seguente sintetizza l’andamento delle installazioni in MW ed in € suddivise per fonte, cui vanno aggiunti i dati relativi alla altre rinnovabili (geotermia e CSP) per un totale di 60 MW e 185 € nel 2015.

Il mercato italiano delle rinnovabili esce profondamente ridimensionato dalle modifiche che nell’ultimo biennio hanno interessato i sistemi di incentivazione, con un totale di nuove installazioni nel 2015 di “soli” 890 MW, meno di un quarto del valore raggiungo nel 2010 ed un dodicesimo del “picco” fatto segnare nel 2011.

Si è ridotto di un quinto rispetto al 2010 il valore degli investimenti, con il 2015 “fermo” a poco più di 2 miliardi di €, contro gli oltre 10 del 2010.

E’ cambiato profondamente il mix di “taglie”, con un calo estremamente significativo – in quasi tutti i casi, e con la parziale eccezione dell’eolico – della taglia media degli impianti, annullando in taluni casi di fatto l’effetto “scala” di calo dei prezzi per effetto dello sviluppo della tecnologia, con il costo medio al kW installato che è tornato a valori prossimi a quelli del 2010.

Il 2010-2015 ha però consegnato al Paese un parco di “generazione” più ricco di oltre 23 GW di potenza installata da fonti rinnovabili e mosso 50 miliardi di €.

Le installazioni totali sono cresciute nel comparto investimenti per oltre del 35% nel 2015 rispetto all’annus horribilis 2014 ed hanno visto dopo diversi anni tornare in testa alla classifica delle nuove installazioni l’eolico (420 MW).

I segnali di vitalità del comparto si sono fatti nel complesso più forti, anche se le nuove avvisaglie di modifica della normativa di riferimento (sistemi di incentivazione e determinazione della tariffa elettrica) potrebbero rapidamente ricacciarlo nel “limbo” che ha caratterizzato appunto il 2014.

Andamento installazioni in MW suddivise per fonte

Le Rinnovabili in Italia nel 2015: investimenti, previsioni, normativa 2
(*) A queste vanno aggiunti i dati relativi alla altre rinnovabili (geotermia e CSP) per un totale di 60 MW e 185 mln€ nel 2010-2015

La Normativa sulle Rinnovabili In Italia

La spesa complessiva per l’incentivazione delle fonti rinnovabili non fotovoltaiche ha raggiunto i 5,634 mld € (ultimo dato disponibile al 29 Febbraio 2016) a fronte di 5,658 mld € a fine 2015 ed è quindi ormai prossima al raggiungimento della soglia di spesa massima di 5,8 mld €.

Il contatore pare davvero essere arrivato agli “sgoccioli”, nonostante si prevedano risorse “liberate” nel prossimo biennio (per impianti per cui scadono i Certificati Verdi o i CIP6, o per impianti che hanno avuto accesso all’incentivo del DM 6 Luglio 2012 solo sulla “carta” ma non verranno effettivamente realizzati) per oltre 763 milioni di €.

E’ ragionevole quindi che vi sia notevole preoccupazione da parte degli operatori tenendo conto che l’impatto sul calcolo del valore assunto dal PUN è decisamente significativo. Se si applicasse infatti già oggi il valore del PUN medio registrato nei primi 3 mesi del 2016 (ossia 37,49 €/MWh, rispetto alla media 2015 di 52,31 €/MWh) il valore del contatore, senza l’aggiunta di nessun nuovo impianto, balzerebbe oltre quota 6 miliardi.

E’ evidente quindi come parlare delle modifiche alle tariffe (peraltro non sostanziali) rispetto al DM 6 Luglio 2012, considerando quanto sopra e la scadenza comunque del dicembre 2016 appare di limitato interesse. Se ne dà comunque dovuto conto all’interno del Rapporto.

Appare possibile, in ogni caso, fare almeno due commenti. Uno sui contingenti adibiti al rifacimento degli impianti, che risultano essere i più penalizzati dal nuovo Decreto. Il caso limite risultano essere le biomasse per cui non è previsto nessun incentivo nel caso di il rifacimento totale o parziale dell’impianto. Già più volte si è sottolineate la criticità di questa scelta, soprattutto in comparti, come quelli dell’eolico e dell’idroelettrico, dove le potenzialità di revamping di siti già sfruttati sono effettivamente interessanti. Il secondo commento, sulla messa ad asta di 800 MW per l’eolico, segno di una volontà di ribilanciare un meccanismo che aveva dato prova di funzionare “male” nella sua versione precedente. L’eolico, infatti, era l’unica fonte per cui le richieste ad asta superavano (e del 186%) il contingente messo a disposizione.

La vera “rivoluzione normativa” alle porte è in realtà in parte già avvenuta ed è la riforma del mercato elettrico per le utenze domestiche, entrata in vigore dal 1 Gennaio 2016 e che (dopo una fase di transitorio che durerà sino al 1 Gennaio 2018) come principali obbiettivi si propone di: (i) superare la progressività tariffaria, in linea con la direttiva europea 27/2012 sull’efficienza energetica; (ii) far si che le voci di costo della bolletta elettrica siano riconducibili direttamente al servizio stesso; (iii) rivedere la struttura tariffaria, in modo tale da spostare il peso degli oneri dai corrispettivi variabili a quelli fissi; (iv) semplificare e rendere più trasparente la bolletta.

La riforma andrà ad impattare direttamente su due delle quattro voci di costo della bolletta:

  • Servizi di rete (tariffe di trasporto, distribuzione e misura dell’energia elettrica);
  • Oneri generali di sistema, che comprendono tutti i costi relativi ad attività di interesse generale per il sistema elettrico. Tra le componenti più rilevanti troviamo: (i) incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate pari al 82,02% degli oneri di sistema; (ii) oneri per la messa in sicurezza del nucleare pari al 7,03% degli oneri di sistema; (iii) promozione dell’efficienza energetica pari al 4,13% degli oneri di sistema.
    Non sono invece oggetto della riforma, i servizi di vendita (prezzo dell’energia elettrica consegnata al cliente finale) e le imposte sulla bolletta.
  • Per quanto riguarda i servizi di rete, si passerà dall’attuale compenso tariffario onnicomprensivo progressivo (€/MWh) e “variabile”, definito ed aggiornato regolarmente dall’AEEGSI, ad una divisione delle singole voci di servizi nella seguente maniera:
  • Quota fissa (€/anno) per la copertura dei costi di commercializzazione e misura, che quindi diviene “non variabile”;
  • Quota potenza (€/kW/anno) per punto di prelievo, che quindi diviene “non variabile” (pur essendo dipendente dalla potenza impegnata);
  • Quota per la copertura dei costi di trasmissione in quota energia (c€/kWh), l’unica a restare “variabile”

Le Rinnovabili in Italia nel 2015: investimenti, previsioni, normativa 3

Riguardo agli oneri generali, invece la nuova struttura eliminerà completamente la progressività e il 75% degli attuali oneri saranno collegati all’energia prelevata (con una tariffa quindi espressa in c€/kWh) e il restante 25% sarà reso “non variabile” in relazione al punto di prelievo (c€/ punto). Verrà mantenuta la differenza tra residenti e non residenti, dove quest’ultimi pagheranno un ulteriore costo fisso annuale di 150 €.

L’aumento dei corrispettivi in quota “non variabile” e la riduzione della progressività delle tariffe si tramuterà in un andamento più lineare dei costi della bolletta elettrica, così come rappresentato dalle linee blu (residente) e rosso (non residente) nella figura precedente.

Il risparmio in bolletta per un utente residente che consumi 4000 kWh/ anno è pari a 164 €, ossia il 19,5% della sua attuale bolletta. Parimenti un utente che consumi “solo” 1.500 kWh/anno si troverà a fare i conti con un aggravio di spesa di circa 90 € (il 36% della sua bolletta).
E’ di tutta evidenza, quindi, la volontà del legislatore di favorire il consumo elettrico per le utenze residenziali, soprattutto come “scambio” rispetto ad altri vettori energetici alternativi attualmente utilizzati (ad esempio il gas), ipotizzando che un aumento per se dei consumi non sia auspicabile (per gli obiettivi di efficentamento energetico che comunque il Paese si è dato).

Il passaggio alla “non progressività” della tariffa elettrica per le utenze domestiche si può a buon ragione considerare epocale, e pone gli operatori – unitamente all’incremento della quota “non variabile” rispetto alla quota “variabile” di servizi di rete ed oneri generali di sistema – di fronte a scenari sino ad ora inediti, con il costo marginale del kWh che si riduce all’aumentare dei consumi.

Uno scenario positivo, se associato ad un incremento dell’utilizzo del vettore elettrico a scapito di altri vettori energetici (gas, altri combustibili, …), così come potenzialmente “pericoloso”, se invece associato ad un incremento per se dei consumi (in conflitto con gli obiettivi di efficientamento energetico).

Un quadro che si completa (o che meglio dovrà completarsi a breve) con una modifica – più “sottile” negli impatti – della componente “non variabile” nella bolletta non domestica. Non è certo plausibile una riduzione significativa rispetto ad oggi dei costi del kWh all’aumentare dei consumi come per il domestico, eppure l’impatto sulle attitudini di consumo, soprattutto dei prosumer, potrebbe non essere irrilevante. Meccanismi come lo “scambio sul posto” o gli investimenti in storage (pensati per la funzione di time shift dei consumi) diventano infatti meno appetibili.

Appare evidente che la riforma delle tariffe elettriche – sia per gli utenti domestici che per quelli non domestici – ha un impatto potenzialmente rilevante su quegli utenti che hanno un profilo da prosumer, ovvero sono sia consumatori che produttori di energia.

L’impatto è a due livelli:

• sull’autoconsumo “contestuale”, ovvero sull’impiego dell’energia generata localmente invece di quella prelevata dalla rete per soddisfare il fabbisogno istantaneo di energia. E’ evidente che il “vantaggio” risiede nel risparmio dell’acquisto del kWh dalla rete; risparmio che si riduce al ridursi – ed è questo il caso almeno per il domestico – del costo del kWh;

• sul meccanismo dello “scambio sul posto” che prevede il rimborso al titolare dell’impianto a rinnovabili del valore dell’energia (PUN) e della quota “variabile” (si badi bene) degli oneri e dei servizi per i kWh immessi in rete e “successivamente” consumati.

Il caso tipico in cui questi due meccanismi sono attivi è quello del fotovoltaico, che appunto si prenderà qui come riferimento.
Nel Rapporto sono riportate diverse simulazioni, dalle quali risulta un peggioramento nella redditività dell’impianto.
Il caso dell’utente a “medio consumo” (2.700 kWh/anno) è particolarmente interessante perché (per gli utenti residenti) è il caso di quasi invarianza della bolletta elettrica annuale (521 € pre-riforma e 523 € postriforma). Il ritorno dell’investimento (IRR) però scende da 7,9% a 5,8% per effetto esclusivamente del peggioramento dello “scambio sul posto”, ossia del rimborso della quota “variabile” di oneri e servizi.
Le cose non cambiano se si guarda agli utenti non domestici. Anche in questo caso lasciando al testo del Rapporto maggiori dettagli, è comunque possibile sottolineare come lo spostamento del 25% della quota variabile in “non variabile” valga da solo un anno di payback time in più e quasi 1 punto percentuale di IRR in meno. Modifiche più “drastiche” della componente non variabile (per effetto della non linearità della funzione) portano a peggioramenti sino a 5 anni e 2,5 punti di IRR.

Il quadro che emerge da questa analisi è decisamente “a tinte fosche” per quanto riguarda l’impatto della riforma sulle rinnovabili, con una riduzione della redditività attesa e ulteriori ostacoli posti alla diffusione del fotovoltaico (già senza incentivi).

Pensando allo “scambio sul posto” come soluzione per la transizione fuori dal mondo degli incentivi anche per le altre fonti rinnovabili (o almeno per gli impianti di piccola taglia) è evidente come le decisioni che verranno prese circa le utenze non domestiche sono particolarmente critiche.

Aumentare la propensione al consumo elettrico rinunciando alla promozione di un modello da prosumer pare quanto mai pericoloso, per gli equilibri del sistema (si pensi all’impatto sugli impianti attualmente in essere o in procinto di uscire dal regime di incentivazione) e per le possibilità di mantenere vivo un paradigma di generazione distribuita che è il “cuore” delle reti e delle città smart.

L’impatto positivo per l’utente elettrico finale (non prosumer) della riforma non va però trascurato, ed anzi deve dare ulteriore slancio ad una ripresa della discussione sul funzionamento di meccanismi quali lo “scambio sul posto” (evidentemente nato prima della riforma) o altri schemi quali i SEU, ora quanto mai indispensabile.

Le Previsioni sul Mercato delle Rinnovabili In Italia

Sulla base di quanto visto in precedenza, e attraverso l’analisi dei principali fattori di contesto che impattano su ciascuna fonte rinnovabile ed il cui dettaglio è riportato nel Rapporto, è stato possibile stimare – attraverso la costruzione di due scenari (uno ottimistico ed uno pessimistico) – il potenziale di nuove installazioni per le diverse fonti rinnovabili in Italia nel periodo 2016-2020, come riportato nella tabella seguente.

Le Rinnovabili in Italia nel 2015: investimenti, previsioni, normativa 4

Considerando le probabilità di accadimento dei diversi scenari, discussa con gli operatori del settore, pare ragionevole ipotizzare installazioni complessive pari a 4.000 MW nel periodo 2016-2020 con l’eolico a guidare la classifica delle rinnovabili.

Se si guarda alla percentuale di crescita complessiva attesa nel 2016-2020 rispetto all’installato alla fine del 2015 (del 7%) e la si confronta con quanto accaduto nel periodo 2010-2015 (43%) ci si rende conto dell’effetto drammatico di rallentamento del mercato.

L’avvio del nuovo sistema di incentivazione e una revisione più favorevole del meccanismo dello scambio sul posto (che per il fotovoltaico ha visto l’impatto inatteso delle nuove tariffe elettriche) sembrano essere condizioni fondamentali per mantenere in vita il comparto delle rinnovabili in Italia.

La Gestione del Parco Installato delle Rinnovabili In Italia

Esiste tuttavia, come già anticipato in precedenza, un considerevole parco di impianti a fonti rinnovabili che vanno manutenuti e gestiti nella loro operatività quotidiana. E’ a questo parco che si è dedicata una parte rilevante della ricerca contenuta nel Rapporto. L’obiettivo è stato quello di: (i) analizzare – per ciascuna delle fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, biomasse, idroelettrico) – i diversi servizi di Operation&Maintenance attualmente offerti sul mercato italiano, indicandone i costi medi per i titolari degli impianti e la marginalità per i fornitori di servizi di Operantion&Maintenance; (ii) stimare il volume d’affari (attuale e potenziale) dei servizi di Operation&Maintenance per le diverse “taglie” di impianto; (iii) mappare i modelli di business – con la relativa diffusione nei diversi segmenti di mercato – degli operatori che rappresentano l’offerta di Operation&Maintenance sul mercato italiano.

I risultati, dettagliati ulteriormente all’interno del Rapporto, sono di notevole interesse.
Nonostante il continuo calo dei prezzi sul mercato (assestatisi attorno a 27.000 €/MW per un pacchetto full service nel 2015), il volume d’affari generato dall’O&M del fotovoltaico, vale complessivamente 447 milioni di €, con il segmento degli impianti utility scale a farla di gran lunga da padrone.
La marginalità media è ancora pari a 4%-6%, ma con picchi del 7%-9% per le attività più critiche, ossia per la manutenzione straordinaria e la video-sorveglianza degli impianti che nelle zone ad alto tasso di furti ricopre sempre più importanza (soprattutto dove si trovano i grandi impianti a terra.
Continua il processo di concentrazione dell’offerta e sembra delinearsi con maggior chiarezza la leadership degli O&M “puri”, rispetto agli EPC (che si sono riconvertiti all’O&M ma spesso hanno strutture di costo più “pesanti”) e agli “asset manager”, che mantengono comunque la loro fetta di mercato, forti di una competenza specifica nella gestione amministrativa. Questa dinamica sarà ancora più interessante da monitorare nel biennio 2016-2018 visto che numerosi contratti di manutenzione siglati nel periodo di boom delle installazioni utility scale si troveranno nella possibilità di essere rinegoziati o sciolti e che parti fondamentali degli impianti, come gli inverter, usciranno dal loro periodo di garanzia originaria (circa 5 anni), costringendo le imprese che offrono servizi di O&M a costruire alleanze con i produttori di inverter rimasti sul mercato.

Il volume d’affari generato sul mercato dell’eolico (con prezzi di circa 25.000 – 30.000 €/MW per un pacchetto full service nel 2015) vale complessivamente 365 milioni di €.

La marginalità media è pari al 6%, ma con una grossa differenza tra i servizi di O&M per le parti core dell’impianto (turbine e rotori) che comporta margini del 10% e tutto il resto dei servizi, che invece si attesta ben al di sotto del 6%. La conseguenza diretta è che i produttori di tecnologia sono ancora i leader indiscussi del mercato dei servizi di O&M, con un peso complessivo dell’85%.

Nonostante questo anche qui il ruolo degli O&M “puri” è in decisa crescita ed è evidente nel calo dei prezzi (-15% nell’ultimo biennio) e negli accordi che alcuni produttori di tecnologia stanno siglando tra di loro per fornire servizi di O&M “multimarca”, tanto che pare ragionevole attendersi nel prossimo biennio un cambio ”sostanziale” degli assetti di mercato.

Solo una piccola parte dei servizi di O&M nell’idroelettrico è veramente appannaggio del mercato, giacché per gli impianti di grande taglia questa è completamente gestita (con il supporto dei produttori di tecnologia nella manutenzione straordinaria) dai titolari degli impianti, tipicamente grandi operatori del mondo dell’energia. Il volume d’affari generato sul mercato vale complessivamente 17,7 milioni di €, su un totale di impianti appartenenti alla categoria < 10 MW di 3.089. La marginalità media è tuttavia decisamente bassa e pari a 2,5% ed è la principale ragione del ridotto “peso” degli operatori O&M ”puri” rispetto ai produttori di tecnologia.

Non pare quindi ragionevole ipotizzare uno sviluppo significativo del mercato dei servizi di O&M per l’idroelettrico nel nostro Paese, anche in considerazione del fatto che – come visto – non ci si attendono nuove installazioni in misura consistente

Anche per le biomasse solo una piccola parte dei servizi di O&M è veramente appannaggio del mercato, ed in particolare questo è vero solo per gli impianti a biogas. Nonostante questo il volume d’affari generato su questo segmento di mercato vale complessivamente 130 milioni di €, distribuito nei tre segmenti, 4,7 milioni di € per gli impianti sotto i 200 kW, 68,7 milioni di € per quelli intermedi e 56,9 milioni di € per quelli sopra il MW di potenza.
La marginalità media è decisamente interessante ed è pari a 6% e con picchi di oltre il 10% per le attività che hanno a che vedere con la “biologia” dell’impianto. Ad oggi questo segmento di mercato è ancora completamente controllato dai produttori di tecnologia, ma vi si rilevano le prime avvisaglie del potenziale sviluppo di O&M “puri” che entrino sul mercato con una struttura di costi più snella e possano fare leva sui buoni livelli di marginalità visti prima.

Le Opportunità di Internazionalizzazione

Il “baricentro” degli investimenti in rinnovabili si è visto sin dal principio si è spostato dall’Europa ad altre macro-aree a forte sviluppo (SudCentro America, Africa, Est-Europa, in ordine di investimenti attesi da qui al 2020).

E’ indubbio quindi come sia necessario, per gli operatori europei (e quindi anche italiani), guardare a queste aree alla ricerca di possibili sbocchi di mercato che contrastino il calo della domanda interna all’Europa.

Tra le macro-aree geografiche a maggior crescita si è deciso in questo Rapporto, senza pretesa di completezza, di focalizzarsi su tre in particolare:  Sud – Centro America, Africa, Est – Europa

La ragione di questa scelta, ed in particolare dell’esclusione dell’Asia, risiede nel fatto che queste tre macro-aree sono caratterizzate da vicinanza “geografica” (la terza e la seconda, soprattutto con riferimento ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo) e/o da abitudine agli scambi commerciali con il nostro Paese (nel 2015, infatti, le esportazioni verso il Sud e Centro America hanno raggiunto quota 13,8 miliardi; con il Messico ed il Brasile che rientrano tra i primi 30 Paesi destinatari dell’export italiano).

Appare con evidenza dalla analisi – ed è dato supportato anche dalle interviste dirette condotte con gli operatori attivi in questi Paesi – come sia possibile identificare due (tre) modelli di accesso paradigmatici:

• Quello che appare predominante in Africa e che possiamo denominare modello “finance driven”, ossia dove gli apri-pista del mercato sono gli investitori finanziari, interessati a guadagnarsi le autorizzazioni alla realizzazione degli impianti e poi a costruire delle cordate di operatori industriali per la parte di realizzazione. Dietro agli investitori finanziari si costituiscono cordate industriali di operatori che si assumono poi il compito di realizzare concretamente gli investimenti. Come è ovvio queste cordate risentono in maniera decisa della caratterizzazione “geografica” dell’investitore finanziario. Non è quindi un caso che il modello “finance driven” veda tra i protagonisti investitori tedeschi, francesi e spagnoli (KFW,AFD, Coop. Spanish Governament) interessati a ”esportare” le fliere nazionali delle rinnovabili in crisi dopo il calo della domanda interna.

• Quello che appare predominante in Est-Europa e Centro-Sud America e che possiamo denominare modello “utility driven”, ossia dove gli apri-pista del mercato sono le grandi società del mondo dell’energia, interessate a diversificare i propri investimenti ed a cercare sentieri di crescita (nelle rinnovabili e non solo) che vadano ovviamente al di là del mercato Europeo. Anche in questo caso vi è un effetto di ”trascinamento” di operatori dell’ìndotto, in larga misura spesso appartenenti al paese di origine della utility che compie l’investimento, ma vi è una attenzione maggiore anche allo sfruttamento della filiera locale ed in ogni caso è minore il numero (ed il valore) delle attività che si demandano a terzi.

• Quello che appare – anche se mai in posizione di predominanza – in tutti i casi e che possiamo denominare modello “technology driven”, ossia dove sono gli operatori detentori della tecnologia “chiave” di un impianto a rinnovabili (come l’aerogeneratore nell’eolico ad esempio) ad acquisire l’autorizzazione a realizzare gli impianti. Gli investitori technology driven solitamente non realizzano in proprio bensì si affidano spesso ad un EPC terzo che possa svolgere il ruolo del main contractor, garantendosi ovviamente le fornitura del componente “chiave”. E’ interessante sottolineare come in questo caso l’appartenenza geografica del main contractor non sia necessariamente in relazione con quella dell’operatore detentore della tecnologia e quindi vi sia un effetto di “trascinamento” decisamente minore.

E l’Italia? Purtroppo il nostro Paese – che pure avrebbe nelle relazioni commerciali  privilegiate soprattutto con l’area del Mediterraneo – non sembra giocarsi al meglio questa nuova “partita” per il rilancio delle rinnovabili. Non vi sono operatori finanziari (da quelli “istituzionali” a quelli “privati”) del nostro Paese con portafogli di investimento paragonabili a quelli visti prima di Germania, Francia e Spagna (sempre per restare nell’ambito Europeo) con riferimento alle rinnovabili. Non vi sono – e questo è fatto storico connesso al turbolento e forse troppo “rapido” sviluppo delle rinnovabili nel nostro Paese – leader tecnologici riconosciuti a livello globale sulle tecnologie “chiave” delle rinnovabili.

Si stanno muovendo “solo” le grandi utilities, con indubbio successo in termini di posizionamento, ma anche con minore capacità o possibilità di “trascinare” indotto.

Vi è ancora spazio di manovra (e non mancano i soggetti potenzialmente titolati) visto che l’orizzonte di sviluppo di molti di questi Paesi è ancora di medio-lungo termine, ma ooccorre agire ora per evitare di perdere l’ennesimo “treno” delle rinnovabili.

Il 5 maggio verrà presentato a Milano il Rapporto Renewable Energy Report, coinvolgendo come sempre nel dibattito le imprese Partner della ricerca per discutere e approfondire le analisi svolte

Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici

Commenta questo approfondimento



Tema Tecnico

Le ultime notizie sull’argomento



Secured By miniOrange