Smart Grid Report

Soluzioni tecnologiche e scenari di mercato in riferimento a storage e auto elettrica

Lo Smart Grid Report si propone un obiettivo ambizioso, ossia quello di “fare chiarezza” – con l’approccio analitico e di analisi empirica che caratterizza l’Energy&Strategy Group – attorno al tema delle smartgrid.

La complessità connessa a questo obiettivo deriva da un duplice effetto: (i) il fatto che l’appellativo “smart” sia divenuto ormai di moda anche presso gli operatori del sistema elettrico e sia quindi difficoltoso isolare le soluzioni tecnologiche ed i modelli di offerta che sono effettivamente coerenti con il nuovo paradigma di rete, da quelli invece che ne utilizzando indirettamente l’abbrivio; (ii) il fatto che i “confini” delle smartgrid sono sempre più ampi, giungendo sin nelle case dei consumatori e rappresentando un hub anche per la nascente mobilità elettrica.

Il presente Rapporto fornisce una risposta “circostanziata” – e che dovrà necessariamente essere ulteriormente approfondita anche nel futuro – su quali sono le soluzioni tecnologiche e quali gli scenari di mercato e i modelli di business con riferimento allo storage, ossia alla componente cardine (anche se non l’unica) delle reti intelligenti, e all’auto elettrica nel nostro Paese.

Per questa ragione, il Rapporto è articolato in due sezioni, una per ciascun tema di approfondimento e sette capitoli, ognuno dei quali deputato a dare risposta ad una domanda “chiave”. Il primo capitolo intende analizzare quali sono le funzionalità che i sistemi di storage sono in grado di fornire nelle applicazioni sul sistema elettrico, quali sono le alternative tecnologiche con cui è possibile accumulare energia elettrica e quali sono i soggetti, all’interno del sistema elettrico, potenzialmente interessati all’adozione di un sistema di storage. Il capitolo due intende fornire un quadro dell’attuale impianto normativo-regolatorio nazionale sui sistemi di accumulo, al fine di comprendere in che misura questo ne influenza la diffusione. Il capitolo tre intende stimare la convenienza economica, per i diversi soggetti del sistema elettrico analizzati, dell’adozione di un sistema di accumulo, ed il relativo potenziale di mercato in Italia al 2020. Il capitolo quattro intende presentare una panoramica dell’articolazione della filiera industriale dei sistemi di storage in Italia.

Il capitolo cinque, ossia il primo dedicato alla mobilità elettrica, si propone di fornire una panoramica delle principali tecnologie che abilitano questo nuovo “paradigma” di mobilità, vale a dire i veicoli e l’infrastruttura di ricarica. Il capitolo sei intende analizzare i principali provvedimenti che attualmente promuovono la diffusione della mobilità elettrica nel nostro Paese e valutarne i risultati conseguiti. Il capitolo sette, infine, intende fornire uno spaccato dell’attuale sviluppo della mobilità elettrica in Italia ed analizzare le prospettive di sviluppo attese.

Il Rapporto, come già anticipato all’inizio e come più approfonditamente relazionato nell’appendice metodologica che ne costituisce parte integrante, si basa su uno sforzo empirico considerevole, con oltre 13 soluzioni tecnologiche analizzate con riferimento ai sistemi di storage, 14 scenari di utilizzo valutati, oltre 150 imprese e casi di adozione censiti, dei quali più di 50 sono stati oggetto di interviste e confronti diretti con il team di ricerca.

Lo storage

Le diverse soluzioni tecnologiche con cui è possibile accumulare energia elettrica possono essere classificate, in base alla forma di energia utilizzata per l’accumulo, in: (i) sistemi di accumulo elettrochimico, (ii) sistemi di accumulo meccanico, (iii) sistemi di accumulo elettrico, (iv) sistemi di accumulo chimico e (v) sistemi di accumulo termico.

Questi sistemi di accumulo – anche se in misura diversa proprio in funzione delle peculiarità che le contraddistinguono e di cui si discute ampiamente nel Rapporto – possono fornire i servizi e le funzionalità necessarie al corretto funzionamento del sistema elettrico (dalla rete di trasmissione e distribuzione, dalla produzione e/o consumo di energia, da impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili alle micro-grid) attraverso:

  • prestazioni in potenza, caratterizzate dallo scambio di elevate potenze per tempi brevi (da frazioni di secondo a qualche decina di secondi) e tra le quali rientrano le funzionalità di “risorse per la risoluzione delle congestioni in fase di programmazione”, “inerzia sintetica”, “regolazione primaria”, “regolazione secondaria e terziaria”, “bilanciamento in tempo reale”, “regolazione di tensione”, “qualità della tensione” e “continuità del servizio”.
  • prestazioni in energia, caratterizzate da uno scambio di potenza relativamente costante con autonomia di alcune ore e tra le quali rientrano le funzionalità di “arbitraggio mediante sistema di accumulo”, “arbitraggio mediante sistema di accumulo associato ad un impianto alimentato da fonti rinnovabili non programmabili”, “aumento della quota di auto-consumo dell’energia prodotta da un impianto alimentato da fonti rinnovabili non programmabili”, “riduzione della potenza impegnata”, “flessibilizzazione della curva di carico”, “risoluzione delle congestioni di rete”, “regolarità/prevedibilità del profilo di immissione dell’energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili”, “regolazione del profilo di scambio all’interfaccia AT/MT”, “differimento/riduzione degli investimenti di rete”, “partecipazione alla ri-alimentazione del sistema elettrico” e “integrazione con i sistemi di difesa”.

Nel Rapporto vengono analizzate in particolare tre delle tipologie di sistemi di accumulo sopra riportati, focalizzando l’attenzione su diverse alternative tecnologiche – (i) sistemi di accumulo elettrochimico (batterie con elettrolita acquoso, batterie ad alta temperatura, batterie a circolazione di elettrolita e batterie al litio), (ii) sistemi di accumulo meccanico (pompaggio idroelettrico, CAES e volani), e (iii) sistemi di accumulo elettrico (supercondensatori e SMES) – con l’obiettivo di tracciarne un quadro di adozione potenziale.

Dall’analisi emerge in maniera chiara come vi sono tre tecnologie (ossia supercondensatori, volani e SMES) che, in virtù delle loro caratteristiche, si prestano esclusivamente ad applicazioni “in potenza”. All’opposto, vi sono altre tecnologie (ossia pompaggio idroelettrico, CAES, batterie a circolazione di elettrolita e batterie al sodio/zolfo) che si prestano invece prevalentemente ad applicazioni “in energia”. Solo alcune tecnologie (quali ad esempio le batterie al sodio/cloruro di nickel e, soprattutto, al litio) possono essere effettivamente considerate come tecnologie “trasversali”, ossia che si prestano ad essere utilizzate sia per prestazioni “in potenza” che “in energia”.

Va sottolineato tuttavia come diverso sia il grado di maturità delle diverse soluzioni tecnologiche. Ad oggi nessuna delle soluzioni per applicazioni “in potenza” può essere considerata completamente sviluppata, ed anzi in molti casi si trova ancora ad una fase di sviluppo laboratoriale. Di contro, le applicazioni “in energia” vedono alcune tra le tecnologie più mature in ambito storage (il pompaggio idroelettrico per citarne una). I maggiori interessi degli operatori paiono quindi concentrarsi sulle soluzioni “traversali” non solo quindi per la loro “flessibilità” ma anche per il fatto che si trovano in una fase di sviluppo intermedia e paiono quindi anche nel breve-medio periodo destinate a crescere dal punto di vista prestazionale.

Come sempre accade quando si parla di mercati dell’energia, però, oltre agli aspetti tecnologici è indispensabile analizzare l’impatto di “intermediazione” che fra domanda ed offerta è esercitato dal quadro normativo-regolatorio: (i) sia perché esso agisce a “disegnare” i confini della domanda, obbligando talora i soggetti a “pensare” a soluzioni di storage; (ii) sia perché esso può avvicinare o accelerare, attraverso il meccanismo degli incentivi, il suddetto processo di matching; (iii) sia, infine, perché esso può agire anche sulle “condizioni al contorno” per creare in senso lato un ambiente più o meno favorevole allo sviluppo del mercato dello storage in Italia.

Un tema questo ancora una volta particolarmente complesso visto che a differenza di quanto succede di solito, l’Italia è al momento sulla frontiera a livello europeo e mondiale nella regolazione della smart grid e dello storage: una frontiera in continuo movimento, però, e che evidentemente procede anche per “aggiustamenti” progressivi di maggiore o minore entità.

I provvedimenti “di indirizzo” con i quali il Legislatore ha espresso la propria posizione rispetto all’adozione dei sistemi di storage sono solo tre (D.lgs. 3 marzo 2011 , n. 28, D.lgs. 1 giugno 2011, n. 93 e Delibera AEEG ARG/elt 199/11), tutti concentrati nell’anno 2011 e quindi relativamente recenti, e si concentrano sui soli “soggetti regolati” ed in primis sul gestore della rete di trasmissione, mentre ancora nessun provvedimento di ordine generale ha interessato le fasi di generazione e di utenza.

Ciò nonostante, il Legislatore ha voluto porre alcuni punti fermi: (i) la conferma sulla scena dell’AEEG come attore principe della regolazione del sistema elettrico; (ii) la definizione del ruolo degli accumuli a batteria come tecnologia “guida” almeno in questa fase di sviluppo del settore; (iii) la necessità di “testare” questi sistemi sul campo, anche se nell’ambito di progetti sottoposti a rigorosi controlli, e quindi l’implicito riconoscimento che la fase sperimentale “da laboratorio” possa considerarsi conclusa.

Diretta conseguenza di questa visione è l’introduzione di un sistema di incentivazione, per il tramite dello strumento dei “progetti pilota”.

I progetti pilota perseguono l’obiettivo di testare, su piccola scala (quindi con investimenti ridotti, sia in numero che in ampiezza specifica), il funzionamento di tecnologie “innovative” ritenute promettenti per garantire il corretto funzionamento del sistema elettrico. Il sistema di incentivazione valido per il periodo di regolazione 2012-2015 prevede tassi di remunerazione degli investimenti garantiti fino all’8,4%, con una extra remunerazione del 2% per 12 anni nel caso di progetti pilota di storage che soddisfino specifici requisiti.

Sono in tutto otto i progetti pilota oggi presentati dal gestore della rete di trasmissione (Terna) ed approvati dall’AEEG  (due “in potenza” e sei “in energia”) per una capacità complessiva di 51 MW.

Un passo certo importante ma ancora decisamente limitato se si considera che – come documentato dalla nostra analisi – l’attuale quadro normativo-regolatorio non prevede la possibilità di implementare oltre il 42% delle funzionalità “potenziali” che i sistemi di storage sono in grado di fornire ai diversi soggetti del sistema elettrico.

Un numero sul quale appare opportuno riflettere e che ben mostra quanto lontani si sia ancora dall’aver definito un quadro normativo del tutto adeguato alle aspettative degli operatori ed anche allo stato dell’evoluzione tecnologica dei sistemi di storage e della rete elettrica in generale.

Ma le soluzioni di storage sono in realtà convenienti? Per dare risposta a questa domanda si è dovuto, in prima battuta, definire per i diversi soggetti interessati all’adozione di un sistema di storage i possibili “scenari d’uso”, ossia di set predefiniti di funzionalità (al più una) che caratterizzano i possibili business case, gli impieghi “concreti” delle soluzioni di storage che i diversi soggetti possono trovarsi a valutare.

Ad esempio, nel caso del prosumer si è considerato come primo scenario quello che prevede l’adozione di un sistema di storage per incrementare la quota di autoconsumo dell’energia prodotta in loco dall’impianto a fonte rinnovabile non programmabile (fotovoltaico) installato presso il prosumer; lo scenario 2, costruito in maniera incrementale rispetto al primo, prevede l’utilizzo del sistema di storage anche per azzerare gli oneri di sbilanciamento a carico dell’impianto fotovoltaico e per migliorare la continuità del servizio di fornitura dell’energia elettrica; infine, lo scenario 3 prevede, oltre a tutte le funzionalità previste nello scenario 2, anche la fornitura di servizi di regolazione da parte del sistema di accumulo associato all’impianto fotovoltaico.

Nel complesso si sono analizzati 14 possibili scenari d’uso, 8 dei quali realizzabili a normativa-regolazione vigenti, mentre i restanti 6 possibili solo a fronte di una evoluzione del quadro regolatorio.La prospettiva assunta, come tradizione dell’Energy&Strategy Group, è sempre quella dell’adottatore delle soluzioni di storage, alle prese con la risoluzione del “problema economico” di rientrare nei tempi e nella misura di cui è chiamato a rispondere ai suoi azionisti e con l’ulteriore “complicazione” (peraltro comune però al settore) di dover tenere fede ai limiti e alle disposizioni del quadro normativo-regolatorio.

Il quadro emerso è decisamente desolante. Solo in due casi, entrambi riferiti al gestore di rete di distribuzione, si riscontrano scenari caratterizzati da IRR positivo e superiore alla “soglia” attesa, tuttavia entrambi ad oggi non ammissibili nel quadro normativo-regolatorio vigente.

In altri tre casi, si ottiene un IRR positivo, anche se inferiore alla soglia attesa per il soggetto potenzialmente adottatore,ma il miglioramento medio della redditività da conseguire per ottenere gli IRR “soglia” per la sostenibilità economica è pari a circa il 20%.

Il gap da colmare per rendere queste tecnologie profittevoli risulta ancora decisamente elevato e pur tuttavia gli operatori sono confidenti nel fatto che si possano ottenere in un tempo relativamente breve significativi progressi tecnologici e di costo, potenzialmente in grado di cambiare il quadro, anche perché si possono trovare forti “motivazioni” dall’analisi del potenziale di mercato in Italia.

Da qui al 2020, ossia nei prossimi 7 anni, potrebbero essere installati sistemi di storage per l’equivalente di più di 7 GWh di energia e quasi 10 mld € di investimenti (in media 1,3 mld € all’anno). Un potenziale teorico decisamente elevato e dove paradossalmente la gran parte del potenziale (valorizzato in termini monetari) è associato ai soggetti non regolati, in particolare al prosumer (39%), seguito da micro-grid (28%) ed impianti FRNP (22%).

Un mercato quindi che potrebbe essere nel prossimo futuro molto diverso da come lo conosciamo oggi, ossia quello dei “progetti pilota” che si rivolgono quasi esclusivamente ai soggetti regolati.

Il potenziale complessivo di mercato potrebbe addirittura essere più alto qualora si consideri – in una condizione certo più ideale ma coerente con la prospettiva di definizione del “mercato teorico” – la possibile adozione di sistemi di accumulo presso impianti esistenti, ossia il cosiddetto “retrofit. Considerando questa eventualità, che a detta di taluni operatori non pare essere poi così remota (specie in corrispondenza di eventi che ricorrono necessariamente nel corso della vita utile di un impianto FRNP, come ad esempio la sostituzione – almeno una volta lungo la vita utile – dell’inverter associato all’impianto), il potenziale teorico arriverebbe a quasi 28 mld €, ossia circa 4 mld €/anno. Un valore che si avvicina di molto ai costi complessivi (mancata produzione da impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili, perdite di rete, sviluppo rete, interrompibilità, ricorso al Mercato dei Servizi di Dispacciamento e bassa qualità del servizio di trasmissione e distribuzione) che il sistema elettrico italiano paga per il suo non essere sufficientemente smart.

Per superare l’empasse tuttavia potrebbe non essere “scandaloso” considerare l’opportunità – in un breve orizzonte temporale di 3-4 anni (ossia per la metà del tempo che ci separa al 2020) – di introdurre sistemi di incentivazione mirati, sulla scorta ad esempio da quanto fatto (e potrebbe ai lettori più affezionati dei nostri rapporti sembrare un deja vu) dalla Germania con il programma da 50 mln € in 2 anni appena entrato in vigore nel Maggio 2013.

I produttori delle tecnologie di storage sono pronti a raccogliere la sfida di maggior competitività della loro offerta che emerge in maniera chiara dalle analisi economiche.

E sono molti gli operatori potenzialmente coinvolti:

  • quelli che storicamente hanno operato nel business dell’energy storage (evidentemente focalizzato su settori diversi da quello della produzione di energia elettrica, quali ad esempio il settore industriale, l’automotive, e l’elettronica), e che vedono nell’accumulo di energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile (ed in parte minore anche da fonte tradizionale) un’interessante opportunità per ampliare il proprio portafoglio dibusiness.
  • quelli della filiera delle rinnovabili (e del fotovoltaico in particolare), i quali vedono i sistemi di storage come un utile/necessario complemento alla loro tradizionale offerta di prodotti/servizi sul mercato.

In un mercato che come visto potrebbe essere molto più ampio di quanto sino ad ora visto – date le limitazioni dei “progetti pilota” ai soli soggetti regolati – e che potrebbe invece prevedere la nascita dei veri e propri storage manager, un soggetto “aggregatore” che si possa porre – attraverso la gestione di un sistema di storage – come intermediario tra le utility ed i consumatori di energia elettrica (soprattutto ai “prosumer”), offrendo alle prime il servizio di distacco/modulazione dei carichi/generazione in funzione delle necessità contingenti ed ai secondi la continuità di assorbimento/immissione dell’energia elettrica. Un modello quindi molto simile, dal punto di vista concettuale, a quello delle ESCo – Energy Service Companies, che hanno avuto ed attualmente hanno un ruolo “propulsivo” nella diffusione degli interventi di efficienza energetica.

 

Un mercato che potrebbe innescare dinamiche occupazioni tali da avere circa 15.000-20.000 posti di lavoro a regime nel 2020 e che anzi potrebbe “assorbire” il calo di occupati conseguente alla “crisi” delle rinnovabili e del fotovoltaico in particolare.

 

L’auto elettrica

Con il termine “auto elettrica” si rubricano in realtà diverse tipologie di motorizzazione, che possono essere ricondotte a due macro-categorie: (i) i veicoli elettrici “puri” (noti anche con l’acronimo BEV – BatteryElectricVehicle), che dispongono solamente di un motore elettrico alimentato dalla batteria presente a bordo del veicolo; (ii) i veicoli elettrici “ibridi” (noti anche con l’acronimo HEV – HydridElectricVehicle), i quali affiancano al sistema di propulsione elettrico un secondo motore con differente tecnologia. Fra questi ultimi in particolare – per le finalità del Rapporto che guarda alla mobilità elettrica come “componente” delle smartgrid– sono da segnalare i Veicoli ibridi Plug-In (cosiddetti “PHEV”), ovvero che prevedendo la possibilità di ricaricare il sistema di accumulo presente a bordo veicolo direttamente da rete elettrica.

Per i veicoli elettrici, specialmente per quelli che prevedono la possibilità di ricarica da rete (BEV e PHEV), il dispositivo di accumulo – e si torna quindi al tema dello storage – che ne abilita (in toto o in parte) il funzionamento rappresenta un elemento cruciale, sia in termini di costi sia di prestazioni che esso permette di conseguire.

E pur tuttavia è la presenza di un’idonea infrastruttura di ricarica rappresenta una condicio sine qua non per la diffusione su ampia scala della mobilità elettrica.

Attualmente esistono diverse “tecnologie” alternative con cui è possibile effettuare la ricarica dei veicoli elettrici, ma quella che ad oggi la fa da padrone è sicuramente la ricarica tramite colonnina, anche se si è ben lontani dalla identificazione di uno “standard” in questo senso. Ad oggi esistono 4 alternative di ricarica, che vanno dalla corrente continua alla corrente alternata, e almeno 5 tipologie di connettori predisposte per l’interfaccia macchina-colonnina.

Esistono poi altre tecnologie “di nicchia” che sono state e sono oggetto di sperimentazione, come ad esempio la ricarica ad induzione (ancora ad uno stadio poco più che embrionale) e il batterys wapping.Nonostante il fallimento di BetterPlace, il primo propugnatore della soluzione di batteryswapping, gli operatori intervistati pensano che in particolare questo concept di ricarica dei veicoli elettrici potrebbe essere interessante per quei soggetti (compagnie di autonoleggio, car sharing e taxi) che potrebbero sfruttare la piccola “scala” per effettuare delle installazioni di dimensioni limitate, in termini di numerosità delle stazioni di sostituzione delle batterie e di numero di batterie presenti in ciascuna stazione. Ciò consentirebbe di limitare l’investimento necessario (la ragione del fallimento di BetterPlace) e, in secondo luogo, di limitare il problema della standardizzazione dei veicoli (in termini di dimensioni delle batterie e di modalità di montaggio/smontaggio) ad un numero contenuto di veicoli.

Ben consci di questo problema, la Delibera AEEG ARG/elt 242/10, del 15 dicembre 2010 ha avviato – con una certa lungimiranza a dire il vero trattandosi ormai di quasi due anni e mezzo addietro rispetto al momento in cui viene redatto questo Rapporto ed in un periodo dove ancora poco si parlava di auto elettrica – un procedimento di selezione di un massimo di sei progetti pilota da portare a conclusione entro il 31 dicembre 2015, con l’obiettivo di accompagnare lo sviluppo e la diffusione su larga scala della mobilità elettrica.

I progetti pilota, indipendentemente dal tipo di soggetto attuatore, garantiscono una copertura dei costi sostenuti per la realizzazione e l’esercizio delle infrastrutture di ricarica pari a 728,00 €/anno per punto di prelievo per la ricarica dei veicoli elettrici (fino al 31 dicembre 2015).Un incentivo quindi che appare sulla carta considerevole se si considera che il costo di investimento per una colonnina di ricarica è nell’ordine dei 3.000-5.000 €.

I soggetti che potevano portare avanti questi progetti pilota sono di tre tipi: (i) le imprese distributrici di energia elettrica nella propria area di concessione, in maniera esclusiva e con una modalità che prende il nome di “modello distributore”, ossia dove è il distributore elettrico a gestire in maniera esclusiva l’infrastrutturazione di ricarica per la mobilità elettrica; (ii) un soggetto, anche diverso dal distributore, e che comunque operi in regime di esclusiva (a seguito di gara o concessione) su un’area definita dalla Regione o dal Comune o altro Ente locale, con una modalità che prende il nome di “modello service provider in esclusiva”; (iii) soggetti anche diversi dai precedenti ed operanti in regime di concorrenza (“modello service provider in concorrenza”, seppur con l’intervento del Comune o altro Ente locale per definire i “requisiti minimi” e le condizioni per l’esercizio del servizio e dell’infrastruttura di ricarica.

A quasi due anni dalla selezione dei progetti pilota ammessi – solo 5 sui 6 a disposizione e con sole 10 domande complessivamente presentate – la situazione non è certo esaltante, con percentuali di completamento rispetto alle attese decisamente limitate (ed in 2 casi su 5 pari sostanzialmente a zero).

Diverse sono le ragioni di questi ritardi ma in particolare, dal confronto con gli operatori coinvolti, sono emerse le seguenti: (i) la difficoltà del coinvolgimento delle amministrazioni comunali, interlocutori indispensabili per l’infrastrutturazione della rete; (ii) la difficoltà, decisamente superiore rispetto alle attese, di introduzione dei veicoli elettrici nelle flotte pilota; e (iii) lo scarso successo presso gli utenti delle colonnine pubbliche di ricarica,evidentemente giudicate inadatte non tanto ai ritmi degli spostamenti quanto alle abitudini di “rifornimento carburante”.

Gli operatori contavano poi su una maggiore diffusione dei veicoli elettrici fra gli utenti privati, che avrebbe dovuto evidentemente fare da volano per la buona riuscita dei progetti pilota. Purtroppo però alla fine del 2012 erano in circolazione – rispetto alle previsioni che circolavano nel 2010 – nel nostro Paese solo l’1-2% dei veicoli elettrici.

Con riferimento ai veicoli puramente elettrici, infatti, nel 2012 sono stati immatricolati solamente 524 veicoli, pari allo 0,04% delle immatricolazioni complessive, e se si guarda ai primi cinque mesi del 2013 non si è assistito a “scossoni” positivi, viceversa la crescita delle immatricolazioni si è rivelata contenuta rispetto ai valori registrati nello stesso periodo del 2012. Anche l’infrastruttura di ricarica pubblica appare diffondersi con una certa lentezza sul territorio nazionale, in coerenza con la dinamica delle vendite dei veicoli: si registrano infatti solamente 458 punti di ricarica nel nostro Paese, peraltro con una significativa polarizzazione territoriale (le prime tre provincie per numero di colonnine, ossia rispettivamente Firenze, Roma e Milano, raggiungono oltre il 50% del totale nazionale).

Le vendite di veicoli elettrici ad oggi si ripartiscono in maniera piuttosto disomogenea tra i diversi targetpotenziali di clientela: emerge infatti che circa l’80% delle immatricolazioni effettuate nel 2012 è ascrivibile a società di noleggio, mentre le flotte auto e (soprattutto) gli utenti privati ricoprono un ruolo marginale.

Qualcosa si sta muovendo però sul fronte incentivazioni per tentare di dare una “scossa” a questo mercato.

 

Nel Gennaio 2013 si è dato il via al meccanismo incentivante per l’acquisto di veicoli a basse emissioni tra cui (ovviamente a emissioni zero) i veicoli elettrici, al servizio del quale sono stati messi a disposizione complessivamente 40 milioni di € per il 2013 e 35 e 45 rispettivamente per il 2014 ed il 2015.

Nel caso delle auto elettriche, che rappresentano la categoria di riferimento per i veicoli rientranti nella categoria di emissioni < 50g/km (al netto di alcune ibride plug-in), il contributo massimo è pari a 5.000 €. Valore che, nella maggior parte dei casi risulta nell’ordine del 10-15% sul prezzo di acquisto, forse quindi ancora troppo basso per coprire il gap rispetto ai veicoli a combustione “tradizionali”.

Per ottenere gli incentivi, poi, i veicoli devono essere acquistati ed immatricolati per la prima volta tra il 14 marzo 2013 ed il 31 dicembre 2015. Inoltre, fatta eccezione per una quota parte ridotta del contingente complessivo destinato all’incentivazione (pari a 4,5 mln € sul totale di 40 mln € nel 2013, accessibile a tutte le categorie di acquirenti senza necessità di rottamazione), nel caso in cui ad acquistare il veicolosianoimprese o lavoratori autonomi è necessario che l’acquisto avvenga contestualmente alla rottamazione di un veicolo che soddisfi i seguenti requisiti: (i) appartenere alla medesima categoria di quello acquistato; (ii) risultare immatricolato da almeno 10 anni prima della data di acquisto del veicolo nuovo; (iii) essere intestato da almeno 12 mesi dalla data di acquisto del veicolo nuovo allo stesso soggetto intestatario del nuovo o ad uno dei familiari conviventi alla data di acquisto; (iv) essere obbligatoriamente avviato alla rottamazione.

A tre mesi dall’entrata in vigore hanno goduto dell’incentivazione 1.720 veicoli, meno di 20 veicoli al giorno mediamente contro i circa 300.000 veicoli venduti nello stesso periodo riferibili ad alimentazioni “tradizionali”, di cui solo il 13% (228 unità) rappresentato da veicoli elettrici.

La necessità di rottamare un veicolo obsoleto (tra le altre cose, di età superiore ai 10 anni) contestualmente all’acquisto di un veicolo a basse emissioni, ha decisamente limitato il ricorso allo strumento da parte delle imprese e dei professionisti, potenzialmente invece il mercato più interessante e con la maggior quota di risorse a disposizione. In particolare, anche a detta degli operatori del settore, la condizione circa l’età del veicolo da rottamare appare “stranamente” molto poco coerente con le abitudini medie di questo segmento di mercato, nel quale i veicoli hanno tipicamente una vita utile decisamente inferiore a 10 anni.

Il contingente di 4,5 mln € (1,5 mln € per le auto elettriche) destinato a tutte le categorie di acquirenti senza obbligo di rottamazione è andato di contro eroso molto rapidamente a pochi giorni dall’inizio dell’incentivazione, dimostrando comunque una certa dinamicità del mercato, o per lo meno la presenza di un certo numero di acquirenti disposti a giocare il ruolo di earlyadopters..

Appare pertanto opportuno, e su questo diversi operatori del settore si trovano concordi, rivedere l’architettura del meccanismo incentivante, in particolare dedicando un budget più ampio esclusivamente per i veicoli elettrici.

Così come appare ormai non più a lungo procrastinabile la approvazione del “Piano Nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica” (presentato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), già in ritardo di quasi sei mesi e che invece dovrebbe garantire al Paese livelli minimi uniformi di accessibilità al servizio di ricarica dei veicoli elettrici.

Condizioni queste senza le quali appare purtroppo velleitario parlare di mobilità elettrica come una delle componenti fondamentali delle smartgrid nel nostro Paese.

Lo Smart Grid Report sarà presentato in un convegno a Milano il prossimo 9 luglio, alle 9.30, (Politecnico di Milano, Aula Dé Carli, Via Durando 10)

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