Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS)



Il primo progetto ufficialmente registrato con il sistema di certificazione GBC Historic Building.

Il progetto del Nuovo Museo Nazionale dell’Ebraismo e della Shoah ha acceso discussioni sulle tematiche che coinvolgono la realtà intellettuale nazionale ma non solo. Uno degli argomenti discussi, è il ruolo ed il significato che deve avere oggi un museo rispetto alla città che lo ospita. Fra i più pregevoli esempi contemporanei si delineano due principali atteggiamenti: il museo inteso come luogo aperto alla città che lo ospita – viene in mente la Tate Modern di Londra con la grande hall accessibile a tutti su due lati, vera e propria piazza coperta a servizio della capitale del Regno Unito, dove installazioni come The Weather Project di Olafur Eliasson o Sunflower Seeds di Ai Weiwei erano visitabili senza filtro alcuno e gratuitamente – o l’atteggiamento inverso, che vede il museo come luogo protetto, inclusivo, esaltazione della scissione fra un mondo esterno ed un interno, legato all’arte. Il duplice atteggiamento riflette il ben più ampio tema del ruolo dell’arte e della sua funzione sociale. La complessità diventa maggiore se oggetto del museo è il tema della memoria in generale e di quella ebraica in particolare. Sempre gli esempi recenti aiutano a delineare le varie possibilità. Il Jewish Museum di Berlino di Daniel Libeskind è esso stesso generatore di significato al punto che l’allestimento interno sembra avere un ruolo di secondo piano rispetto agli spazi sapientemente calibrati dall’architetto americano.

vista principale

Il MEIS come luogo della città

Interamente finanziata dal Ministero dei beni e delle attività culturali, la futura sede del MEIS verrà realizzata dalla trasformazione e parziale recupero delle ex carceri di Ferrara di via Piangipane, costruite nel 1912 e dismesse nel 1992. Il complesso penitenziario occupa un’area prossima alle mura sud ovest, al ghetto e agli elementi che manifestano la storica e profonda presenza ebraica nella città estense. Una posizione quindi centrale nel tessuto storico di Ferrara, rafforzata dal progetto di riqualificazione della Darsena. L’intenzione progettuale è stata, dunque, di sfruttare le importanti premesse per creare un nuovo centro in termini culturali, ma anche fisici e urbani. Ci si è da subito posti il problema della trasformazione di un luogo come un carcere, che per tipologia è chiuso e protetto, a luogo aperto, di passaggio, di sosta.

Vista interna

Per raggiungere lo scopo, il progetto prevede di intervenire sullo spesso recinto carcerario, rendendolo poroso attraverso una serie di aperture lungo tutto il perimetro. L’ex muro di cinta diventa così diaframma permeabile e come un diaframma l’edificio diviene un elemento capace di aprirsi e chiudersi per definire le relazioni con il contesto inteso nel senso più ampio: contesto fisico, naturale, storico. Le relazioni costruite cercano di intercettare le diverse nature eterogenee che costituiscono la città: quelle urbane, ambientali, culturali, e mettersi in rete con esse. All’interno dell’ex perimetro carcerario si sviluppa il parco. Il disegno di quest’ultimo si ispira a quello dei giardini rinascimentali italiani, ma interpretato formalmente in chiave contemporanea attraverso un pattern a pixel scavato dai flussi della circolazione interna.

Plastico MEIS

Il MEIS, museo “libro” della memoria

Il progetto svicola dalla dicotomia tra oggetto autoreferenziale e semplice contenitore asettico. Cinque volumi, che richiamano simbolicamente i cinque libri della Torah, costituiscono insieme all’edificio C (l’unico conservato) il complesso museale ed esauriscono il valore simbolico dell’opera. Il tema del libro, di per sé così forte, viene poi integrato da spazi espositivi semplici e flessibili, adattabili a futuri allestimenti e quindi non vincolati dal punto di vista spaziale. I cinque edifici-libro, sospesi per permettere una forte permeabilità visiva al livello del parco, accolgono le varie funzioni del museo e scandiscono lo spazio all’interno delle mura. Al suo interno, il museo è interpretato come luogo dalle possibilità mutevoli. Il riferimento è il teatro con le sue variazioni scenografiche: come una serie di quinte i setti portanti dell’edificio consentono un uso variabile e libero degli spazi espositivi. Passi salienti della Torah, riportati in bassorilievo o con lettere estruse, compongono i prospetti dei volumi “libro” e regolano la luce all’interno. Gli edifici sono pensati come unità funzionali indipendenti, rendendo possibile l’impostazione del cantiere in più fasi.

Dettagli dei prospetti

L’articolazione in più corpi consente inoltre di rendere autonome le singole componenti funzionali del complesso museale permettendo agli spazi espostivi, all’auditorium, alla biblioteca, al ristorante di avere completa autonomia gestionale, attraverso accessi, servizi e percorsi indipendenti. La luce di tutti gli ambienti è zenitale, indiretta e diffusa attraverso i brise soleil fotovoltaici. Sulle teste dei blocchi espositivi, attraverso delle aperture verticali, la città entra a far parte in modo puntuale dello spazio interno. La struttura delle unità funzionali è costituita da muri portanti in cemento i quali poggiano, al piano terra su setti puntuali, in modo da liberare il più possibile lo spazio alla quota terrena. Tali elementi, cavi al loro interno, fungono anche come cavedi tecnici da utilizzare per il passaggio e la distribuzione verticale degli impianti tecnologici. Alcuni tagli nei solai ai vari piani, producono l’effetto “camino” di ventilazione, in modo da limitare la necessità di aerazione meccanica. L’edificio è, infatti, pensato per essere energeticamente autonomo attraverso l’installazione di pannelli fotovoltaici integrati con una copertura in grado di soddisfare il fabbisogno energetico stimato in 90 KW. L’acqua, omaggio alla città estense, raccolta nelle vasche del parco contribuisce ad ottenere un microclima confortevole e ad abbassare sensibilmente la temperatura percepita.

Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS) 1

Il MEIS e il contesto esistente

Fra le varie ipotesi di conservazione della struttura esistente, il progetto opta per quella più drastica che prevede la sola conservazione dell’edificio C delle celle carcerarie e della cinta muraria che comprende quello che era l’accesso al complesso penitenziario. L’atteggiamento perseguito implica una rigida selezione dell’esistente in funzione della qualità dei manufatti e non contempla la conservazione come atteggiamento di non-scelta. Coerentemente con questa scelta, l’innesto di architettura contemporanea rifiuta ogni atteggiamento mimetico: è invece occasione per ricostruire gli equilibri spaziali necessari ai fini della rifunzionalizzazione del complesso. Il restauro si configura quindi come un intervento sostanzialmente semplice, volto a tramandare al futuro la vita fisica della fabbrica attraverso la conservazione delle sue tracce storico artistiche.

Montaggio di un allestimento

Come si è ormai affermato ovunque nel mondo, un museo non è più soltanto una raccolta di oggetti, anche bellissimi, ma strumento e luogo per comunicare significati, idee, memorie, cultura. Pochi importanti oggetti significativi, opere d’arte, oggetti d’uso fungono da potenti richiami alla storia e al tema dell’ebraismo, ma anche tabelle, diagrammi e immagini. Ecco, immagini, da aggiornare e adattare continuamente alla sensibilità del visitatore dell’epoca. Fare un progetto multimediale per un museo ricco di memoria storica e di riferimenti iconografici come il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah implica un utilizzo a tutto campo delle potenzialità del mezzo video. Da un lato si tratta di organizzare e rendere fruibile il materiale storico – fatto di filmati, fotografie, disegni, documenti cartacei d’ogni tipo – nella maniera più funzionale possibile, dall’altro si deve, con grandi immagini in movimento a forte impatto scenico, aiutare lo spettatore ad identificare in un attimo le grandi aree d’intervento all’interno dello spazio architettonico, immergendolo al contempo nell’atmosfera che queste disegnano. Sono due interventi con dinamiche progettuali diverse ma che alla fine si devono integrare in un tutto unico.



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