Combustibili fossili e carbon capture: dalla ricerca emergono nuovi elementi critici

Due ricerche pongono nuovi elementi di criticità su combustibili fossili e carbon capture: i primi hanno visto raddoppiare il sostegno pubblico, mentre la seconda è fallimentare e per niente green

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Nel 2021 quasi raddoppiato il sostegno ai combustibili fossili

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Nuove nubi su combustibili fossili e carbon capture. Partiamo dai primi: malgrado gli obiettivi da più parti dichiarati per puntare su decarbonizzazione e transizione energetica, si scopre che nel 2021 il sostegno ai combustibili fossili è quasi raddoppiato. Lo rivela uno studio OCSE e IEA. Dall’analisi emerge che il sostegno governativo a livello globale è quasi raddoppiato, passando da 362,4 miliardi di dollari del 2020 a 697,2 miliardi di dollari l’anno successivo.

Anche sulla tecnologia per la cattura e stoccaggio della CO2 (invocata spesso come misura positiva) non ne esce bene. Tutt’altro: uno studio dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) ha messo in luce che su 13 progetti faro, dieci di essi sono falliti o hanno ottenuto risultati inferiori alle capacità progettate, per lo più con ampi margini. Non solo non funzionano, ma – rilevano gli analisti – sono per lo più impiegati per il recupero del petrolio e non per effettivi fini “carbon neutral”.

Petrolio, gas e gli altri: così in un anno sono quasi raddoppiati gli incentivi

Combustibili fossili e carbon capture non escono per niente bene da queste due analisi. Per quanto riguarda petrolio, gas & C. lo studio condotto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e dall’Agenzia Internazionale per l’energia evidenzia che le responsabilità del sostegno in forte aumento per i fossili sono diffuse.

Secondo OCSE e AIE, infatti, il sostegno governativo complessivo ai combustibili fossili è fornito da 51 grandi economie, tra cui la stessa area OCSE, il G20 e altre 33 grandi economie produttrici e consumatrici di energia, che rappresentano circa l’85% dell’approvvigionamento energetico totale del mondo. La tendenza non cambierà nell’anno in corso, prevedono, tutt’altro. I sussidi al consumo aumenteranno ulteriormente nel 2022 a causa dell’aumento dei prezzi dei combustibili e dei consumi.

I motivi alla base del sostegno pubblico rafforzato ai fossili sono da rintracciare nell’incremento dei prezzi dell’energia grazie alla ripresa dell’economia globale.

Sostegno ai combustibili fossili in 51 paesi dal 2010 al 2021

I motivi del sostegno aumentato ai fossili e il focus sui Paesi del G20

Le principali economie hanno aumentato drasticamente il sostegno alla produzione e al consumo di carbone, petrolio e gas naturale, con molti Paesi che stanno lottando per bilanciare gli impegni presi da tempo per eliminare gradualmente gli inefficienti sussidi ai combustibili fossili con gli sforzi per proteggere le famiglie dall’impennata dei prezzi dell’energia.

L’invasione della Russia a spese dell’Ucraina “ha causato un forte aumento dei prezzi dell’energia e ha minato la sicurezza energetica. Gli aumenti significativi dei sussidi ai combustibili fossili incoraggiano gli sprechi di consumo, ma non raggiungono necessariamente le famiglie a basso reddito”, ha affermato Mathias Cormann, Segretario generale dell’OCSE.

Nello specifico, l’analisi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sui trasferimenti di bilancio e le agevolazioni fiscali legate alla produzione e all’uso di carbone, petrolio, gas & C. nelle economie del G20 ha mostrato che il sostegno totale ai combustibili fossili è salito a 190 miliardi di dollari nel 2021 rispetto ai 147 miliardi registrati nel 2020. “Il sostegno ai produttori ha raggiunto livelli mai visti prima nelle attività di monitoraggio dell’OCSE”, segnala lo studio: lo scorso anno ha raggiunto, infatti, i 64 miliardi di dollari, con un aumento di quasi il 50% rispetto al 2020 e del 17% rispetto ai livelli del 2019. Questi sussidi – evidenzia ancora l’analisi – hanno in parte compensato le perdite subite dai produttori a causa dei controlli sui prezzi interni, in seguito all’impennata dei prezzi energetici globali alla fine del 2021. La stima del sostegno ai consumatori ha raggiunto i 115 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 93 miliardi di dollari del 2020.

Combustibili fossili e carbon capture: due elementi uniti, ma per niente green

Le tecnologie carbon capture and storage (CCS), ovvero di cattura e stoccaggio della CO2 sono ancora oggi fonte di acceso dibattito tra studiosi ed esperti, come già messo in luce dall’IPCC che pure aveva scritto non più tardi dello scorso aprile che:

se collocata all’interno di un piano di azioni di mitigazione, la CCS può fornire un valido contributo per un futuro a basse emissioni di carbonio.”

Combustibili fossili e carbon capture: due elementi uniti, ma per niente green

L’analisi pubblicata in questi giorni dalla IEEFA è assai critica. L’istituto, che esamina le questioni relative ai mercati, alle tendenze e alle politiche energetiche, ha innanzitutto rilevato che non è una tecnologia nuova. È nata negli anni Settanta con il nome di enhanced oil recovery (recupero petrolifero potenziato) con la funzione di re iniettare l’anidride carbonica, recuperata dalla produzione di petrolio e gas, nei giacimenti di petrolio e gas esauriti per ripressurizzarli ed estrarre più idrocarburi. Attualmente più del 70% dei progetti di cattura del carbonio sono pensati per produrre più petrolio e gas, “con conseguente aumento delle emissioni di gas serra”, scrivono.

Nonostante abbia decenni di impiego, la CCS è una “tecnologia problematica”. La motivazione la offre proprio lo studio dell’IEEFA: dopo avere esaminato la capacità e le prestazioni di 13 progetti faro, ha rilevato che dieci di essi sono falliti o hanno ottenuto risultati inferiori alle capacità progettate, per lo più con ampi margini.

Oltre alle scarse prestazioni dei progetti di cattura del carbonio, dal 2000 la cattura del carbonio nelle centrali elettriche ha registrato una serie di fallimenti tecnici. Quasi il 90% della capacità di cattura del carbonio proposta a livello mondiale nel settore energetico è fallita nella fase di realizzazione o è stata sospesa anticipatamente. Anche se l’anidride carbonica può essere iniettata nel sottosuolo, non ci sono garanzie che rimanga lì e non si disperda nell’atmosfera, scrivono ancora gli analisti IEEFA, portando due esempi di incidenti in tal senso in California e in Algeria.

Oltre che per buona parte fallimentare, non è neppure green come spesso viene considerata. Lo stesso team di analisti dell’Istituto spiega perché. L’etichetta “carbon-neutral” è stata ottenuta utilizzando la cattura del carbonio per catturare il 10-15% delle emissioni “Scope 1” e “Scope 2” (le emissioni generate dalla produzione di gas naturale) durante il processo di produzione del gas o acquistando compensazioni di carbonio. Tuttavia, fino al 90% delle emissioni di petrolio e gas non si verifica durante la produzione.

“Queste emissioni, chiamate emissioni Scope 3, si verificano invece quando il prodotto viene effettivamente utilizzato, cioè bruciato. Come dimostrato dal nostro studio, la cattura delle emissioni Scope 3, la fetta più grande di emissioni create dall’utilizzo del prodotto, non viene presa in considerazione in queste dichiarazioni carbon-neutral”.

Da qui le conclusioni: la tecnologia carbon capture è stata utilizzata come giustificazione per nuovi progetti nel settore del petrolio e del gas. “Ha una storia di scarse prestazioni, cattura solo una frazione delle emissioni totali del ciclo di vita della produzione di petrolio e gas e la sua efficacia a lungo termine è discutibile”. La chiusura è netta: “non è una soluzione per un mondo soggetto a vincoli climatici”.

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