La produzione dei rifiuti torna indietro di 20 anni, con il lockdown è scesa a meno 10%

La colpa è del coronavirus secondo la relazione della commissione Ecomafie sull’emergenza epidemiologica Covid-19 e il ciclo dei rifiuti. In linea con le previsioni sul crollo del Pil, la quantità totale a fine anno dovrebbe arrivare a 28,7 milioni di tonnellate. Ma bisogna calcolare il raddoppio dei rifiuti sanitari. E anche quelli derivanti dall’uso quotidiano di mascherine e guanti che potrebbero essere alla fine del 2020 circa 300mila tonnellate. L’allarme sui rischi portati dall’introduzione di misure “derogatorie adottate sui rifiuti” che “possono portare a un aumento delle quantità presenti negli impianti con possibili conseguenti irregolarità” e che potrebbe “favorire fenomeni di gestione illegale”, tenendo anche presente le “aziende del settore in situazioni di difficoltà”.

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La produzione dei rifiuti torna indietro di 20 anni, con il lockdown è scesa a meno 10%

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Una riduzione della produzione dei rifiuti urbani che, in linea con le previsioni sul crollo del Pil, potrebbe portare la quantità totale a fine anno al livello di venti anni fa, e cioè a 28,7 milioni di tonnellate. Bisogna però calcolare anche il raddoppio dei rifiuti sanitari, che con le mascherine fanno un balzo in avanti. La fotografia dell’impatto del coronavirus sulla filiera del settore l’ha scatta la commissione Ecomafie ed è contenuta nella relazione, da poco approvata, ‘Emergenza epidemiologica Covid-19 e ciclo dei rifiuti‘.

La produzione e il lockdown

In base all’analisi dei dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) “i rifiuti urbani nel bimestre marzo e aprile 2020 sono diminuiti di circa il 10%”, pari a “meno 500mila tonnellate”.

E, seguendo la linea del segno discendente del Pil, “la produzione dei rifiuti urbani alla fine del 2020 potrebbe ammontare a circa 28,7 milioni di tonnellate, dato confrontabile con quello del 2000”.

Mentre sono aumentati “i rifiuti sanitari a rischio infettivo”; e anche se ancora non è possibile fare una valutazione corretta, “i dati mostrano una capacità degli impianti pari a 340mila tonnellate, a fronte delle 144mila trattate nel 2018”.

I rifiuti derivanti “dall’uso quotidiano e diffuso di dispositivi di protezione come mascherine e guanti” potrebbero essere alla fine del 2020 compresi tra le 160mila e le 440mila tonnellate, con un valore medio di 300mila tonnellate. La commissione auspica che questi “rifiuti si riducano”, per esempio facendo presente che “la funzione delle mascherine può essere assolta” da quelle “chirurgiche utilizzate in forma alternata o protratta per un totale di 6 ore e da mascherine di comunità riutilizzabili”; e che “l’uso dei guanti non reca vantaggio per il contenimento dei contagi ed è utile solo in particolari situazioni lavorative” così come “nella ristorazione non è indispensabile l’uso di contenitori e stoviglie usa e getta”. Inoltre è “una criticità l’abbandono incontrollato” di questi dispositivi di protezione “dismessi”; è per questo che “sarebbe opportuno organizzare adeguati punti di raccolta”.

Il blocco delle filiere dell’economia circolare

Secondo la relazione della commissione questi volumi sono “gestibili dal sistema impiantistico italiano senza squilibri”. Soltanto sul fronte del ciclo dei rifiuti, durante le settimane di lockdown, sono state “riscontrate difficoltà nella gestione di alcuni flussi destinati al recupero di materia”, al riciclo, a causa della “forte riduzione degli acquisiti”, della raccolta, e per “la sospensione delle attività”; come per esempio, tra gli altri, per “le plastiche” dei Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) o degli pneumatici fuori uso.

Sul fronte del ciclo dei rifiuti – spiega la relazione “l’emergenza epidemiologica non ha prodotto interruzioni o alterazioni significative nella gestione, nonostante alcune fasi di difficoltà”. Inoltre “non si sono riscontrati fenomeni di maggiore diffusione del virus tra gli operatori”.

L’allarme sulle deroghe

Ed è per questo che avverte sui rischi portati dall’introduzione di misure “derogatorie adottate sui rifiuti”, dal momento che “non sono state sempre giustificate da reali esigenze operative e gestionali, considerando che l’emergenza epidemiologica ha comportato in generale una riduzione della produzione di rifiuti”.

Si tratta, osserva la commissione, di deroghe che – contenute in norme messe a punto per fronteggiare il coronavirus e in indicazioni del ministero dell’Ambiente alle Regioni – “possono portare a un aumento delle quantità presenti negli impianti con possibili conseguenti irregolarità”.

Il risultato è una disciplina regolatoria non uniforme su tutto il territorio nazionale che ha suscitato qualche perplessità sin dalla fase iniziale e qualche incertezza negli operatori.

Oggi, in alcune Regioni, la capacità di stoccaggio può essere aumentata nel limite massimo del 50%, in altre del 20% o del 30%. Le indicazioni ministeriali hanno anche favorito l’adozione di ordinanze regionali volte ad incrementare la durata del deposito dei rifiuti urbani presso i centri di raccolta, nonché ad autorizzare gli impianti di incenerimento a raggiungere la capacità termica massima valutata in sede di autorizzazione. La deroga e la modifica alle autorizzazioni e la Scia come disciplina derogatoria generale e non limitata ad alcune categorie di rifiuti, sono un “combinato disposto” che potrebbe “favorire fenomeni di gestione illegale”, tenendo anche presente le “aziende del settore in situazioni di difficoltà”.

Basta emergenza, un nuovo scenario

Cambia lo scenario. Si apre la fase post-emergenza da Covid-19 anche per i rifiuti. In questo momento, bisogna capire come avere un approccio strutturale alla gestione e fare in modo che l’emergenza non sia tale per sempre.

Questo il motivo che ha spinto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ad aprire un tavolo, tenendo insieme l’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra), l’Istituto superiore di sanità (Iss) e gli operatori del settore. “Adesso – osserva Costa – è il momento di strutturare diversamente l’intervento, sia a livello governativo che a livello parlamentare. Oggi in una fase post-Covid cambia lo scenario. Per questo abbiamo aperto un tavolo al ministero, sull’analisi del flusso dei rifiuti” perché cerchiamo di capire come “il sistema abbia tenuto durante la fase emergenziale e come si stia orientando adesso”, e “ci preoccupiamo che la situazione emergenziale non rimanga” tale “per sempre”.

Secondo il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri “il nostro sistema ha retto, e lo ha fatto bene; non ci sono stati picchi di contagio tra gli operatori, e il servizio non è stato interrotto. Le Linee guida dell’Iss sono state importanti per gestire una mole di materiale che via via è aumentato. Ma la sfida che abbiamo davanti è ancora più lunga. L’emergenza è passata, ora ci troviamo in fase di urgenza; dinnanzi abbiamo moltissimi altri mesi di materiale consumabile che dovrà essere smaltito in maniera adeguata”.

Le raccomandazioni della commissione

Nella parte finale la relazione offre alcune indicazioni come per esempio rispettare i principi nazionali ed europei in materia di economia circolare e degli obiettivi in questo campo; affrontare il tema dell’end of waste sistematicamente, rapidamente e con uno sguardo al futuro; considerare l’impatto economico dell’emergenza sulle tariffe e sugli introiti delle imprese e degli enti pubblici con particolare riguardo alla sospensione della riscossione della Tari. Inoltre viene chiesto di investire in ricerca e tecnologica per l’uso di Dpi, sia per quanto riguarda la raccolta e il trattamento sia per lo sviluppo di nuovi materiali più sostenibili. E in particolare suggerisce di superare le norme derogatorie statali e le ordinanze derogatorie regionali; ponderare e compensare l’accoglimento di istanze di semplificazione in materia di regolazione ambientale con una adeguata pianificazione di controlli; razionalizzare l’intervento pubblico sul fronte dei controlli ambientali, coordinando le azioni in tal senso di agenzie di controllo ambientale.

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