Idrogeno: cosa fare in Italia per realizzare gli obiettivi UE

L’associazione H2IT, dopo aver analizzato scenario e stato dell’arte nella mobilità, ha presentato una serie di proposte indicando come prioritario il sostegno alla realizzazione di una rete di stazioni di rifornimento per l’idrogeno entro il 2026

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Idrogeno: cosa fare in Italia per realizzare gli obiettivi UE

H2IT, Associazione italiana idrogeno, ha presentato il report “Sviluppo di Stazioni di rifornimento idrogeno – Barriere normative e scenari di implementazione”. Il documento analizza il quadro normativo europeo e italiano e propone soluzioni per favorire lo sviluppo della mobilità a idrogeno in ambito stradale, ferroviario e portuale.

L’idrogeno è uno dei vettori energetici fondamentali per la mobilità del futuro, per ridurre del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e per raggiungere l’obiettivo NetZero al 2050, come impone la tabella di marcia europea.

La transizione è già iniziata, lo dimostra il fatto che nel corso degli ultimi anni il numero dei mezzi di trasporto a idrogeno è cresciuto notevolmente, sia su strada che su rotaia. Nel 2021 le nuove immatricolazioni di veicoli a idrogeno hanno segnato un incremento del +22% rispetto al 2020. Il 2023 potrebbe essere l’anno della svolta. Il paese più all’avanguardia è la Germania, che ha registrato un +70%, seguito da Paesi Bassi e Svizzera.

Idrogeno: a che punto siamo in Italia

L’Italia ha iniziato a muovere i primi passi: il MIT ha approvato 36 progetti di stazioni di rifornimento a idrogeno sul territorio nazionale, per realizzarle è previsto un investimento di 103,5 milioni di euro. Proprio la mancanza di una rete di stazioni di rifornimento ha finora di fatto limitato la crescita del mercato nel nostro Paese.

Nell’ambito del PNRR, sono stati previsti 3,64 miliardi € per la filiera idrogeno. Di questi, 530 milioni € saranno destinati alla costruzione di stazioni per il trasporto stradale (230 milioni, 40 stazioni) e ferroviario (300 milioni per 10 stazioni) entro il 2026.

In particolare, l’idrogeno dovrà rivoluzionare il trasporto stradale pesante. Le Linee Guida Preliminari della Strategia Italiana Idrogeno del MISE indicano che il 2% della flotta nazionale di camion a lungo raggio al 2030 dovrà essere alimentato a idrogeno, facendo da apripista alla mobilità leggera.

Il ruolo della normativa

Il quadro normativo, di conseguenza, dovrà supportare e incoraggiare la filiera nel raggiungimento di questi obiettivi. Tra le norme più significative, citiamo l’Alternative fuel infrastructure regulation (AFIR) che la UE vuole implementare nell’ambito del pacchetto Fit For 55, che impatta sulla distribuzione delle stazioni di rifornimento. Prevede, per esempio, una distanza di 100 km tra una stazione e l’altra sui corridoi strategici, un obiettivo ancora lontano per l’Italia.

Oggi nel nostro Paese la normativa è ancora molto stringente rispetto a quella in vigore in altri Paesi: potremmo prendere esempio dalle leggi europee per accelerare la transizione, ottenere tempistiche autorizzative più brevi e far partire i progetti.

Le proposte di H2IT per la mobilità a idrogeno in Italia

H2IT propone quindi, per prima cosa, di allineare e integrare la cornice normativa italiana con quella europea, prendendo esempio dai Paesi più all’avanguardia. Il decreto del 23 ottobre 2018 andrebbe inoltre rivisto, per rendere omogenea e chiara la normativa su tutto il territorio e incentivare gli investimenti privati.

Serve inoltre rivedere le disposizioni che riguardano dimensioni e caratteristiche delle stazioni di rifornimento, prevedendo un’impostazione modulare per aumentare in futuro la capacità di erogazione.

Sarebbe importante, inoltre, sviluppare nuove sinergie tra la rete di rifornimento autostradale e quella stradale/locale, inserendo il rifornimento di idrogeno all’interno di stazioni che offrano più tipologie di carburanti.

Infine, è importante posizionare strategicamente sul territorio nazionale le stazioni di rifornimento a idrogeno, valutando l’importanza di tratte e corridoi per l’economia italiana e dando priorità alle zone in cui si presentano condizioni favorevole di mercato.


27/12/2022

Idrogeno: crescono gli investimenti, ma occorrono norme e incentivi

Caro materiali e crisi energetica non frenano lo sviluppo della filiera dell’idrogeno, ma le aziende chiedono alla politica nuovi incentivi

Idrogeno: crescono gli investimenti, ma occorrono norme e incentivi

Investimenti in aumento (67%), fatturato in crescita (62%): è la fotografia scattata dall’Osservatorio sul settore idrogeno che H2IT, Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile, ha realizzato in collaborazione con Intesa Sanpaolo nell’ambito del progetto INNOVAHY. L’analisi ha coinvolto le imprese associate ad H2IT (grandi, PMI, start-up) rappresentanti di tutta la catena del valore, dai produttori gli utilizzatori finali. I numeri parlano di un settore che cresce, ma è ancora poco sviluppato. Basti pensare che l’incidenza dell’idrogeno sul fatturato totale delle aziende rispondenti è stata in media al 6% nel 2021.

Il ruolo dell’idrogeno nella transizione energetica

A fronte di uno scenario economico caratterizzato da inflazione, caro energia e quadro geopolitico complesso, il settore dell’idrogeno non si è fermato, anzi. Alcuni player sostengono che il contesto porti a risvolti positivi e il 38% vede aprirsi nuove opportunità di business.

Questo gas potrebbe infatti essere protagonista del percorso europeo al 2050 verso l’obiettivo zero emissioni della strategia europea e potrebbe contribuire a decarbonizzare molti settori. Anche perché le aziende stanno lavorando per innovare: più del 70% delle rispondenti ha un reparto R&D interno e il 7% ha intenzione di averlo nel prossimo futuro.

Inoltre il settore mette in campo numerose alleanze industriali: più del 70% delle innovazioni nascono dalla collaborazione tra aziende.

Nella pubblicazione Enea “Pianeta Idrogeno” del 2021 si stima che questo mercato in Italia potrebbe generare da 300 a 500 mila posti di lavoro entro il 2050. In realtà, però, al momento le imprese denunciano difficoltà nel reperire figure professionali con competenze tecniche e progettuali adeguate.

Quali sono i gap da colmare

Per fare innovazione e far crescere il comparto, però, occorrono incentivi e interventi legislativi semplificativi. A oggi risultano ancora marginali i fondi pubblici, sia europei (13%) che nazionali e regionali (10%).

Tra i gap da colmare, le aziende indicano la mancanza di un quadro normativo chiaro (79%) e l’incertezza di una domanda di mercato non ancora definita (69%), che andrebbe supportata quindi con incentivi strutturali. La metà delle aziende intervistate (50%) ritiene inoltre che i costi delle tecnologie siano ancora troppo elevati. La presenza in Italia di una filiera completa e competitiva è un punto di partenza importante ma, secondo l’83%, raggiungere gli obiettivi di produzione europei indicati nel programma Repower EU – cioè 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde nel 2030 – sarà possibile solo mettendo in campo forti interventi di policy e strategie nazionali di sviluppo.


4/11/22

Idrogeno verde e investimenti: basta fossili, 73 miliardi sulla transizione energetica

Il rincaro del gas ha incrementato gli investimenti sull’idrogeno verde, che hanno toccato i 73 miliardi di dollari, segnala un report di Carbon Tracker. Gli ostacoli ci sono, ma la ricerca prosegue

a cura di Andrea Ballocchi

Idrogeno verde e investimenti: basta fossili, 73 miliardi sulla transizione energeticaÈ giunta l’ora dell’idrogeno verde: gli investimenti degli ultimi mesi confermano la tendenza di aumento della produzione dell’idrogeno da elettrolisi. La leva della crescita di questo importante elemento della transizione energetica è da ricercare nella guerra in Ucraina. Proprio così: il conflitto e le conseguenze innescate, compreso il caro energia, hanno contribuito al raggiungimento di 73 miliardi di dollari di nuovi investimenti nell’idrogeno verde in pochi mesi. Ciò lo si deve al calo dei costi che – tra l’altro – ha reso antieconomico produrre idrogeno da combustibili fossili a causa dell’impennata dei prezzi del gas.

A metterlo in risalto è il report di Carbon Tracker, Clean Hydrogen’s Place in the Energy Transition. Secondo il documento a causa dell’aumento dei prezzi del gas, 100 miliardi di dollari di asset di “idrogeno fossile” potrebbero rimanere bloccati entro il 2030.

Idrogeno verde e investimenti: il caro prezzi gas spinge la corsa alla transizione energetica

La spinta all’idrogeno verde e agli investimenti relativi è stata offerta principalmente dalle conseguenze della decisione russa di invadere l’Ucraina, che ha provocato l’insicurezza sui rifornimenti di gas e il rialzo dei prezzi. Tutto questo ha determinato l’impennata del costo dell’idrogeno fossile (blu e grigio) del 70% rispetto ai livelli prebellici, “rendendo questi asset più costosi dell’idrogeno verde non fossile”, scrivono gli analisti di Carbon Tracker nel report. In esso si legge, inoltre, che il rapido investimento di capitale per l’idrogeno verde non fossile nei prossimi anni potrebbe far scendere il suo costo livellato sotto i 2 dollari/kg, rendendolo una delle forme di energia più economiche.

Idrogeno verde e investimenti: il caro prezzi gas spinge la corsa alla transizione energetica

L’importante investimento, da oltre 70 miliardi, è stato messo in atto da 25 Paesi, ma in particolare si nota un impegno maggiore da parte di Germania, Marocco e Stati Uniti. Inoltre “la produzione sarà dominata dal Sud mondiale, responsabile del 50% della produzione mondiale totale entro il 2050, con Sudafrica, Marocco e Cile che ne controlleranno la maggior parte”.

Europa e Asia, invece, rischiano di pagare in modo pesante i contraccolpi generati dall’impennata dei prezzi del gas in quanto i nuovi asset di idrogeno fossile (8 milioni di tonnellate) entreranno in funzione a partire da quest’anno. In generale, assommano a più di 100 miliardi di dollari gli asset che potrebbero arenarsi prima del 2030 a causa dei prezzi elevati, dell’insicurezza delle forniture e degli impegni a ridurre l’uso del gas naturale in linea con gli obiettivi net zero.

Gli ostacoli allo sviluppo dell’idrogeno verde

Anche se idrogeno verde e investimenti sono dati in crescita, a tutto vantaggio del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e di transizione energetica, ci sono fattori che peseranno nel percorso. Due in particolare: l’eccessivo consumo di acqua dolce e le inefficienze tecnologiche ed energetiche nella sua produzione. Queste rappresenteranno un freno alla crescita nel breve e medio termine.

Come si legge nel report:

“l’idrogeno verde giocherà un ruolo cruciale nella transizione energetica, ma le applicazioni dovranno concentrarsi sul settore agricolo (fertilizzanti) e sull’industria pesante (acciaio, trasporti pesanti, spedizioni, miniere) fino a quando l’innovazione tecnologica degli elettrolizzatori non migliorerà e l’utilizzo di acqua dolce non sarà ridotto”.

Un terzo dell’energia necessaria viene sprecato nella produzione, fino a un ulteriore 25% viene perso durante la liquefazione o la conversione in altri vettori come l’ammoniaca, mentre un altro 10% di energia propria dell’idrogeno viene consumato per il suo trasporto.

Il rapporto stima che la costruzione di un’economia verde dell’idrogeno richiederà tremila miliardi di dollari di investimenti entro il 2050, nell’ambito degli obiettivi Net-Zero.

Idrogeno da acqua di mare: la ricerca prosegue

Le inefficienze tecnologiche non fermeranno la corsa all’idrogeno verde e gli investimenti per il suo sviluppo serviranno anche ad affrontare e risolvere gli ostacoli. Già oggi si lavora per produrre green hydrogen a partire da acqua di mare. L’azienda svizzera EBH2 Systems e la canadese HPQ Silicon Resources stanno lavorando in sinergia per la messa a punto di tecnologia di elettrolisi a basso costo che, sulla carta, è in grado di produrre idrogeno verde “praticamente da qualsiasi fonte di acqua, compresa l’acqua salata”.

Idrogeno da acqua di mare: la ricerca prosegue

Il gruppo tedesco Schaeffler, fornitore di componenti per il settore automobilistico e industriale, ha avviato una divisione dedicata all’elettrolisi e ha completato un progetto pilota per produrre idrogeno verde dall’acqua di mare nei parchi eolici offshore. Lo studio di fattibilità è stato realizzato dalla start-up olandese Hydron Energy, parte del gruppo tedesco, insieme al Wageningen Food & Biobased Research: nel corso del progetto, denominato SEA2H2, il consorzio ha dimostrato che la produzione di idrogeno neutrale per il clima è possibile dall’acqua di mare.

Oltre all’interesse dei grandi gruppi industriali, ferve anche il lavoro nei centri di ricerca universitari: quest’anno un team del Texas Center for Superconductivity dell’Università di Houston (TcSUH) ha sviluppato uno speciale elettro catalizzatore per l’elettrolisi dell’acqua marina ad alte prestazioni. Il processo e la tecnologia sviluppati hanno il potenziale per ridurre la produzione di idrogeno a 1 dollaro al chilogrammo in futuro, con la previsione di una più ampia diffusione dell’energia solare ed eolica per alimentare l’elettrolisi che produce idrogeno dall’acqua di mare.


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