Siccità e soluzioni: i rimedi per il Po che possono salvare il Pil nazionale

Il Po è colpito dalla siccità. Le soluzioni nel breve-medio e lungo periodo ci sono: su di esse lavora AIPO, con un piano di rinaturazione del Po sostenuto nel PNRR e altre ipotesi allo studio

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Siccità e soluzioni: i rimedi per il Po che possono salvare il Pil nazionale

Il tema forte è la siccità, le soluzioni sono molto meno accennate. Eppure ci sono e potrebbero contribuire a ridurre il disastro annunciato che vive il Po. Il fiume più lungo d’Italia è il motore economico del nostro Paese: lungo il suo alveo si realizza il 35% dell’industria agricola nazionale e il 55% della zootecnia italiana. Inoltre è fondamentale per l’energia: il 55% della produzione idroelettrica nazionale dipende dal Grande Fiume. Si aggiunga anche la produzione industriale italiana: il 37% è legata intimamente al corso fluviale.

La siccità che riguarda il fiume Po è, quindi, o dovrebbe rappresentare un’emergenza nazionale. Cosa fare allora? Posto che i cambiamenti climatici, alla base di quanto sta avvenendo, vanno affrontati su scala globale, si possono e si devono trovare rimedi anche a livello locale. È quanto sta facendo l’AIPO (Agenzia Interregionale per il fiume Po), ente che cura la gestione del reticolo idrografico principale del maggiore bacino idrografico italiano. Opera su Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto. In poche parole, è l’Agenzia che si occupa di realizzare i lavori sul Po, provvedendo alla sicurezza idraulica e occupandosi anche degli aspetti riguardanti il demanio idrico, la navigazione e la tutela degli ambienti.

«Rispetto al passato, quando il problema principale era allontanare grandi quantitativi d’acqua nei momenti di piena, oggi il focus principale rimane lo stesso, ma con una differenza sostanziale: si è compreso che è cruciale la gestione di questi quantitativi idrici divenute risorse preziose e che non vanno disperse», spiega Marco Gardella, funzionario dello staff tecnico AIPO, già membro della segreteria tecnica dell’Osservatorio per gli utilizzi idrici per l’Autorità di Bacino del fiume Po.

La gestione dell’acqua e i vari problemi

Innanzitutto, per rispondere in modo efficace alla siccità con soluzioni mirate serve un coordinamento e un’attenzione sovra-locale. «Diventa impossibile riuscire ad affrontare gli effetti della crisi climatica con una architettura di enti progettata quando questo problema non era evidente. Come le infrastrutture devono evolversi per adattarsi al nuovo scenario e ai problemi connessi, così devono farlo anche gli enti: bisogna cambiare pelle oppure trovare un nuovo equilibrio per essere proattivi».

La gestione dell’acqua e i vari problemi

La gestione idrica è argomento complesso e spinoso, cui la normativa non aiuta certo: pensiamo solo che il Testo unico sull’acqua è stato varato nel lontano 1933. Inoltre, il servizio idrico integrato è in mano a oltre 2500 gestori su tutto il territorio nazionale, evidenzia un report di Cassa Depositi e Prestiti; di questi l’ 83% sono gestioni in economia operati direttamente dagli enti locali.

Per la gestione del Po va un po’ meglio. Al vertice c’è il Ministero dell’ambiente che sovrintende le autorità di bacino: ce ne sono sette, ognuna per un determinato distretto idrografico. Tra di esse c’è l’Autorità di Bacino distrettuale del Fiume Po, che conta sull’Osservatorio delle crisi idriche. Esso è nato per promuovere “la realizzazione di un sistema condiviso di monitoraggio in tempo reale del bilancio idrico, di previsione delle siccità e allerta precoce”. Si dovrebbe riunire mensilmente, «ma ahimè la frequenza è molto più stretta visto la gravità dei fenomeni», sottolinea Gardella. Questo, però, è un organo volontario: al tavolo siedono tutte le Regioni coinvolte, le Arpa regionali e tutti i portatori di interesse (energetico, agricolo, civile). «Dato il suo carattere volontario, non sono immediatamente attuate, ma necessitano dei decreti regionali per diventare effettive». Tanto per fare un esempio: l’anno scorso in sede di Osservatorio si era deciso per una riduzione del 20% i consumi idrici dell’agricoltura. «Sebbene questa misura è stata più volte approvata in sede di verbalizzazione dall’Osservatorio, il percorso “legislativo” è morto in questa sede, non risultando quindi efficace ai fini del contenimento delle crisi».

 Siccità e soluzioni: il piano per il Po del PNRR

Posta la situazione, su siccità e soluzioni ci si sta muovendo. Un progetto che va nella direzione di affrontare la situazione con un ampio respiro è il piano di rinaturazione del Po. Si tratta di un progetto avvallato in sede PNRR, per cui sono stati stanziati 357 milioni di euro: «nasce con l’ottica di dare spazio al fiume, ridando vigore al corridoio ecologico più importante in Italia, percorrendo quattro regioni. Uno degli obiettivi del piano è rendere efficiente la risorsa idrica all’interno dell’asta del fiume».

 Siccità e soluzioni: il piano per il Po del PNRR

I due attori attivamente coinvolti sono AIPO e l’Autorità di bacino. Sono quasi 28mila gli ettari interessati dal programma. Già oggi sono stati mappati 56 siti di intervento sul Po, come previsto nelle linee guida del Piano d’Azione, dove si prevede di piantumare due milioni di alberi. «Andremo a riattivare tutte le lanche abbandonate – spiega Gardella –. Si lavorerà per favorire una maggiore circolazione dell’acqua, intervenendo anche sui pennelli, ovvero le difese artificiali realizzate per evitare l’erosione e indirizzare il corso dell’acqua. Per questo si lavorerà sull’abbassamento di vecchi pennelli in modo da permettere al fiume la riattivazione di lanche attualmente occluse».

Un altro punto importante del piano riguarda la movimentazione dei sedimenti, lavorando al ripristino della continuità del trasporto solido. A tal fine si interverrà con misure di recupero morfologico ed ecologico degli alvei fluviali, come nel caso di Isola Serafini, la più importante centrale di produzione idroelettrica sul Po. Le portate d’acqua hanno lasciato sedimentare grandi quantitativi di sabbia e di materiale inerte che progressivamente ha desertificato un’ansa del fiume, bloccando di fatto il passaggio di acqua. Per questo i sedimenti verranno movimentati portandoli nei siti naturali, promuovendo così la circolazione del fiume. Questa misura è vincente sia dal punto di vista ecologico sia di sicurezza idraulica.

Un’altra misura prevista dal piano è la riforestazione: verranno piantumate varie specie arboree, prevalentemente pioppi (specie a crescita rapida), favorendo lo sviluppo del bosco policiclico in modo da restituire naturalità a zone spondali del fiume, oggi abbandonate o ricche di specie invasive e infestanti. «Questa misura fa sì che le golene attorno al fiume possano essere utilizzate dall’acqua in eccesso, in caso di piene, per allargare il corso del Po, ricreando zone esondabili in tranquillità. La piantumazione e il taglio selettivo delle essenze infestanti favorisce una maggiore infiltrazione di acqua nel terreno, ricaricando anche lo stato di falda che si alimenta sotto il fiume».

Il piano, approvato lo scorso dicembre dall’Autorità di Bacino e da AIPO, dovrebbe concludersi come da cronoprogramma entro il 2026.

Ottimizzare la raccolta delle acque piovane: dal Piano Laghetti…

Il principale problema da risolvere è legato alla portata d’acqua. Ogni anno sono circa 24 miliardi di metri cubi il quantitativo medio annuo del fiume Po destinati agli usi civili, agricoli e produttivi. Questa è la portata normale, ma quest’anno tra quantità di neve e precipitazioni scarse o nulle se ne conta meno della metà: «allo stato attuale siamo intorno ai 10-12 miliardi di metri cubi, solo la finestra di piogge primaverile potrà aumentare questo quantitativo».

È facilmente intuibile la difficoltà che questa situazione comporta impatti significativi sulle esigenze agricole ed energetiche. Per affrontare la ridotta quantità d’acqua e affrontare la siccità, le soluzioni al vaglio sono diverse: la prima ipotizzabile riguarda l’agricoltura, che assorbe quasi due terzi dei 24 miliardi di m3. Questo significa ridurre il quantitativo di colture messe in campo. Coldiretti, a questo proposito, ha fatto sapere che quest’anno in Italia, a causa della siccità verranno coltivati quasi 8mila ettari di riso in meno per un totale di appena 211mila ettari, ai minimi da trent’anni.

Si possono attuare misure compensative, magari pensando di sostituire parte della coltivazione del mais (coltura idro esigente, dato che richiede circa tremila metri cubi d’acqua per ettaro), con sorgo, oppure incentivi per la mancata semina.

Contro la siccità, le soluzioni passano anche dalla creazione di riserve d’acqua. «In Italia mediamente si trattiene solo il 10% dell’acqua piovana. È un quantitativo davvero minimo specie se confrontato con Paesi simili come la Spagna che riesce a contenere fino al 50% di acqua», sottolinea l’esperto di AIPO.

Una soluzione passa dal piano laghetti, promosso da ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni Miglioramenti Fondiari) e Coldiretti. Quest’ultima aveva già posto l’attenzione lo scorso anno, segnalando che il nostro Paese conta su 300 miliardi di metri cubi d’acqua che cadono annualmente. Ma negli ultimi decenni è cambiata la distribuzione delle precipitazioni, proprio a causa della crisi climatica. Di tutta quest’acqua, solamente l’11% viene trattenuto in bacini e invasi.

Come segnalato dalla stessa ANBI, il piano prevede la realizzazione di 10mila bacini entro il 2030: 6mila aziendali e 4mila consortili, medio-piccoli, in zone collinari e di pianura. Secondo i calcoli dei promotori, i nuovi bacini dovrebbero aumentare di più del 60% la capacità complessiva dei già esistenti 114 serbatoi sul territorio nazionale. La stessa Associazione rileva che 223 progetti sono già cantierabili.

…ai bacini di stoccaggio dell’acqua pensati da AIPO

«Come AIPO stiamo valutando l’utilizzo delle cave dismesse lungo il Po. Ce ne sono tantissime inutilizzate e impiegabili, debitamente impermeabilizzate, come bacini di stoccaggio e collegate alle reti consortili potrebbe far sì che aumentino il quantitativo di acqua stoccabile, in modo analogo dei bacini. Inoltre, su buona parte delle casse di espansione di nostra gestione, stiamo valutando la possibilità di uso plurimo», specifica ancora il tecnico. La cassa d’espansione è una “diga” in linea sul fiume o fuori asse che viene utilizzata solo nel caso di piena.

Il problema in questo senso è di sicurezza idraulica: «occorre garantire che queste casse siano vuote appena prima che arrivi l’evento di piena, altrimenti l’efficacia sarebbe ridotta e sorgerebbe un problema idraulico; tuttavia in molte di esse stiamo valutando la possibilità dell’uso plurimo».

C’è poi da affrontare una migliore conciliazione tra usi energetici (idroelettrico) e agricoli, che a oggi con logiche contrastanti.

«Sarebbe importante anche un intervento sulla parte montana del distretto, che rappresenterebbe una misura vincente in quanto migliorerebbe il dissesto idrogeologico e allo stesso tempo renderebbe i territori montani più permeabili e quindi in grado di trattenere l’acqua anziché scaricarla a valle e in tempo differito rispetto la precipitazione», specifica Gardella. È una misura possibile con una nuova gestione del patrimonio forestale, un taglio selettivo del bosco, che genererebbe occupazione montana e anche la possibilità di utilizzare la biomassa in eccesso per la produzione di energia.

Reti consortili: migliorare la funzionalità dei canali

Un altro punto importante sul tema siccità e soluzioni riguarda il miglioramento delle reti consortili. Tutto il bacino padano ne conta numerosi, diversi dei quali hanno origini antiche, addirittura nel Medioevo. Si tratta di canali progettati per lavorare con abbondanza d’acqua.

«Oggi ci si trova nella situazione opposta: queste infrastrutture devono lavorare con scarsità d’acqua e purtroppo a livello ingegneristico è insostenibile, in quanto sono fonte di dispersione idrica. Inoltre, per portare l’acqua a destinazione, anche a livello collinare per una questione idraulica, richiede la necessità di pompaggi». Nei consorzi dell’Emilia-Romagna si fa impiego di tubature in pressione che agevolano la conduzione dell’acqua in modo mirato e funzionale sull’ultimo miglio. È una strada, quella della riqualificazione e ottimizzazione dei canali, va percorsa anche nelle altre regioni.

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