L’efficienza energetica in Italia nel 2015

Crescono gli investimenti realizzati per l’efficientamento energetico in Italia nel corso del 2015, ma gli obiettivi di efficienza del nostro paese sono ancora lontani

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Il totale complessivo di investimenti realizzati per l’efficientamento energetico in Italia nel corso del 2015 è pari a 5,63 miliardi di €. Ovviamente tale valore di investimento non è equamente distribuito tra i diversi comparti. E’ il residenziale a guidare la classifica (con il 53% del totale degli investimenti), seguito dal comparto industriale (nel complesso circa 1,8 miliardi di €, il 32%) e buon ultimo da terziario e uffici (inclusa la Pubblica Amministrazione), che cubano meno del 14% del totale degli investimenti.

Gli investimenti negli ultimi 4 anni hanno seguito un trend positivo, passando dai 3,8 mld € investiti nel 2012 ai 5,6 mld € del 2015, con un significativo “scalino” fatto registrare nel corso del 2014, quando si è passati da 4 a 5,2 miliardi di € di investimenti. “Scalino” che non si è invece ripetuto nel corso dell’ultimo anno, che pure ha fatto segnare una crescita dell’8%.

Il mercato e gli operatori dell’efficienza energetica in Italia

All’interno del Rapporto si sono analizzati nel dettaglio:
(i) gli investimenti del comparto industriale, rispetto al quale sono stati selezionati i settori a maggior consumo di energia (e quindi potenzialmente più propensi agli investimenti in efficienza energetica), della metallurgia, della meccanica, dell’alimentare, della chimica, della carta, dei prodotti per l’edilizia e del vetro e della ceramica;
(ii) gli investimenti del terziario, rispetto al quale sono stati selezionati come rappresentativi la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) e gli hotel;

(iii) gli investimenti nel building (nel residenziale e negli uffici), ove sono stati ricompresi genericamente anche tutti gli edifici non residenziali non adibiti ad attività industriale.

Rimandando al testo per tutti gli approfondimenti è qui opportuno sintetizzare le principali evidenze emerse dall’analisi.

Il totale degli investimenti realizzati nel comparto industriale – nel campione dei sette settori analizzati in dettaglio – è di circa 1,3 mld €. Le soluzioni di efficienza energetica maggiormente adottate nel comparto industriale sono stati i sistemi di combustione efficienti, che nel 2015 hanno cubato 387 mln €. La maggior parte di tale ammontare proviene dal settore metallurgico, che ha investito in questa soluzione tecnologica ben 197 mln €. Significativi anche gli investimenti realizzati da vetrerie (80 mln €) e cementifici (63 mln €).

La cogenerazione nel 2015 ha fatto registrare nel campione di analisi un volume d’affari di 378 mln €. Gli investimenti si sono suddivisi tra il settore alimentare (101 mln €), la chimica (99 mln €), la meccanica (88 mln €) e quello della carta (76 mln €).

Si attestano su buoni livelli anche gli investimenti volti ad efficientare l’illuminazione, che nel 2015 hanno visto interventi per il controvalore di 179 mln €, distribuiti in maniera piuttosto omogenea tra tutti i settori industriali considerati, considerando che per natura non vi sono in questo caso differenze “di processo” ad influenzare le scelte di investimento.

Al fine di comprendere meglio l’entità degli investimenti in questi settori si è introdotto poi un indicatore relativo, denominato indice di propensione all’efficienza energetica, che rapporti gli investimenti fatti con il costo della bolletta energetica per ciascun settore (per ottenere l’indice di propensione all’efficienza energetica riportato in tabella tale rapporto viene poi moltiplicato per 100).

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I settori della carta, dei prodotti per l’edilizia e del vetro e della ceramica risultano avere una forte (ovviamente in relativo) propensione all’efficienza e presentano valori molto prossimi tra loro che li collocano in testa alla lista. La metallurgia, che invece ha i valori assoluti maggiori (353,6 mln €), grazie soprattutto ai sistemi di combustione efficienti, si colloca a metà classifica. Al contrario il settore alimentare presenta un indice di propensione all’efficienza energetica piuttosto ridotto (e pari alla metà di quello della carta).

Il totale degli investimenti realizzati nel 2015 dal terziario (per i settori del nostro campione, ossia GDO e hotel) è di circa 130 mln €. Gli interventi di efficientamento dell’illuminazione si guadagnano la lion’s share del settore terziario, con un volume d’affare di 64,5 mln €.

 

Il totale degli investimenti realizzati nel 2015 negli «uffici», ossia negli edifici non residenziali non adibiti ad attività industriale (che nel nostro Paese sono circa 1,3 milioni), è di circa 650 mln €. Anche in tale ambito è significativo il ruolo della soluzioni volte ad efficientare l’illuminazione (il più semplice e rapido – in termini di ritorno – degli interventi), che coprono circa il 43% del volume d’affari complessivo (279 mln €). È rilevante anche il peso delle installazioni di superfici opache (poco meno del 25% del mercato totale con 156 mln di investimenti).

Di questi 650 mln. €, 105 mln € sono legati ad investimenti realizzati su edifici della Pubblica Amministrazione. Il 60% di tale cifra è stata impiegata per compiere interventi sulle 43.000 scuole del territorio nazionale (64 mln €), mentre il volume di affari degli investimenti sul resto delle proprietà pubbliche si attesta sui 19 mln €.

Infine, il totale degli investimenti in soluzioni di efficienza energetica realizzati nel settore residenziale (12,2 milioni di edifici in Italia) è di circa 3 mld €. Nel 2015 si è registrato un vero e proprio “boom” di installazioni di pompe di calore: il volume d’affari è infatti aumentato di oltre il 50%, arrivando a toccare 1,1 mld €. Anche gli interventi sull’illuminazione hanno fatto registrare una crescita significativa (450 mln € di investimenti), grazie soprattutto al progressivo aumento di maturità della tecnologia LED.

Il fatturato complessivo delle ESCo nel 2015 è stimabile in 1,43 mld €. L’ammontare degli investimenti realizzati è di 654 mln. €, a cui si aggiungono 454 mln. € derivanti dalla gestione dei TEE ed infine il volume d’affare legato all’erogazione di servizi aggiuntivi, come ad esempio il «servizio calore» o la fornitura del vettore energetico che non sono stati considerati perché non strettamente connessi alla tematica «efficienza», che vale nell’intorno di circa 330 mln €.

 

Se si confrontano i 654 mln. € di investimenti gestiti dalle ESCo con i 5,63 miliardi di € di investimenti globalmente realizzati ci si rende conto del “peso” relativo – purtroppo ancora basso – di questi operatori del mercato dell’efficienza. La grande parte degli interventi è quindi della tipologia «self-made», in cui l’operatore realizza “in casa” l’intervento di efficienza energetica, rivolgendosi generalmente ad un fornitore tecnologico e sfruttando le competenze del proprio ufficio tecnico (se si tratta di un operatore industriale o del terziario) oppure più semplicemente i “consigli” degli installatori (se si tratta del residenziale o, in taluni casi, degli uffici).

 

E’ indubbio che le ESCo abbiano difficoltà ad inserirsi nel settore della PA (dove la loro quota di mercato è di circa il 15%) e soprattutto in quello residenziale (con una quota attorno all’1%).

Anche se si escluono questi ultimi però– e quindi ci si concentra sugli investimenti in efficienza energetica di alimentare, carta, chimica, prodotti per l’edilizia, meccanica, metallurgia, vetro e ceramica, GDO e hotel, che ammontano complessivamente a 1,42 mld € – le ESCO raggiungono una quota di mercato di “solo” il 21,2% sul totale. Gli interventi “self made” sono decisamente preponderanti quando si tratta di efficientare i processi core con investimenti per oltre 922 mln di € che sono per il 90% circa eseguiti direttamente dai “proprietari” del processo. Le ESCo effettuano solamente il 10% degli investimenti sulle attività core, ma arrivano ad oltre il 40% su quelle non core, dove quindi si accaparrano una quota significativa del totale degli interventi di efficienza energetica.

Le ragioni di tale differenza di peso delle ESCo rispetto agli investimenti su processi core o non core sono molteplici:
(i) da un lato è evidente come l’intervento su un processo core abbia delle specificità tecniche e settoriali tali per cui sia ancora ad oggi difficile per le ESCo che operano sul mercato italiano – tutto sommato piccole dimensionalmente rispetto ai “clienti” (soprattutto quelli energivori) – sviluppare competenze adeguate e competitive rispetto a quelle già in possesso dei clienti;
(ii) dall’altro lato vi è ancora una forte riluttanza da parte degli operatori industriali a far entrare e “mettere mano” ai propri processi corea soggetti tutto sommato esterni al loro settore e per una finalità (il risparmio energetico), ancora non percepita come fondamentale;
(iii) infine, è indubbio come le similitudini tra processi non core (servizio vapore, motori elettrici, aria compressa, …) anche in settori diversi favoriscano invece per le ESCo il raggiungimento di effetti di scala – ad esempio negli acquisti, per lo meno nella ricorsività degli stessi  – e di scopo, sulle competenze sviluppate.

Al fine di stimare il grado di attrattività per le ESCo di ciascuno dei comparti analizzati nel dettaglio si è introdotta una matrice di classificazione che incroci due dimensioni d’analisi:

◦      la propensione all’efficienza energetica che misura il livello investimenti in soluzioni di efficientamento energetico realizzato in ciascun macro-settore;

◦      il tasso di penetrazione delle ESCo che misura invece la quota di interventi realizzati dalle ESCo rispetto a quelli “self made”.

Il risultato dell’incrocio delle due dimensioni – con l’indicazione dei valori medi (risultanti dalla rilevazione empirica) di discrimine – è riportato in figura.

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E’ evidente come il quadrante più attrattivo per le ESCo sia quello in alto a destra e specularmente sia la parte in basso a sinistra della matrice quella a minore interesse. Il quadrante più attrattivo è però “vuoto”.

Il grado di maturità del mercato italiano per quanto riguarda l’efficienza energetica è ancora piuttosto basso, se si considera che il ricorso agli operatori specializzati (ossia alle ESCo) è mediamente limitato e soprattutto per le attività non core.

Anche la propensione all’efficienza energetica è complessivamente limitata, con il settore più avanzato (la carta) comunque fermo ad investimenti nell’ordine del 2,8% rispetto alla  bolletta annua.

Non è quindi un caso che manchino ancora settori “star”, dove si accoppi ad una elevata propensione all’investimento in efficienza una maggiore capacità di interfacciarsi con gli operatori dei servizi di efficienza energetica.

Le ragioni di tale situazione sono da ricercarsi indubbiamente nella combinazione di diversi fattori, dalla ridotta propensione del sistema industriale ad “aprirsi” e ad investire in efficienza, alla difficoltà di ottenere finanziamenti rivolti all’efficienza energetica dal sistema bancario, alla difficoltà delle ESCo di sviluppare progettualità e competenze adeguate a taluni interventi.

Se è vero tuttavia che sono le ESCo a dover “spingere” il mercato dell’efficienza energetica, è necessario in prima battuta che siano loro a compiere un deciso «cambio di passo»:

– andando ad intaccare gli investimenti «self made» delle imprese che già realizzano numerosi interventi di efficienza energetica. Questo, come abbiamo visto, significa per le ESCo focalizzarsi sulle fasi core del processo produttivo, investendo in competenze e progettualità ampie e “di frontiera”;

– sfruttando i rapporti già piuttosto consolidati con le imprese che stanno facendo registrare investimenti più contenuti per incrementare il loro indice di «propensione all’efficienza energetica», favorendo la “salita” di queste imprese nel quadrante in alto a destra della matrice di classificazione.

La normativa sull’efficienza energetica in Italia

Considerata l’elevata incertezza che grava sui meccanismi dei TEE, si è ritenuto interessante valutare l’impatto di possibili interventi da parte del regolatore sul comparto globale dell’efficienza energetica e sulla redditività delle singole tecnologie.

Nel Rapporto si sono poi condotte analisi relativamente alla modifica delle tariffe elettriche per il mercato residenziale e sul cosiddetto “Conto Termico 2.0”, che però per brevità non sono qui riportate.

Il dibattito in corso sui TEE concerne la misura degli effettivi risparmi conseguenti l’intervento di efficienza energetica, rispetto ai quali sono parametrati i TEE concessi.

Per modellizzare possibili modifiche a questa misura si sono realizzati 3 scenari:

(i) rimodulazione della misura con conseguente riduzione dei risparmi conseguiti del 10% rispetto ai valori attuali. In sostanza in questo scenario – a parità di interventi – si ipotizza che nella valutazione “corretta” dei risparmi effettivamente conseguiti rispetto alla baseline vi sia una riduzione del 10% rispetto a quanto avviene oggi. Un intervento oggi valutato in 100 tep di risparmio, si tradurrebbe quindi in un intervento da 90 tep;

(ii) rimodulazione della misura con conseguente riduzione dei risparmi conseguiti al 20%;

(iii) rimodulazione della misura con conseguente riduzione dei risparmi conseguiti al 30%.

Se si guarda alla totalità dei TEE emessi nel 2015 una riduzione dei risparmi ammessi all’incentivazione del 10% causerebbe infatti una perdita di TEE coeteris paribus, ossia ipotizzando (e su questo punto si tornerà più avanti) che non vi sia effetto sul valore di mercato degli stessi – dal controvalore di 55 mln €, una diminuzione del 20% portebbe alla non emissione di TEE per un valore di 110 mln € ed infine una riduzione del 30% porterebbe alla non emissione di TEE per un valore di 165 mln €.

E’ opportuno sottolineare come tali effetti potrebbero essere ancora più pesanti se la norma introdotta fosse retroattiva, ossia si applicasse a progetti già presentati in passato: in questo caso i valori appena presentati potrebbero essere triplicati, considerando un tempo medio residuo di incentivazione tramite TEE di 3 anni. Infine ci potrebbe essere anche un effetto «indotto», con progetti che sono stati già approvati in passato e che potrebbero evitare di presentare la richiesta di verifica e certificazione per l’anno per evitare possibili ricalcoli sui risparmi effettivamente conseguiti.

Se si considerano in particolare le ESCo il quadro che emerge è estremamente “critico”, con un impatto – nello scenario più negativo – che supera il 12% del totale del volume d’affari realizzato.

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Scendendo ancor più nel dettaglio tra i settori analizzati si nota una forte eterogeneità degli impatti di possibili interventi su TEE: considerando lo scenario peggiore, nel settore della carta il fatturato delle ESCo si riduce del 22,3% (e questa percentuale è simile anche nella metallurgia, nei prodotti per l’edilizia e nel vetro e ceramica); in settori come quello alimentare e della GDO la variazione del giro d’affari delle ESCo è più contenuto (rispettivamente «solo» -7,1% e -7,7%).

Se si guarda alla redditività dei singoli investimenti, come fatto nel testo del Rapporto cui si rimanda, i TEE appaiono – per loro natura, ma anche nei fatti – più degli acceleratori che dei veri e propri abilitatori. La redditività degli investimenti di efficienza energetica è infatti, nella maggior parte dei casi, insita nella sostituzione tecnologica. L’impatto dei TEE è poi decisamente limitato per quanto riguarda il tempo di pay back, vero “scoglio” nelle decisioni di investimento.

Attenzione tuttavia a considerare quindi “inutile” il meccanismo. Se si guarda infatti al “sistema” dell’efficienza energetica, i TEE svolgono un ruolo ancora fondamentale di stimolo del mercato, rappresentando nel complesso circa il 40% del volume d’affari complessivo delle ESCo. In quanto tali hanno permesso a molte di queste imprese di crescere e di finanziare ulteriori investimenti in efficienza energetica.

Il rischio di guardare al particolare, quindi, perdendo di vista il quadro d’assieme è quanto mai forte in questo caso.

Questa ultima considerazione è tanto più vera se si considera che – pur basandosi su un meccanismo di mercato – appare difficile che questo possa equilibrarsi autonomamente.

Per dare evidenza di questa affermazione si è proceduto a stimare il possibile nuovo “prezzo di equilibrio” che si dovrebbe registrare affinché in ciascuno dei 3 scenari ipotizzati rimanga inalterato il controvalore del mercato dei TEE, ossia in altre parole i 553 milioni di € che si sono registrati nel 2015. Si è poi tenuto conto del citato possibile effetto indotto, valutando anche un ultimo caso in cui la cancellazione (o non presentazione) di alcune schede porti ad un ulteriore calo del 10% dei TEE immessi sul mercato (-40% rispetto al 2015 quindi).

Gli effetti di un intervento sul sistema di incentivazione sul prezzo di equilibrio dei TEE sono più che proporzionali: l’aumento del valore unitario è crescente all’aumentare dell’impatto delle misure adottate. Affinché si mantenga un volume d’affare inalterato, a seguito di interventi che riducono i risparmi energetici conseguiti del 30% il prezzo unitario dei TEE deve registrare un aumento di 47,1 € (oltre il 40% rispetto al prezzo medio del 2015). Se si registrano cancellazioni di schede già approvate, per mantenere immutato il giro d’affari complessivo, il valore unitario dei TEE deve aumentare addirittura del 66% (183,3 €/TEE) rispetto al valore medio del 2015.

Il prezzo massimo a cui sono stati scambiati i TEE è stato di 149 €, toccato nel 2014 quando sono stati scambiati complessivamente 3,5 milioni di TEE (l’8% in meno rispetto al 2015). Nel 2015, con un volume di scambio di 3,8 milioni di TEE, non si è mai superata la soglia di 120 €/TEE. Appare quindi ragionevole ipotizzare che una riduzione contenuta del volume di titoli (nell’ordine del 10-15%) possa venire assorbita dal mercato. Il prezzo di equilibrio con il 10% in meno di TEE (3,4 milioni di titoli rispetto al 2015) è pari a 122,2 €  ed è più che compatibile con quanto fatto registrare nel 2014. Variazioni maggiori (nell’ordine del 30-40%) che porterebbero il prezzo decisamente oltre quota 150 €/TEE appaiono invece meno assorbibili e più difficilmente verificabili, anche per effetto della riduzione della “liquidità” del mercato (con un numero di titoli sotto quota 2,7 milioni).

 

Il potenziale dell’efficienza energetica in Italia

Le direttive e gli obiettivi in termini di efficienza energetica per il nostro Paese sono racchiuse nella Strategia Energetica Nazionale (SEN) e nel cosiddetto “Pacchetto 20-20-20”.

La prima – più restrittiva – stabilisce per l’Italia un consumo di energia primaria nel 2020 di 158 Mtep, la seconda nello stesso anno impone un consumo di 167 Mtep.

Al termine del 2015 l’Italia ha fatto registrare un consumo di energia primaria di circa 165 Mtep, ossia già al di sotto della soglia prevista dal “Pacchetto 20-20-20” e di poco superiore a quella indicata dalla SEN. Se si considera che gli obiettivi previsti fanno riferimento al 2020 ed il dato di consuntivo presentato è quello del 2015, sembra ormai di poter dire che il risultato è raggiunto.

Tuttavia il quadro sull’adempimento degli obiettivi di efficienza energetica in realtà è molto più lontano di come sembra.

Il raggiungimento della quota target è infatti dovuta principalmente al calo dei consumi e della produzione (e alla conseguente riduzione del consumo energetico) e non tanto ad un miglioramento dell’efficienza vera e propria.

Nello scenario di riferimento della SEN e del pacchetto 20-20-02 infatti per il 2015 si prevedevano consumi energetici pari a 197,5 Mtep, quasi il 20% in più di quelli effettivamente registrati.

E’ quindi necessario cambiare “ottica” per valutare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi di efficientamento energetico.

In particolare è possibile calcolare – con riferimento ai consumi attesi – gli effettivi risparmi previsti dal “Pacchetto 20-20-20” e dalla SEN per ogni anno da qui al 2020 e confrontare questo numero con gli effettivi investimenti in efficienza energetica ed i conseguenti risparmi energetici.

I valori di riferimento – per i risparmi di energia primaria nel settore residenziale, terziario e dell’industria – diventano quindi:

  • 14 Mtep/anno per la SEN;
  • 10,5 Mtep/anno per il Pacchetto 20-20-20.

Per stimare il potenziale di mercato dell’efficienza energetica si è considerato come orizzonte temporale di riferimento il periodo 2016 – 2020 e sono stati definiti 3 scenari. In ciascuno di essi si modificano le condizioni al contorno ed entrano in gioco fattori abilitanti o barriere che hanno un impatto diretto sulla diffusione «attesa» delle soluzioni di efficienza energetica.

  1. Scenario «as is»: le condizioni al contorno non si modificano in maniera consistente ed il grado di pervasività delle soluzioni di efficienza energetica non subisce cambiamenti rilevanti, seguendo quindi il trend di crescita dell’ultimo periodo.
  2. Scenario “ottimistico” si immagina un aumento del volume d’affari dell’efficienza energetica grazie al miglioramento delle condizioni al contorno e ad un significativo incremento del trend di installazioni.
  3. Scenario “pessimistico”: si prevede un freno negli investimenti in tecnologia a seguito dell’incertezza normativa e della riduzione della propensione agli investimenti in efficienza energetica.

Rimandando al testo del Rapporto per ulteriori dettagli, si riporta qui il risultato dell’analisi per lo scenario as is.

Gli investimenti partono dai 5,99 mln € previsti per il 2016 per arrivare ai 7,85 mln del 2020, facendo registrare un tasso di crescita annua composto pari al 5,5%.

L’ammontare totale degli investimenti realizzati in efficienza energetica nel quinquennio 2016-2020 si attesta quindi su 34,46 mln € e comportano risparmi di energia primaria a termine del quinquennio 2016-2020 ammontano a 19,80 Mtep.

Il raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica – come mostrato in figura – è pertanto davvero lontano. 

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Se si prendono in considerazione anche gli altri scenari, si può arrivare a determinare un potenziale di mercato «atteso» nel periodo 2016-2020 per gli investimenti in efficienza energetica si attesta tra i 29,7 (scenario pessimistico) e i 42,2 mld € (scenario ottimistico), con un volume d’affari medio annuo compreso tra i 6 e gli 8,4 mld €.

I risparmi cumulati conseguiti di energia primaria al 2020 si attestano tra i 24,25 e 17,08 Mtep, che equivalgono ad un risparmio conseguito medio annuo fra il 2016 ed il 2020 tra 3,4 e 4,8 Mtep.

 

Indipendentemente dallo scenario considerato i “veri” obiettivi di efficienza energetica del nostro Paese rimangono molto lontani dall’essere raggiunti e sembra improbabile una copertura piena del target prefissato.

Le condizioni al contorno e la presenza di fattori abilitanti o barriere giocano tuttavia un ruolo chiave nella determinazione del potenziale di mercato atteso. La differenza tra lo scenario ottimistico e lo scenario pessimistico è di oltre il 40% a testimonianza che ancora molto si può fare (o “disfare”) tenendo conto del momentum raggiunto nell’ultimo biennio dall’efficienza energetica.

Dall’altro lato è innegabile che la crisi economica abbia portato i consumi ad un livello già prossimo a quello target per il 2020 (e che le previsioni di crescita del PIL dei prossimi 3-5 anni certo non sono tali da far modificare drasticamente tali numeri).

Emergono naturalmente due domande: (i) siamo sicuri che sia vera efficienza una efficienza che si basi sul mancato consumo? (ii) si può fingere che la crisi non ci sia stata e pensare ad un efficientamento ”in valore assoluto” pari a quello previsto dal Pacchetto 20-20-20?

 

La risposta ad entrambe le domande non può che essere “no” ed appare quindi quanto mai necessario che gli operatori e gli stakeholder dell’efficienza energetica nel nostro Paese si diano dei nuovi obiettivi, concreti e raggiungibili, per fare dell’efficientamento energetico una opportunità di crescita per l’Italia.

Il 9 giugno verrà presentato a Milano il Rapporto Energy Efficiency Report, come sempre nel dibattito saranno coinvolte le imprese Partner della ricerca per discutere e approfondire le analisi svolte.

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