Biomass Energy Report 2012

Mercato delle bioenergie, tecnologie per la produzione di energia da biomassa, prospettive future

Il Biomass Energy Report è ormai giunto alla sua terza edizione, e rappresenta sin dal 2010 un appuntamento importante per la comunità – peraltro piuttosto variegata dal punto di vista sia tecnologico, sia industriale che di mercato – delle bioenergie nel nostro Paese.

Vale la pena ricostruire per i lettori il percorso che ci ha portato alla redazione del Biomass Energy Report 2012. La constatazione da cui ha preso il via il lavoro di ricerca è stata quella di un mercato, quello delle bioenergie, che durante lo scorso anno ha mostrato di muoversi a “tre velocità”: (i) con una crescita “sostenuta”, soprattutto nel caso del biogas agricolo con nuove installazioni per oltre 200 MW (il doppio rispetto all’installato dell’anno precedente), ma anche per le caldaie a pellet che ormai da qualche anno fanno registrare un numero costante di nuove installazioni, nell’ordine di 150.000 unità l’anno; (ii) con una crescita “appena accennata”, come nel caso del teleriscaldamento e delle biomasse agroforestali (scarti legnosi e agricoli impiegati per la produzione di energia elettrica) che hanno visto percentuali di crescita dell’installato complessivo nell’ultimo anno nell’ordine di 4-5 punti; (iii) sostanzialmente con crescita “zero”, come nel caso degli impianti per la valorizzazione energetica dei rifiuti o, qui addirittura con un calo del 75% rispetto alle nuove installazioni del 2010, della produzione di energia da oli vegetali.
Una simile difformità di andamento poteva avere tre “origini”: (i) da una difformità significativa nei costi/rendimenti intrinseci (ovvero indipendenti dalla incentivazione) fra le diverse tecnologie per la produzione di energia da biomassa; (ii) da una difformità delle caratteristiche dei numerosi segmenti di mercato (da quello residenziale a quello delle imprese produttrici di energia) ai quali le tecnologie sono destinate; (iii) da una difformità di impatto dei sistemi di incentivazione e regolazione “in senso lato” (si pensi ad esempio alle tematiche autorizzative) attualmente in vigore.
Una volta chiarito se e come – ovviamente anche in combinazione fra di loro – le tre tipologie di difformità spiegano l’andamento di mercato è possibile impiegare la medesima metodologia in ottica prospettica, stimando l’impatto del “nuovo” sistema di incentivazione di cui proprio in questi giorni si sta discutendo.
L’analisi, che per quanto riportato sino ad ora e con la medesima sequenza copre le Sezioni dalla 1 alla 6 del Rapporto, si chiude con una analisi critica del “vero” potenziale delle bioenergie nel nostro Paese e della sua relazione con gli obiettivi del PAN e la loro conseguente regionalizzazione (per tramite del decreto Burden Sharing).
Sebbene frutto delle elaborazioni e analisi condotte in maniera indipendente dell’Energy & Strategy Group tutte le Sezioni del Rapporto sono “ancorate” alla realtà da una solida analisi empirica che ci ha permesso – con oltre 50 interviste ad operatori e professionisti del settore – di raccogliere e verificare dati per oltre 16 diverse soluzioni tecnologiche ed un totale di quasi 70 combinazioni di rendimento/impiego, presentate anche con l’ausilio di casi di studio esemplificativi.

Le tecnologie per la produzione di energia da biomassa: un quadro sorprendente
L’analisi dei LEC (Levelized Energy Cost) – effettuata per le principali tecnologie di produzione di energia termica ed elettrica da biomassa rapportando i costi di investimento nel nostro Paese, approvvigionamento della materia prima e gestione operativa, con l’effettiva produzione di energia – mostra come, per effetto della relativa maturità tecnologica della maggior parte delle tecnologie, i valori di riferimento vadano da un minimo di 6 c€/kWh (per le caldaie a biomassa) a un massimo di 9 c€/kWh (per le caldaie a pellet) per la produzione termica e da un minimo di 14,3 c€/kWh (centrali a combustione da biomassa, escludendo gli impianti per il recupero energetico da RSU per i quali l’approvvigionamento della biomassa in input rappresenta un “ricavo”) a un massimo di 23,3 c€/kWh (impianti di pirolisi) per la produzione elettrica.
La “vicinanza” con il livello di costo dell’energia dalla rete (grid parity) appare evidente ed è, come ulteriormente dettagliato nel Rapporto, ulteriormente rafforzata nel caso in cui i costi di approvvigionamento della biomassa siano “trascurabili“, ossia qualora gli utilizzatori dispongano in proprio del “combustibile” necessario all’alimentazione dell’impianto, perché è ad esempio un sottoprodotto dell’attività produttiva.

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Altro risultato dell’analisi da sottolineare (e che per qualcuno dei lettori potrà apparire anch’esso sorprendente) è la “italianità” della filiera delle soluzioni tecnologiche per la produzione di energia da biomasse. Su oltre 70 imprese fra le principali che operano nei diversi ambiti ed i cui dettagli sono riportati nel Rapporto, ben 61 (l’85%) sono italiane, così come sono italiani (almeno per gli impianti con taglie sino a 10 MW) i principali progettisti e installatori e gli operatori che si occupano (ove necessario, ad esempio per gli impianti di combustione di biomasse agroforestali) della gestione e manutenzione degli impianti.
Non è sempre italiana, e questo va precisato, la materia prima di input, ma è interessante notare come i mercati a crescita “sostenuta” sono quelli ove più locale è la disponibilità di “combustibile”, mentre ove avviene il contrario (riferendosi in particolare agli oli vegetali) si è registrato nel corso dell’ultimo anno un andamento certo non “brillante” delle installazioni.

La convenienza “assoluta” delle bioenergie: la prospettiva dell’investitore
Sono diversi – nel Rapporto analizzati e classificati in 4 gruppi, clienti domestici, clienti non residenziali (dagli agriturismi alla Pubblica Amministrazione), clienti industriali (produttori e trasformatori di materia prima impiegabile come biomassa), produttori di energia – i soggetti che possono adottare tecnologie per la produzione di energia termica o elettrica da biomassa per soddisfare i propri fabbisogni energetici e/o per vendere energia. A ciascuno di questi si adattano, per taglia e caratteristiche (ad esempio necessità di manutenzione qualificata o spazio per lo stoccaggio), solo alcune delle soluzioni tecnologiche a disposizione.
Assumendo la prospettiva dell’investitore tuttavia appare evidente come per decidere di investire nelle bioenergie non sia sufficiente la mera compatibilità tecnologica e neppure la “vicinanza” alla grid parity di una determinata soluzione, come visto rafforzata dalla disponibilità della biomassa di input. E’ necessario tenere conto in maniera
esplicita di almeno altri due fattori: (i) il rendimento economico “relativo”, misurato in termini di IRR (Internal Rate of Return) e in un periodo di crisi come questo soprattutto TPB (Tempo di Pay Back), che deve essere competitivo per sé e in relazione alle alternative che l’investitore si trova di fronte; (ii) la complessità autorizzativa e le dinamiche di siting, che creano costi talora “nascosti” (ma parimenti quantificabili) nell’allungamento dei tempi e nella necessità di convincere le comunità locali ad ospitare l’impianto.

Il quadro che emerge dall’analisi condotta è decisamente interessante
La produzione di energia termica da biomassa è, comunque la si voglia guardare, già oggi e senza alcuno strumento di incentivazione conveniente per quei segmenti di mercato per i quali essa ha senso dal punto di vista tecnologico.
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La maggior parte delle tecnologie per la produzione di energia elettrica da biomassa si collocano nell’area di indifferenza, ovvero diventano “interessanti” per l’investitore solo in presenza di condizioni ottimali per quanto riguarda gli aspetti autorizzativi e la disponibilità di biomassa (giova infatti rammentare che i dati riportati in figura fanno riferimento ai valori medi rilevati attraverso l’elaborazione dei dati empirici raccolti).
In assenza di sistemi di incentivazione, quindi, solo relativamente pochi impianti best case (peraltro probabilmente in larga misura già compresi nell’installato attuale) possono essere realizzati, ossia superare la valutazione complessiva di convenienza dell’investitore all’adozione della tecnologia.
Solo gli impianti ad oli vegetali e le tecnologie di gassificazione/pirolisi, che però hanno già validi sostituti tecnologici per il soddisfacimento delle esigenze dei rispettivi segmenti di mercato, si trovano in una condizione critica assumendo la prospettiva dell’investitore.

L’impatto dei sistemi di incentivazione
In presenza di una situazione quale quella descritta nel paragrafo precedente ci si attenderebbe – almeno dal punto di vista teorico – un sistema di incentivazione disegnato per favorire, ovvero “spostare” dall’area di indifferenza all’area di “convenienza”, la migliore soluzione tecnologica per ogni tipologia di investitore e/o che, sempre in linea generale, valorizzi primariamente gli impieghi della biomassa più facilmente reperibile su base territoriale.
Il sistema di incentivazione in vigore alla data di chiusura del Rapporto – ovvero per la produzione elettrica, la tariffa onnicomprensiva ex Legge 99/09 ed i Certificati Verdi ex Legge 244/07, e per la produzione termica, la detrazione fiscale del 55% ed i Certificati Bianchi – certo ha poco della “specificità” appena richiamata.
In sostanza il suo impatto principale si è risolto nella generica “traslazione” verso la zona a maggiore convenienza delle tecnologie più vicine alla soglia. L’effetto, come dimostrato dai dati di mercato, non è stato tuttavia quello sperato, se si eccettua il “balzo” registrato dal biogas, soprattutto in quei casi (la maggior parte a dire il vero) dove l’approvvigionamento della biomassa non rappresentava un problema.
Una incentivazione quindi nei fatti poco efficace – soprattutto se si assume la prospettiva generale del settore delle bioenergie in Italia – cui si è cercato di porre rimedio con lo Schema di Decreto Interministeriale del 13 Aprile 2012 (in discussione alla Conferenza Unificata Stato-Regioni proprio nel giorno seguente la chiusura del presente Rapporto), che ha per oggetto la produzione elettrica da fonti rinnovabili e quindi anche da biomasse.
Non è stato sostanzialmente modificato, nonostante gli annunci di un “Conto Energia Termico” il sistema di incentivazione per la produzione termica da biomassa.

Il “rimedio” per la parte elettrica, per quanto è dato di valutare dallo Schema di Decreto ed in attesa di possibili sue modifiche, si basa su 4 pilastri:
una transizione sostanzialmente indolore dal vecchio al nuovo sistema per gli impianti che entreranno in esercizio sino alla fine del 2012, che chiaramente soddisfa gli operatori e, almeno dal punto di vista teorico, dovrebbe garantire una continuità degli investimenti per l’anno in corso (a differenza di quanto ad esempio era capitato nel fotovoltaico dopo l’approvazione del Decreto Rinnovabili);
un ricorso al meccanismo del registro (per impianti da 50 kW a 5 MW) e alle aste al ribasso (per impianti sopra i 5 MW) per l’aggiudicazione delle tariffe incentivanti da parte degli impianti a biomassa a partire dal 2013, che invece non fa che appesantire l’effetto ed il peso della burocrazia, incrementando l’incertezza ed i costi “nascosti” dell’adozione delle tecnologie per la produzione di energia da biomassa;
un taglio delle tariffe che, sebbene discriminato per tipologia di biomassa, come riportato di seguito (con i dati relativi al 2013) va a colpire in particolare le taglie di impianto più grandi e in generale il biogas, ossia (quasi fosse una punizione) proprio quegli investimenti sui quali si stavano concentrando gli interessi del mercato.
Un taglio mediamente del 30%, e che è solo in parte mitigato dalla presenza di “premi”, questi sì volti in maniera virtuosa ad incentivare le applicazioni cogenerative, l’efficientamento energetico dei processi e l’approvvigionamento locale della biomassa.
• un contingentamento complessivo delle nuove installazioni che per il triennio 2013-2015 considera solo 880 MW di nuova potenza incentivabile, contro i quasi 1.500 MW installati invece nel triennio 2009-2011, in pratica “costringendo” il mercato a ridursi di oltre il 40%.
Un “rimedio” che, in buona sostanza, riduce l’ambito di sviluppo ai soli operatori che già dispongono della biomassa di input.

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Il PAN, il Decreto Burden Sharing ed il “vero” potenziale delle bioenergie in Italia: un problema di coerenza
Se, come visto prima, il quadro emerso dall’analisi degli impatti dello Schema di Decreto per le biomasse è certo non roseo, non si può che confrontare questi dati con quanto previsto dal Piano di Azione Nazionale e, a livello regionale, dal Decreto Burden Sharing con riferimento al contributo atteso al 2020 da parte delle biomasse.Rimandando alla lettura del Rapporto per quanto riguarda gli aspetti regionali, vale qui la pena riassumere qualche dato, emerso dalle nostre elaborazioni circa gli obiettivi quantitativi fissati per il settore. La produzione di energia termica da biomasse attesa al 2020 è pari a 5.720 ktep (66,5 TWhth) mentre è di 3.580 ktep (19,2 TWhe) il valore di riferimento per la produzione di elettricità.
E’ interessante confortare questo dato con il potenziale di produzione elettrica e termica derivante dalla ricognizione delle biomasse disponibili nel nostro territorio e dalla valutazione della loro potenziale valorizzazione energetica.
Il raffronto è “allarmante”, considerando che si potrebbero invece produrre circa 5.400 ktep (29,2 GWhe) di energia elettrica (+52% rispetto all’obiettivo) e solo 1.537 ktep (17,8 TWhth) di energia termica (-272% rispetto all’obiettivo). Paradossalmente, e questo è ancora da ascrivere ad un problema di coerenza, si ha il maggior potenziale
laddove più critica è la situazione del sistema di incentivazione e, ancor prima, della “convenienza” delle tecnologie, mentre vale il viceversa se si considera l’impiego termico delle biomasse.
Il raggiungimento del potenziale individuato dovrebbe passare però attraverso l’installazione di nuova potenza da qui al 2020 nella misura di 3,2 GW per la parte elettrica (con 12 mld € di investimento) e 4,4 GW di potenza termica (5,5 mld €), valori decisamente incompatibili con il quadro di incentivazione che si sta profilando e comunque non sufficienti nel caso termico a raggiungere gli obiettivi.
E’ vero che, se ci si limita alla parte elettrica, per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal PAN le nuove installazioni richieste al 2020 scenderebbero a 1,5 GW, e quindi questa volta più coerenti con il contingentamento di potenza e con il livello di incentivi previsti dallo Schema di Decreto Interministeriale del 13 Aprile 2012.
Resta aperto il punto – del quale si lascia al lettore l’interpretazione, invitando alla lettura del Rapporto nella sua interezza – su quale “coerenza”, rispetto all’effettivo potenziale o rispetto al quantitativo definito dal PAN, sia più utile per il nostro Paese fare affidamento.

La terza edizione del Biomass Energy Report sarà presentata il prossimo 6 giugno a partire dalle 9.30 al Politecnico di Milano – Aula Carlo De’ Carli Via Durando, 10

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