Le radici del futuro: riqualificare il patrimonio edilizio di valore storico culturale

Il patrimonio edilizio storico, la riqualificazione degli edifici storici, l’esperienza del FAI

Il patrimonio edilizio storico: i numeri

Dai dati diffusi dal Cresme (2012) emerge come in Italia vi siano almeno due milioni e mezzo di case che necessitano di interventi significativi di consolidamento, restauro e/o efficientamento energetico, tutti importanti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
I dati Istat e Cresme segnalano, infatti, che quasi 7milioni e 200 mila edifici hanno più di 40 anni, il 61% del patrimonio complessivo delle costruzioni abitative del Paese. Nelle grandi città metropolitane questa percentuale cresce fino a toccare il 76% che nei prossimi dieci anni arriverà all’85%. Nelle città capoluogo oggi è il 68,7% e fra dieci anni sarà il 79,7%. Un secondo dato molto interessante è che il peso delle ristrutturazioni edilizie, nel fatturato complessivo delle imprese edili italiane del settore, è passato dal 25% del 2008 al 40% stimato del 2013. Questo a conferma della rilevante fascia di mercato rappresentata dal patrimonio edilizio esistente. La riqualificazione è già oggi il principale mercato delle costruzioni, stando al dato del Cresme: per l’edilizia residenziale vale, già oggi, oltre 133 miliardi di Euro. Se si guarda alla sola situazione di Roma, il mercato delle costruzioni della capitale vale 10,7 miliardi di euro di cui 5,5 destinati alla manutenzione straordinaria e solo 2,5 alla manutenzione ordinaria. Il solo patrimonio immobiliare capitolino conta almeno 25mila edifici in uno stato di conservazione non buono.

 

In uno studio del CNA-CRESME, pubblicato nel maggio 2013, si evidenzia come la spesa degli interventi di rinnovo abbia raggiunto il 61,6% dell’intero fatturato dell’edilizia. Dal 2006 ad oggi il peso della riqualificazione è cresciuto di oltre 6 punti percentuali, attenuando la caduta verticale delle nuove costruzioni (-44% dal 2006 al 2012).

Di grande aiuto per innescare questa tendenza sono stati certamente sia i provvedimenti di defiscalizzazione sul recupero edilizio, sia i provvedimenti di defiscalizzazione sull’efficientamento energetico. Con gli incentivi alla ristrutturazione e al risparmio energetico, al 2012, lo Stato italiano ha registrato un saldo economico positivo di 2,3 miliardi di euro e un saldo finanziario positivo al 2012 di 17,8 miliardi di euro; si è raggiunta quindi una doppia azione positiva, sia sull’andamento del mercato sia sui conti dello Stato.

Significativo è quindi il ruolo della riqualificazione energetica degli edifici esistenti, che abbiano o meno un valore particolare dal punto di vista storico-artistico.

Il principio di economia circolare

Il recupero edilizio è in piena sintonia con l’applicazione del principio di economia circolare. In questo senso il recupero del manufatto edilizio aggiunge valore rispetto all’obiettivo sovraordinato di sostenibilità ambientale. La normativa di incentivo alla riqualificazione edilizia, purtroppo, troppo spesso non affina con precisione quest’ottica  e tende a mettere sullo stesso piano – per esempio anche nei sistemi di defiscalizzazione – il recupero dei manufatti edilizi e la loro demolizione e ricostruzione. Questo equivoco merita di essere chiarito sia dal punto di vista della sostenibilità ambientale dell’intervento, sia dal punto di vista culturale: perché al di là del valore storico-artistico, in ogni manufatto vi è traccia della cultura materiale delle popolazioni umane avvicendatesi durante i vari periodi storici, come tracce dell’identità collettiva,ovvero quella “semantica” del paesaggio tanto cara a Eugenio Turri. Si può citare a questo proposito la lunga battaglia del FAI a Trento contro l’abbattimento delle Carceri austroungariche, edificio unitario e integrato con il Palazzo di Giustizia, il cui necessario recupero trova ragioni nella salvaguardia del suo valore culturale ed identitario per la città  e per la storia e la memoria del Paese in un’ottica mitteleuropea; ragioni queste rafforzate anche dagli obiettivi di sostenibilità ambientale, trattandosi di un recupero di materiale significativo, con riduzione della produzione di rifiuti e del consumo di risorse primarie.

E’ fondamentale ricordare anche come la riqualificazione urbana possa assumere un enorme valore come opera pubblica: basti pensare alle dimensioni quantitative e qualitative del patrimonio pubblico, dai Palazzi di giustizia –come nell’esempio appena citato- alle scuole di ogni ordine e grado, agli ospedali ecc. Riqualificare questi edifici dal punto di vista della sicurezza e dal punto di vista energetico – unitamente alla loro valorizzazione culturale – rappresenta un impegno di grande rilievo, con un obiettivo molto alto e importante per la qualità della vita dei cittadini.

La riqualificazione degli edifici storici

Per quanto riguarda la riqualificazione degli edifici storici, in Europa,  non mancano gli esempi: basta citare a questo proposito il Progetto Sechurba (www.sechurba.eu), dal titolo emblematico “Dalla cultura e dalla storia allo sviluppo sostenibile. Assicurare il futuro, conservando il passato”, per cogliere lo spirito con cui questo tema viene veicolato alla scala comunitaria. Su questo particolare segmento edilizio insistono tuttavia problematiche particolari, tra cui per esempio, l’esclusione sia degli edifici storici sia dei centri storici dagli obiettivi di sviluppo sostenibile per le difficoltà dovute al quadro normativo e programmatico; la loro esclusione dalla Direttiva europea sulle prestazioni energetiche degli edifici 2002/91/CE); gli emendamenti nel EPBD-Energy Performance of Buildings – Direttiva 2002/91/CE, recepita nel D.lgs 311/2006 – direttiva sulle prestazioni tecniche degli edifici del 2009, che escludono ancora una volta gli edifici storici e i monumenti dal quadro obbligatorio degli interventi sostenibili anche se vi sono stati fissati gli obiettivi di massima per l’efficienza energetica del patrimonio immobiliare. Si aggiungono a tutto questo alcune oggettive difficoltà legate all’intervento sul patrimonio storico, per esempio quelle nel calcolo delle prestazioni energetiche, che richiedono concessioni nel metodo di calcolo per tenere conto della specificità di questi edifici con caratteristiche tipologiche molto peculiari (soffitti alti, grande massa termica dovuto allo spessore dei muri ecc). In quest’ottica occorre combinare la cultura dell’efficientamento energetico a quella del restauro e del recupero sostenibile degli edifici storici in vista della tutela e della valorizzazione del patrimonio dei Beni culturali.

Questo è quanto oggi si è raggiunto, per esempio, con il nuovo protocollo di certificazione GBC Historic Building, nato per colmare la lacuna che, appunto, caratterizzava l’applicazione dei principi di sostenibilità all’ambito degli interventi di conservazione architettonica.

Su questo tema si apre anche un altro importante argomento, ovvero la necessità di innestare la cultura della sostenibilità ambientale anche tra quanti si occupano o sono predisposti alla tutela del valore storico-artistico degli edifici. In quest’ottica è certamente necessario un percorso che porti ad una maggiore flessibilità nell’evoluzione formale degli edifici storici, un importante cambiamento –già in atto – nella cultura della conservazione.

L’asse che si sviluppa da questo ragionamento è, quindi,  “conservazione – restauro – ristrutturazione” attraverso tecniche conservative innovative, per sviluppare, per esempio, la sostenibilità anche nelle stesse tecniche di restauro. La sfida è quella di integrare restauro e conservazione con tecnologie innovative in grado di tendere verso il risparmio energetico e la sostenibilità. Introdurre il tema della sostenibilità, per esempio ai fini dell’efficentamento energetico, crea nei beni storici evidentemente delle problematicità. Ma proprio a partire da questi problemi possono nascere nuove opportunità: sia per lo stimolo verso la conservazione dei Beni, sia per la possibilità di innovare nell’ambito delle soluzioni tecniche e dei materiali, si aprono quindi prospettive molto interessanti legate alla progettualità e alla innovazione.

L’esperienza del FAI

IL FAI opera da sempre in questo contesto, ma a sua volta ha vissuto e vive un progressivo interrogarsi su queste tematiche. Con i suoi 49 Beni salvati e gestiti pari a 40mila metri quadrati di edifici storici tutelati, di cui 28 Beni monumentali regolarmente aperti al pubblico, il FAI ha sviluppato nei sui quasi 40 anni di attività un’esperienza significativa.

A fronte di questa lunga esperienza diretta in materia – sia di recupero e restauro del patrimonio storico artistico sia in tema di gestione dello stesso – oggi, possiamo affermare con certezza che la  comprensione, la progettazione ed il risanamento degli edifici storici richiede un approccio olistico che tenga conto della fattibilità architettonica, energetica ed economica. Questo approccio deve valutare l’interconnessione e l’integrazione di tutti i componenti e dei sistemi di costruzione, nonché delle tecnologie antiche e moderne per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica e riduzione dell’impatto ambientale.

Nei suoi 40 anni di attività nel recupero e nella valorizzazione dei Beni culturali e paesaggistici, il FAI ha compiuto un lungo cammino di grande crescita: dalla focalizzazione sul restauro conservativo di alta qualità fino al nuovo e più complesso approccio al progetto integrato in un’ottica di sostenibilità ambientale.

Vediamo di seguirne qui di seguito alcune tappe tra le più importanti.

La prima svolta per il FAI è stata la consapevolezza nei confronti della sostenibilità economica nella gestione e manutenzione dei Beni monumentali: l’obiettivo ambizioso è quello dell’autosostentamento dei Beni, che riguarda sia la gestione sia la manutenzione del Bene.

In questa ottica la sostenibilità diviene un termine economico prima che tecnico, ma prerogativa essenziale per analizzare un patrimonio immobiliare, soprattutto per una organizzazione senza scopo di lucro che vive delle donazioni dei suoi iscritti e sostenitori. La finalità della sostenibilità economica è, per altro, la vena che guida gli interventi di efficientamento energetico capaci di ridurre significativamente gli elevati costi di gestione di un Bene storico artistico, permettendone la valorizzazione e la rifunzionalizzazione.

La seconda grande svolta è stata quella verso la sostenibilità ambientale dei Beni. Il percorso verso la sostenibilità è nato con un crescendo, dai primi approcci sull’efficienza energetica di alcuni Beni, all’esplorazione dell’utilizzo di fonti rinnovabili, fino all’approccio integrato che caratterizza ormai i nuovi progetti d’intervento.
Vediamo nel dettaglio alcuni casi:

Villa Necchi Campiglio

La progettazione del restauro di Villa Necchi  – villa urbana in pieno centro di Milano, progettata e costruita dall’arch. Piero Portaluppi negli anni ’30 su commissione delle sorelle Nedda e Gigina Necchi e Angelo Campiglio – inizia all’inizio degli anni 2000.

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Villa Necchi Campiglio Milano, foto by Giorgio Majno

Nel 2003 vengono svolti alcuni studi di fattibilità e di valutazione delle soluzioni possibili per introdurre un impianto di derivazione delle acque di falda ad uso di condizionamento nel quadro di una ristrutturazione tecnica di tutta l’impiantistica della Villa.

I lavori sono poi iniziati nel 2006 e ci sono voluti due anni per la realizzazione dell’intero progetto. Dei 6 milioni di costo totale per il restauro conservativo della Villa, circa 1,3 milioni sono stati dedicati proprio agli impianti.

Due i vincoli principali: il contenimento del rumore e dell’impatto visivo. L’impianto è stato per questo inserito sottoterra, insonorizzando le macchine e realizzando gli impianti scollegati dalle strutture attraverso molle o prodotti analoghi. Per questo si è dovuto realizzare uno scavo sotto al campo da tennis per creare uno spazio di circa 130 mq dove sono state posizionate le centrali dell’impianto meccanico. In questo spazio sono stati posizionati un gruppo frigo, due unità di trattamento aria, la caldaia, il gruppo elettrogeno, tutto l’impianto di trattamento dell’acqua della piscina oltre ai collettori e quanto fa parte di una centrale di termoventilazione. Alla centrale fanno quindi riferimento tutti gli impianti della villa.

Anche l’impianto idraulico e sanitario è stato completamente ridisegnato con il rifacimento di tutti gli scarichi, ma la peculiarità del progetto riguarda la realizzazione di un pozzo: l’acqua di questo pozzo viene utilizzata per il riempimento della piscina che a sua volta funge da riserva idrica anti incendio, per la condensazione dei gruppi frigo, e, essendo acqua non potabilizzata viene inviata ai WC. Inoltre serve l’intero impianto di irrigazione automatico del giardino. Si tratta di impianto molto sofisticato, che garantisce la massima sicurezza di utilizzo.

Si dovette invece rinunciare all’inserimento di un impianto geotermico per un problema di costi e all’inserimento di alcuni pannelli fotovoltaici, rifiutati dai vincoli monumentali.

La Cavallerizza

La Cavallerizza di Radetzky è la sede centrale del FAI, frutto di un importante accordo tra la Fondazione, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia e la Biblioteca Nazionale Braidense.

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La Cavallerizza  foto by Giorgio Majno

La Cavallerizza risale alla prima metà del XIX secolo, venne edificata come maneggio coperto, che la leggenda vuole destinato al Feldmaresciallo Radetzky e alla sua cavalleria.  Nel 1998-99  l’arch. Vittorio Gregotti curò per il MiBacT il progetto di restauro dell’edifico. Ospita nei piani interrati depositi di materiali librari, in particolare i periodici, della Biblioteca Nazionale Braidense.

Al momento del suo ingresso nell’edificio il FAI ha trovato il restauro completato e tutta l’impiantistica operativa, con tecnologia purtroppo già datata.

Non avendo quindi la Fondazione né progettato né eseguito gli interventi, impianti inclusi, l’unica possibilità di intervento residua è stata quella del monitoraggio: si è quindi realizzato un attento e puntuale monitoraggio finalizzato alla riduzione/ottimizzazione dei consumi attraverso: la raccolta dei dati relativi ai consumi delle diverse aree e utenze, in particolare per quelle che hanno maggior assorbimento; l’analisi dei dati, al fine di evidenziare eventuali consumi anomali o critici; la sensibilizzazione, grazie a dati oggettivi, al corretto utilizzo delle risorse energetiche; la realizzazione di azioni che permettano la riduzione dei consumi.

Bosco di San Francesco

Il Bosco di San Francesco comprende 64 ettari di terreni boschivi, campi coltivati, radure e uliveti alle spalle della Basilica di S. Francesco di Assisi.

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Bosco San Francesco,  – Mulino, foto by Andrea Angelucci

A fondovalle si trova un microcosmo abitato tra il XIII e il XIV secolo da monache benedettine che comprende una chiesa, un mulino, i resti di un ospedale e di un monastero e più avanti un’antica torre-opificio.

Gli interventi nei complessi edilizi storici hanno visto l’introduzione di pompe di calore; mentre il piccolo edificio dedicato a punto informativo è stato completamente efficentato.

Verso l’approccio globale a Punta Mesco e a Cerrate

E’, tuttavia, proprio nei nuovi progetti ancora in corso che meglio si evidenzia il nuovo approccio integrato al recupero del Bene in un’ottica di sostenibilità ambientale.

La proprietà di Punta Mesco è un’area naturale comprensiva di tre piccoli fabbricati rurali, di circa 45 ettari, donata alla Fondazione nel 2009 dall’immobiliare Fiascherino. Situata sulla sommità del Promontorio di Punta Mesco che separa l’insenatura di Levanto da quella di Monterosso, in un terreno di eccezionale pregio naturalistico e paesaggistico. Siamo nel Parco nazionale delle Cinque Terre, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco e area SIC (Sito di importanza comunitaria 89-Punta mesco).

L’approccio al progetto è stato in questo caso complessivo e in un’ottica di sostenibilità globale del sito, che vede interventi sul paesaggio con il recupero rurale di valore storico culturale, sui manufatti architettonici con l’efficentamento energetico, la gestione integrata delle acque, l’approvvigionamento tramite fonti rinnovabili ecc…

Complesso dell’Abbazia di Cerrate

Fondata da Re Tancredi di Altavilla, l’abbazia risale al XII secolo. Nel 1531 il complesso passò sotto il controllo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli: oltre alla Chiesa c’erano stalle, un pozzo, un mulino e due frantoi. E’ uno dei più significativi esempi del romanico in Puglia.

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Abbazia S.Maria di Cerrate, foto by Francesco Franciosi

Non era solo un centro religioso ma anche un centro produttivo, con una ricca pertinenza agricola. Il recupero dell’intero complesso monumentale e delle parti rurali prevede interventi sul paesaggio e sui manufatti completamente integrati in una visione di sostenibilità ambientale.

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