Transizione energetica in Italia: cosa serve per sbloccarla?

Oggi si torna a parlare di carbone e degli altri combustibili fossili. Ma le rinnovabili servono eccome, in un giusto mix, puntando anche sulla ricerca. L’opinione di Aristide Massardo, professore di Sistemi per l’Energia e l’ambiente al Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti dell’Università di Genova

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Transizione energetica in Italia: cosa serve per sbloccarla?

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Di transizione energetica in Italia oggi se ne parla un po’ meno, mentre sono tornati in auge il carbone e gli altri combustibili fossili.

Da una parte la necessità di affrancarsi dalla dipendenza del gas russo (con il 45% circa è il principale fornitore dell’Italia), dall’altra le legittime necessità di sviluppare il potenziale delle Fonti Energetiche Rinnovabili. Cosa occorre fare? «Non è possibile pensare di chiudere le centrali a combustibili fossili, puntando solo su fotovoltaico ed eolico. Il nostro consumo totale di energia primaria oggi è di 169 Mtep, corrispondenti a circa 1965 TWh, mentre l’energia elettrica in rete è di circa 300 TWh, quindi, siamo a un sesto circa dell’energia consumata in Italia all’anno (dati 2019 ante pandemia). Pertanto, il Paese non si decarbonizza unicamente agendo con fotovoltaico ed eolico sulla sola quota elettrica attuale: infatti l’impiego di fossili nei trasporti, nell’edilizia, nell’industria è molto elevato. Inoltre, l’elettrificazione dei trasporti richiederà un’ulteriore produzione di energia elettrica e questo rende ancora più complesso il raggiungimento degli obiettivi a breve e medio termine».

Aristide Massardo, professore di Sistemi per l’Energia e l’ambiente al Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti dell’Università di GenovaLo afferma Aristide Massardo, professore di Sistemi per l’Energia e l’ambiente al Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti dell’Università di Genova. È un esperto di livello internazionale nel settore energetico, direttore di un centro di ricerca di Rolls-Royce dal 2004. Ha lavorato in vari settori e su vari filoni, compreso il nucleare con raffreddamento ad elio negli anni ‘90. Massardo ha fondato il Thermochemical Power Group nel 1998, ed è attualmente il coordinatore dell’Università di Genova per diversi progetti internazionali. Nel laboratorio dell’ateneo genovese si sta testando proprio in questi giorni il sistema di propulsione a celle combustibile e idrogeno della nave Zeus di Fincantieri, gruppo italiano che sta realizzando la prima unità con propulsione esclusiva a idrogeno. Lo stesso docente e il TPG sono stati chiamati da UNESCO a supervisionare una rete internazionale di università in quattro continenti impegnate nella ricerca sulla sostenibilità energetica e la sua diffusione universale, (Cattedra del programma Unesco/Unitwin Innovative, Sustainable and Clean Energy).

Professor Massardo, la transizione energetica in Italia è ancora un obiettivo? Intanto oggi si parla di ritorno al carbone…

Le centrali a carbone, su cui l’Italia conta ancora oggi, rappresentano circa 6 GW di capacità di generazione  e sono come noto oggetto di phase out entro il 2025, cioè è prevista la loro chiusura entro tale data. La loro riattivazione è la conseguenza di un momento di crisi inaspettata a causa del conflitto in Ucraina, in particolare per l’approvvigionamento del gas russo e del suo costo, per mantenere attivo al meglio anche in termini di costi dell’energia il sistema elettrico e produttivo nazionale.

Nessuno mi pare abbia detto che si andrà avanti a carbone, che invece registra livelli di impiego enormi in India e in Cina (che consuma attualmente più della metà del carbone mondiale: solo nel 2020 ha impiegato tre miliardi di tonnellate, registra la IEA – nda). Il vantaggio del carbone sono i costi, stabili, e i quantitativi, abbondanti. Vale la pena di ricordare, tuttavia, che chiudendo le centrali a carbone, come afferma Terna, il sistema elettrico nazionale si trova ad affrontare una serie di problemi essenzialmente correlati al fatto che la produzione da fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico) non è programmabile nonché ubicata in particolare nella zona sud del paese. Si deve anche considerare che Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, ossia il motore industriale trainante l’economia italiana, risultano da anni in deficit in termini di produzione di energia elettrica in assoluto (fossili e rinnovabili), mentre Puglia e in Calabria hanno significativi surplus di energia da rinnovabili. Il problema è, fra gli altri, trasportare l’energia elettrica da Sud a Nord, mentre il sistema elettrico italiano è stato pensato negli anni Settanta per il tragitto inverso.

Purtroppo l’intermittenza di fotovoltaico ed eolico, fonti rinnovabili consistenti nel mix energetico rinnovabile attuale, ma ancor più negli obiettivi del PNIEC 2019 per l’anno 2030 (raddoppio dell’eolico e triplicazione del fotovoltaico a consumi praticamente costanti), richiede, affinché sia assicurata la continuità energetica, sistemi di accumulo e centrali fossili dispacciabili, cioè controllabili sulla base delle richieste della rete (il che ha dato origine al cosiddetto Capacity Market). In questo scenario esistono molte soluzioni indicate in letteratura, ma a mio modesto avviso non ne esiste una sola che consenta la decarbonizzazione in presenza di sicurezza del servizio e costi accettabili: dovremo aprire la mente e lavorare a 360° per individuare le soluzioni ottimali caso per caso con un approccio “technology neutral”.

Resta però la dipendenza dal gas. Reputa possibile un affrancamento dell’Italia?

L’Italia consuma circa 75 miliardi di metri cubi di gas naturale. La Francia ne consuma poco meno di 50 miliardi, nonostante conti per la parte elettrica su nucleare e idroelettrico. Il che indica che il gas non è solo utilizzato in Europa per la generazione elettrica, ma anche largamente nel riscaldamento domestico e negli usi industriali. Per cui il tema dell’affrancamento dal gas è estremamente complesso e richiede tempi lunghi, posto anche il fatto che gli ultimi vent’anni li abbiamo trascorsi come se non ci fosse alcun problema di approvvigionamento (ricordiamoci la polemica sul TAP).

In Italia c'è una forte dipendenza dal gas, è possibile un affrancamento?

Questo è accaduto, pur consapevoli, almeno gli addetti ai lavori, che il tema fosse critico dovendo dipendere già dagli anni Novanta da Oil & Gas proveniente da Paesi a forte tensione geopolitica come Libia, Algeria e Russia. Aggiungo che la politica contraria ai rigassificatori non ha consentito di disporre, anche se non risolutiva, di una soluzione alternativa o meglio integrativa rispetto al trasporto via metanodotto dalla Siberia.

Posto questo, quali sono i passi necessari per sviluppare una maggiore produzione da rinnovabili? Ha senso ancora parlare di nucleare in Italia?

Partiamo dal nucleare, che un poco conosco e su cui ho lavorato anni or sono, quasi clandestinamente. Oggi parlare di nucleare in Italia ha poco senso se si ritiene di poter affrontare con le centrali nucleari la crisi del gas a breve: si deve pensare che occorrono anni (8-10) circa per costruirne una, e se va tutto bene; inoltre, e lo dico con una certa ironia, per le lungaggini burocratiche e per le resistenze territoriali servirebbe forse avviare l’iter di una decina di progetti per arrivare a vederne realizzato uno o due. L’accettabilità sociale è infatti uno dei temi più critici per gli impianti di conversione dell’energia, mi immagino la difficoltà per una centrale nucleare vista la già difficile accettabilità sociale nei territori di centrali anche a fonti rinnovabili come le biomasse, e lo dico per esperienza diretta.

I passi necessari per sviluppare una maggiore produzione da rinnovabili

Per quanto riguarda le fonti rinnovabili (e la transizione energetica in Italia) il Ministero dell’Ambiente, oggi MiTe, nel 2019 ha pubblicato il PNIEC, ponendo gli obiettivi di produzione da rinnovabili al 2030. Praticamente parità di consumi elettrici nonostante l’introduzione di circa 6 milioni di veicoli elettrici, devono essere triplicate le quantità di fotovoltaico e duplicate quelle di eolico installate al 2019. Tutto questo, in un momento di crisi, come quello attuale, non è certamente sufficiente in quanto le fonti energetiche rinnovabili dovrebbero, oltre che compensare le centrali a carbone chiuse, partecipare in larghissima misura alla aggiuntiva riduzione di domanda di gas.

Questo fatto si scontra con la sicurezza della rete elettrica che necessita, per evitare anche lunghi blackout, di centrali programmabili come quelle alimentate da fossili, ovvero di giganteschi sistemi di accumulo sui quali si lavora, ma a dimensioni grandi (GWh, TWh), l’esperienza non è ancora così chiara anche in termini di fine vita dei sistemi in particolare degli accumulatori elettrochimici (batterie). Peraltro, ciò a cui abbiamo assistito a valle del PNIEC, anche in parte legato alla pandemia, è un significativo ritardo nello sviluppo delle FER per il raggiungimento degli obiettivi al 2030 per svariate ragioni (burocrazia, difficoltà di individuazione dei siti preposti, autorizzazioni).

Per fare un esempio banale: ho lavorato per la realizzazione di un parco eolico da circa 60MW in Campania. Per realizzarlo è stato necessario richiedere l’approvazione di ben 37 enti…!! Siamo quindi di fronte a una duplice stringente necessità: investire per sviluppare le rinnovabili e mantenere un sistema energetico, comunque affidabile: una sfida epocale che dobbiamo vincere per il futuro dei nostri figli e nipoti. Proprio per rispondere alle necessità cogenti, la transizione energetica completa non è possibile a breve, ma deve essere basata su una road map ben definita e certa che tenga conto anche che essa impatta in modo significativo se non dirompente sul sistema produttivo del Paese.

Investire sulle rinnovabili permetterebbe di contare su una certa indipendenza energetica, oggi non saremmo così legati alle variazioni di prezzo dell’energia causato dalla situazione di estrema tensione geopolitica. Non è forse così?

Tutto quello che si realizza oggi in termini di produzione di eolico, fotovoltaico & C. sarà indipendente – anche se non completamente dato che i costi di costruzione dipendono da quelli dell’energia – dallo sviluppo dei costi del gas. Puntando a una maggiore autonomia delle rinnovabili, avremmo una più forte stabilità del prezzo dell’energia, purché il nostro sistema della borsa elettrica venga opportunamente rivisto, inserendo clausole che non connettano il prezzo da rinnovabili al prezzo da fossile (gas) altrimenti non si risolve il problema del costo. Ma sono certo che ARERA e Governo (MiTe) sapranno affrontare e risolvere questo non banale problema in un mercato liberalizzato già dal 1999.

Quello che va comunque rivisto in parallelo è il rinnovamento di alcuni settori, primo dei quali i trasporti che utilizzano circa il 22% dell’energia che importiamo, e prevalentemente fossili. Occorre ragionare puntando su diverse fonti di alimentazione: elettrico, certo, ma anche idrogeno verde (blu solo per un periodo transitorio, almeno finché non ci sarà disponibilità sufficiente da rinnovabili) e biocarburanti green. Sono dell’opinione che tutti i contributi siano necessari, purché green (elettrificare i trasporti utilizzando fossili è una pessima soluzione, anche se a livello di inquinamento delle città può essere una soluzione positiva).

Per quanto riguarda l’idrogeno, un terreno nel quale lavoro da molti anni anche in Unione Europea, vanno realizzate le infrastrutture sia per la produzione sia per il trasporto e lo stoccaggio. In ogni caso vanno diversificate le fonti, puntando alla sostenibilità, alla fattibilità e alla salvaguardia dell’ambiente. Ripeto una sfida che dobbiamo percepire già nella fase educativa: elementari, medie, superiori e Università hanno un compito fondamentale nella formazione di cittadini che capiscano il problema, siano non “partigiani” e contribuiscano con il loro modo di vivere a scelte energeticamente sostenibili»

Transizione energetica in Italia: quanto è importante puntare sulla ricerca per cercare anche nuove alternative oltre alle esistenti?

Ci sono due aspetti da considerare sul tema. Innanzitutto la ricerca è sviluppo tecnologico di idee una volta inimmaginabili e che oggi diamo per scontate. Un esempio: attualmente alcune società costruiscono turbine eoliche da 15 MW di dimensioni davvero impressionanti, vent’anni or sono si arrivava al massimo a 2 MW. Lo stesso uso dell’ammoniaca prodotta da rinnovabili (l’ammoniaca non contiene carbonio e quindi di per sé è decarbonizzata) nella combustione in turbine o per l’uso in fuel cell è un tema di grande interesse per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, così pure l’idrogeno, oggi oggetto di interesse per le sue potenzialità di accumulo chimico del surplus di energia rinnovabile non dispacciabile e altro.

La ricerca va ovviamente integrata in uno scenario energetico peculiare paese per paese e contestualizzata in uno scenario internazionale nonché con una visione tecnico-economica. Questo discorso vale anche per le fonti rinnovabili. Inoltre, va fatta, come facciamo con UNESCO, una considerazione di equità energetica, non di uguaglianza: equità significa portare tutti allo stesso livello indipendentemente dal punto di partenza, non dare a tutti la stessa cosa, e questo puntando proprio su modelli energetici diversi. I Paesi occidentali hanno consumi molto più elevati del resto del mondo e questo fatto ci pone nella necessità di lavorare ora subito per ridurli e decarbonizzarli riducendo le emissioni e dare un indirizzo a tutti gli altri di sostenibilità. Come dicono i giovani non abbiamo un Pianeta B!!

Idrogeno verde: che opportunità si aprono all’Italia?

Leggo con positività la decisione del Ministero della Transizione ecologica di affidare a ENEA la predisposizione di un piano da molti milioni di euro per sviluppare attività di ricerca e sviluppo nel settore oltre ad altre attività nel PNRR sul tema. L’Italia dispone di competenze industriali valide e che se messe a fattor comune possono fornire un contributo importante. Tuttavia, non si può dimenticare che altri Paesi, Germania in primis, hanno iniziato questo percorso ben prima di noi e quindi siamo di rincorsa come spesso ci accade nel campo tecnologico. Noi, per esempio, siamo a zero a livello di infrastrutture per il trasporto dedicato (non considero l’iniezione in reti gas). Occorre crederci e investire in R&D e nella costruzione di aziende, startup e spin-off dedicate.

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