Fotovoltaico di nuova generazione: il polo di ricerca italiano che lavora al solare che verrà

CHOSE è un centro di ricerca italiano specializzato sul fotovoltaico di nuova generazione, all’avanguardia mondiale sui moduli in perovskite. Un ottimo esempio di R&D sulle rinnovabili

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Il modulo fotovoltaico flessibile in perovskite sviluppato nel centro di ricerca chose
Modulo fotovoltaico flessibile in perovskite

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È sul fotovoltaico di nuova generazione che l’Italia può davvero fare la differenza. Su questo lavora CHOSE, centro di ricerca attivo nello sviluppo delle celle solari organiche e ibride organiche/inorganiche. In particolare lavora su moduli in perovskite, su cui è all’avanguardia a livello internazionale: sono stati i primi al mondo a realizzare moduli sia su vetro sia su film di plastica.

Dalla sua fondazione il Centro ha partecipato a più di 10 progetti europei, ma uno dei suoi obiettivi è porre le condizioni per il trasferimento tecnologico del proprio know-how dal laboratorio allo sviluppo industriale e commerciale.

Attraverso l’azione di trasferimento tecnologico del Polo Solare Organico sono nate già quattro società spin-off e il suo ruolo è svolto su vari ambiti di ricerca internazionale. In questo senso è membro EERA – European Energy Research Alliance, la più grande piattaforma europea per lo sviluppo delle ricerche e tecnologie nel campo energetico. Inoltre, è partner di Graphene Flagship, la più importante azione di ricerca europea sul grafene e materiali correlati. Il Centro è stato anche membro DYEPOWER, un consorzio pubblico–privato che ha visto coinvolti non solo l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ma anche l’Università degli Studi di Ferrara e di Torino e Permasteelisa, multinazionale italiana specializzata in rivestimenti architettonici in vetro e acciaio per applicare il fotovoltaico agli edifici per applicazioni di integrazione architettonica (Building Integrated Photovoltaics, BIPV).

Oggi le potenzialità di impiego di moduli fotovoltaici di nuova generazione permettono di aprire anche allo sviluppo di pannelli a celle solari sensibilizzate a pigmenti (Dye Sensitized Solar Cells), e al fotovoltaico a semiconduttori organici/polimerici, impiegabili per esempio nelle serre.

Sappiamo oggi quali siano le difficoltà incontrate dall’agrivoltaico, ma anche le potenzialità di un suo sviluppo. Questa opportunità aiuterebbe di sicuro a una diffusione concreta. Su questo sta lavorando CHOSE, in collaborazione con un team di “Tor Vergata” e dall’Orto Botanico dell’ateneo e ha da poco messo a punto una serra sperimentale dotata di copertura semitrasparente. I pannelli in vetro hanno raggiunto un’efficienza massima pari a 3,88%, mentre l’efficienza media è risultata del 2,5%.

I processi realizzativi delle tecnologie su cui lavora CHOSE sono compatibili con diversi substrati tra cui la carta (al Centro è stata sviluppata la prima cella solare a perovskite su carta) e film plastici (PET, per esempio), permettendo quindi lo sviluppo di fotovoltaico leggero e flessibile che può essere integrato facilmente su una varietà di superfici oltre che per applicazioni portatili.

Fotovoltaico di nuova generazione: cos’è CHOSE

CHOSE è l’acronimo di Centre for Hybrid and Organic Solar Energy. È un centro di ricerca e sviluppo nato nel 2006 per lo studio, la ricerca e lo sviluppo fotovoltaico di nuova generazione basato su semiconduttori organici o ibridi (organici/inorganici). Fondato grazie a finanziamenti diretti della Regione Lazio nel 2006 per l’avvio, ora il centro si sostiene grazie ai finanziamenti ottenuti con l’avvio di progetti europei, nazionali, regionali, ministeriali.

Fotovoltaico di nuova generazione: cos’è CHOSE

Tra i filoni di ricerca c’è, come detto, la ricerca sulle celle solari sensibilizzate a pigmenti. «Abbiamo iniziato lavorando su queste particolari celle solari a pigmenti», conferma Thomas Brown, docente di Elettronica Organica e Biologica e di Tecnologie Fotovoltaiche Innovative presso l’università romana Tor Vergata nonché membro dello staff scientifico di CHOSE.

In questo senso la gamma di pigmenti impiegabili comprende quelli a base vegetale (per esempio, le antocianine derivate dai frutti di bosco), i polimeri e le molecole sintetizzate in modo o da massimizzare l’assorbimento dello spettro solare oppure da far filtrarne una parte per applicazioni in vetrate fotovoltaiche.

«Da qualche anno stiamo focalizzando le nostre attenzioni di ricerca sul fotovoltaico a perovskite, su cui c’è un grande interesse a livello internazionale per le prestazioni che è in grado di offrire». Si consideri che le perovskiti ibride sono in grado di convertire il 20% dell’energia solare in energia elettrica. «Le celle solari polimeriche e con perovskiti hanno il beneficio, dal punto di vista costruttivo, che i materiali o i loro precursori si depositano in soluzione, sciogliendosi in solventi organici per lo più, con tecniche di stampa di facile accesso», specifica Brown.

Sulla ricerca riguardante la perovskite, CHOSE si segnala all’avanguardia a livello internazionale: come detto, sono stati i primi al mondo a realizzare moduli sia su vetro sia su film di plastica: «su uno stesso substrato abbiamo interconnesso monoliticamente più celle». È un aspetto assai interessante questo, anche a livello di trasferimento tecnologico: non si lavora solo sulla singola cella, ma su un modulo. La ricerca sull’architettura di dispositivo, sui materiali e sulle loro combinazioni permette di migliorare l’efficienza di conversione e anche la stabilità, due parametri fondamentali per quanto riguarda la performance. La possibilità di stampa su un’ampia area si traduce anche in una riduzione dei costi, diventando così una soluzione appetibile per uno sviluppo industriale su larga scala.

Fotovoltaico e ricerca: l’attenzione alla sostenibilità

I processi per il fotovoltaico di nuova generazione hanno alcune caratteristiche premianti sotto l’aspetto della sostenibilità ambientale ed economica. «Innanzitutto i materiali impiegati sono di larga diffusione – specifica il docente e membro dello staff scientifico CHOSE – Inoltre, nel caso sia dei semiconduttori organici sia in quelli con perovskite i processi di giunzione richiedono temperature più basse rispetto ai semiconduttori convenzionali per la formazione delle celle. Per raggiungere una sostenibilità dal punto di vista commerciale ci sono due aspetti da migliorare: la stabilità e la possibilità di ridurre drasticamente, se non azzerare, la presenza di piombo o evitare possibili perdite attraverso un efficace incapsulamento».

Centro di ricerca Chose: procedimenti lavorazione del fotovoltaico
Procedimenti lavorazione fotovoltaico: (a) Sistema di rivestimento personalizzato sviluppato al CHOSE che permette il riscaldamento indipendente della testa dello stampo, dell’inchiostro e della piastra dove viene posizionato il substrato per il deposito di film sottili su grandi aree; (b) sistema laser a scansione raster per la definizione delle celle su un modulo fotovoltaico; (c) modulo fotovoltaico flessibile in perovskite

La ricerca sul “fotovoltaico 4.0” potrà fornire anche un contributo alla transizione energetica. Ma occorrono determinate condizioni: «il primo aspetto da considerare riguarda la possibilità di ridurre i costi dei processi di realizzazione del fotovoltaico. Servirebbe lo sviluppo di una filiera italiana che dalla ricerca e sviluppo porti allo sviluppo industriale». Le potenzialità comunque ci sono, in vari campi applicativi, sottolinea lo stesso Brown: «abbiamo dimostrato che le celle solari a perovskite sia su vetro che su pannelli flessibili possono avere potenzialità anche con luce da interni. Si aprono così scenari interessanti, anche per quanto riguarda le soluzioni Internet of Things. Grazie alla possibilità di moduli fotovoltaici incorporati sui sensori IoT, per esempio, sarebbe possibile alimentarli con l’ausilio di luce indoor fornendo così l’autonomia da batterie e contribuendo a un suo impiego ancora più diffuso dell’Internet delle Cose e alla possibilità di interconnessione».

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