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Uno studio pubblicato sulla rivista “Environment Research”, condotto dall’Università di Harvard in collaborazione con l’UCL, l’Università di Birmingham e l’Università di Leicester, rileva che l’impatto sulla salute dell‘inquinamento atmosferico da combustibili fossili è assai più grave di quanto fino ad ora si credesse. Fino ad oggi infatti, il Global Burden of Disease Study, che è il più grande e completo studio sulle cause della mortalità globale, ha fissato a 4,2 milioni di persone il numero totale di morti ogni anno causate da particolato dell’aria esterna (compresi la polvere e il fumo degli incendi). La nuova ricerca mostra che annualmente nel mondo muoiono più di 8 milioni di persone (per la precisione 8,7mln) a causa delle particelle provenienti dalla combustione di carbone, benzina e diesel. L’inquinamento inoltre aggrava le patologie respiratorie, come l’asma o i problemi cardiaci e aumenta l’incidenza di malattie, spesso mortali, quali per esempio il cancro ai polmoni e l’ictus. Emerge inoltre che esiste un nesso tra le regioni con le maggiori concentrazioni di inquinamento atmosferico da combustibili fossili, tra cui il Nord America orientale, l’Europa e il Sud-Est asiatico, e il tasso di mortalità. Le ricerche precedenti si basavano su osservazioni satellitari per stimare le concentrazioni medie annuali globali di particelle PM2.5. Ma i satelliti non riescono a distinguere tra le particelle provenienti dalle emissioni di combustibili fossili e quelle provenienti dalla polvere, dal fumo degli incendi o da altre fonti, e ci possono essere lacune nei dati. In questo caso i ricercatori hanno utilizzato un modello 3-D di chimica atmosferica precisissimo e in grado di distinguere le diverse fonti di inquinamento e l’impatto sulla salute delle alte concentrazioni di inquinamento atmosferico esterno. I ricercatori hanno scoperto che, a livello globale, l’esposizione al particolato dalle emissioni di combustibili fossili rappresentava il 21,5% dei decessi totali nel 2012, scendendo al 18% nel 2018 grazie alle misure più severe sulla qualità dell’aria adottate in Cina. Eloise Marais co-autore della ricerca e professore associato dell’UCL ha spiegato che “La combustione di combustibili fossili produce particelle fini cariche di tossine che sono abbastanza piccole da penetrare in profondità nei polmoni. I rischi di inalare queste particelle, note come PM2.5, sono ben documentati, ma lo Studio offre un’ulteriore documentazione della dannosità dei combustibili fossili, su cui non si deve più fare affidamento conoscendo i gravi effetti sulla salute e soprattutto sapendo che ci sono alternative valide e green”. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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