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Il ministro degli Esteri francese e presidente della Cop 21 Laurent Fabius ha presentato alla Plenaria di Parigi la nuova bozza di accordo, ridotta a 29 pagine, dalle 48 della precedente stesura. Non siamo ancora alla versione definitiva, restano infatti alcuni nodi da sciogliere entro domani sera. Diversi i punti ancora in discussione tra cui la mobilitazione di risorse, l’articolo 6 parla di 100 miliardi di dollari entro il 2020 da parte dei paesi industriualizzati e inquinanti, verso quelli in via di sviluppo in modo da finanziare le politiche nazionali per la riduzione del CO2 e da garantire il rispetto degli impegni presi a livello nazionale. Resta poi da capire l’eventuale responsabilità dei paesi ricchi, che sono grandi inquinatori, nei confronti dei paesi poveri per danni futuri causati dai cambiamenti climatici. C’è il nodo della differenziazione: i paesi in via di sviluppo godono di un trattamento privilegiato rispetto alle economie industrializzate, tuttavia ci si domanda se abbia senso che paesi come la Cina, primo Paese per emissioni globali e l’India, terzo paese per emissioni, le cui economie sono cresciute in maniera molto significativa, debbano continuare a beneficiare di tali privilegi. Un altro importante aspetto ancora da definire è legato all’ambizione di limitare il contenimento del riscaldamento globale a 2° o 1,5°, come vorrebbe l’Italia, mentre attualmente sommando tutti i contributi nazionali definiti dai paesi, si arriverebbe solo a 2,7 se non 3°. Altro punto critico è che l’accordo di Parigi, se firmato, entrerà in vigore nel 2021 e l’attuale bozza prevede la prima revisione periodica al 2023, un orizzonte temporale troppo lungo che – commenta il direttore dell’ufficio europeo di Legambiente, Mauro Albrizio “rischia di cristallizzare la traiettoria di riscaldamento verso i 3 gradi. Auspichiamo che la questione sia rimessa sul tavolo, perché non possiamo aspettare altri 8 anni. Serve una revisione prima dell’entrata in vigore del trattato, in modo che quando questo sarà operativo gli impegni siano già stati incrementati”. Il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti in un’intervista pubblicata sul quotidiano Avvenire ha sottolineato : “Un passo avanti, finalmente abbiamo un testo su cui discutere. Ma la soluzione finale potrà essere all’altezza solo se la politica a questo punto ci mette la politica. L’accordo deve essere ambizioso. I due giorni che restano sono determinanti perché ogni Paese possa dimostrare quanto è disponibile a passare dalle parole – che per ora sono state tante- ai fatti, che ora vanno messi nero su bianco”. “Leggendo il testo presentato, si capisce come le decisioni piú rilevanti non siano ancora state prese. Ciò che preoccupa il WWF sono proprio i dettagli , soprattutto negli scambi tra un’opzione e l’altra, tra una parentesi e l’altra – ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima&Energia del WWF Italia. Restano solo due giorni e per questo il WWF chiede con forza che il testo finale preveda che prima del 2020 si faccia una revisione degli impegni assunti in modo volontario dai Paesi, con un adeguamento alla necessitá di stare sotto 1,5 – 2°. Più si allungano i tempi dell’adeguamento degli impegni e più incombe il pericolo di un riscaldamento globale dai danni incalcolabili. Secondo il WWF è bene mettere nel testo come orizzonte il limite piú sicuro, quello di 1,5 gradi centigradi, ma poi vanno dettate le tappe necessarie per perseguirlo. Senza revisione, si rischia dii superare i 3 gradi di aumento medio della temperatura globale . Gli ingredienti per un buon risultato della COP21 di Parigi ci sono ancora tutti ma occorrerà lavorare giorno e notte per scongiurare il rischio di un accordo di facciata”. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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