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Le celle solari tandem realizzate nell’ambito del progetto europeo CHEOPS che uniscono silicio e perovskite raggiungono l’efficienza record del 25,2%. Il Progetto Europeo CHEOPS, è partito a febbraio 2016 per lo sviluppo di nuovi tipi di celle fotovoltaiche, ha una durata di 3 anni e ha ottenuto un finanziamento di 5 milioni di euro nell’ambito del programma europeo di ricerca e innovazione Horizon 2020. Come sappiamo le celle in silicio sono oggi le più diffuse, appresentano il 90% del mercato, grazie alla loro efficienza e stabilità a bassi costi di lavorazione. Ma da tempo ormai si stanno studiando le caratteristiche e potenzialità delle celle a perovskite, che si caratterizzano per una maggior efficienza rispetto alle celle di silicio e bassi costi di produzione. I ricercatori hanno testato l’efficienza di un nuovo tipo di celle che uniscono silicio e perovskite per convertire la luce solare in elettricità, con ottimi risultati: la combinazione in tandem, oltre a essere economicamente sostenibile, fornisce infatti più energia di quanto i due sistemi facciano singolarmente, raggiungendo nel complesso l’efficienza record per questo tipo di cella tandem del 25,2 %. Lo studio che è stato pubblicato sulla rivista «Nature Materials» stima che la loro tecnica di produzione innovativa ma semplice potrebbe essere integrata direttamente nelle linee di produzione esistenti e l’efficienza di conversione di potenza potrebbe superare il 30% a costi ragionevoli. Il loro sviluppo potrebbe dunque assicurare una maggior quantità di energia rinnovabile a costi contenuti. Uno degli autori del progetto Quentin Jeangros, che ha pubblicato un articolo sul sito di Cheops, sottolinea che “Combinando i due materiali, possiamo massimizzare l’uso dello spettro solare e aumentare la quantità di energia generata. Tuttavia, creare un’efficace struttura in tandem sovrapponendo i due materiali non è un compito facile. La superficie del silicio è costituita da una serie di piramidi di circa 5 micron, che intrappolano la luce e ne impediscono il riflesso. Tale struttura superficiale rende difficile depositare una pellicola omogenea di perovskite. Quando la perovskite si deposita in forma liquida, come avviene di solito, si accumula negli spazi tra le piramidi lasciando scoperti i picchi e provocando i cortocircuiti”. Piramidi di silicio ricoperte di perovskite Per superare questo problema gli scienziati, attraverso sistemi di evaporazione, sono riusciti a formare uno strato di base inorganico che copre completamente le piramidi e che è poroso permettendo quindi di trattenere la soluzione organica liquida che viene aggiunta. A questo punto i ricercatori riscaldano il substrato ad una temperatura relativamente bassa di 150°C per cristallizzare una pellicola omogenea di perovskite sulle piramidi di silicio. Nonostante i molti passi avanti, rimane ancora molto lavoro da fare prima che la tecnologia possa essere adottata commercialmente, ma le premesse ci sono tutte. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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