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IBM ha annunciato ieri lo startup di un nuovo progetto di calcolo distribuito finalizzato alla ricerca di nuove tecnologie per rendere più economico ed efficiente il processo di sfruttamento dell'energia solare. Attraverso iniziative di DC (Distributed Computing), tutti i PC che aderiscono vengono a far parte di una gigantesca rete di macchine che sfrutta i tempi di inattività dei processori (che restano normalmente inoperosi per oltre l'80% del tempo), per eseguire calcoli o porzioni di essi, i cui risultati confluiscono poi sui server centrali dei vari progetti. Esempi illustri di calcolo distribuito sono dati sa SETI, Folding, Climate Prediction e molti altri, alcuni rivolti alla ricerca in ambito medico, altri per lo studio del clima, alla ricerca di vita extraterrrestre e per scopi scientifici ancora differenti. World Community Grid rappresenta, al momento, la più grande rete di calcolo distribuita oggi esistente; il progetto è finanziato e gestito da IBM che, al momento, intende utilizzare 1/6 della potenza a disposizione per la ricerca di materiali organici in grado di rimpiazzare il costoso silicio oggi utilizzato nella produzione di pannelli solari. Secondo Alan Aspuru-Guzik, professore del Dipartimento di Chimica e Biologia Chimica ad Harvard, senza l'utilizzo della rete di calcolo, il tempo necessario per raggiungere gli stessi risultati, a livello di elaborazione, potrebbe essere fino a 10 volte superiore. La sfida al silicio da parte di materiali plastici è stata dunque lanciata, non solo ad Harvard però; nei laboratori del M.I.T. di Boston infatti, è stato recentemente realizzato un modello matematico elaborato al computer in grado di abbattere del 99% la presenza del materiale, cosa che permetterebbe una sensibile diminuzione del prezzo delle celle solari, il tutto senza diminuire l'efficienza ma, al contrario, aumentandola del 50%. Il futuro delle energie rinnovabili sembra decisamente rivolto verso il Sole è rappresentata dalla necessità di smaltire i pannelli una volta giunti alla fine del loro ciclo di vita; se questi però fossero realizzati di materiale organico, il loro impatto sull'ambiente potrebbe essere decisamente minore rispetto ad adesso. Da questo punto di vista, la partnership tra IBM e l'Università di Harvard non può che essere vista positivamente, anche se il risultato di questo sforzo congiunto non potrà essere commercialmente disponibile prima di qualche anno. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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