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Giovan Battista Zorzoli presidente ISES Italia parteciperà alla Terza edizione del Festival dell'Energia di Lecce e sarà presente al dibattito "Falsi miti dell'energia", in programma il 21 maggio alle 20,30. Con lui affrontiamo il tema della definizione di una strategia energetica nazionale. Il Ministro dello Sviluppo Economico ha definito un quadro molto rigido del nostro mix energetico, indicando con quali percentuali di gas, nucleare e rinnovabili produrremo l'energia di cui abbiamo bisogno. Un piano che molti definiscono ambizioso. Che possibilità ci sono di concretizzare davvero questo piano?Innanzitutto mi sembra che si perda di vista una questione centrale: se davvero puntiamo ad avere un 50% dell'energia elettrica da fonti fossili, un 25% da rinnovabili e un 25% da nucleare, partendo da una situazione in cui i fossili contribuiscono per più dell'80%, è evidente che la loro riduzione riguarderà essenzialmente gli impianti a gas, che hanno i costi proporzionali più elevati. Lo spazio che le rinnovabili e il nucleare andranno ad occupare equivarrà necessariamente a ridurre complessivamente di 20- 25 miliardi di m3 la domanda annua di di gas, riducendo di conseguenza la produzione degli impianti a ciclo combinato, quasi tutti entrati in esercizio di recente, alcuni addirittura destinati a entrare in funzione fra oggi e il 2012. Un vantaggio, indubbiamente, dopo anni di scarsità di potenza disponibile siamo entrati in una fase di abbondante sovracapacità, per contro stiamo però programmando un calo significativo nella domanda di gas nel momento in cui ne stiamo ampliando l'offerta attraverso la realizzazione di nuovi rigassificatori e di nuovi gasdotti. Sono queste contraddizioni a lasciarmi perplesso, quindi poco ottimista sul futuro. Mi sembra cioè che non si abbia la percezione della complessità del nostro sistema energetico, per cui certe scelte si fanno senza un'adeguata riflessione che vada al di là di proiezioni puramente numeriche.Il mix – 50, 25, 25 – mi sembra quindi inconciliabile con la situazione attuale e con scelte di investimenti già decise e in parte attuate, è come se non si facessero i conti con la realtà nel nostro Paese, con la realtà delle infrastrutture in essere, degli investimenti, degli impegni contrattuali (nel caso del gas) già presi. L'energia si consuma velocemente ma le infrastrutture che sono necessarie a tale fine non possono cambiare velocemente e per gli ingenti investimenti già realizzati chi li ha fatti chiederà a qualcuno di pagare il conto.Questi ragionamenti valgono a prescindere dal valore strategico e dall'efficacia dell'una o dell'altra delle fonti sostitutive del gas e anche dal mio personale convincimento. Una soluzione che tenga tutto insieme, non la vedo.Insomma, si è cercato di trovare una soluzione che fosse in linea da una parte con gli impegni europei, dall'altra con un'idea politica e industriale forte e centralizzata, senza fare i conti con la realtà della situazione italiana, senza intervenire opportunamente e tempestivamente. È mancata una visione globale della questione energetica?Manca da vent'anni e queste sono le conseguenze. Le scenario è estremamente contraddittorio. Nucleare e rinnovabili non possono crescere entrambe contemporaneamente secondo gli obiettivi previsti, non tanto perché non ci siano risorse finanziarie sufficienti – come qualcuno sostiene -, ma perché non teniamo conto di quello che comporta ciascuna singola scelta, in termini non solo di trade-off fra domanda e offerta di gas, ma anche di adeguamenti infrastrutturali, sia nella rete di trasmissione che in quella di distribuzione.Vorrei una scelta coerente, che sta insieme, un disegno complessivo chiaro che tiene conto di tutte le tessere del mosaico. Se non badiamo alle incongruenze che questo modo di agire comporta, ci troveremo di fronte a veti incrociati, tali da bloccare tutto. È esattamente quello che è successo negli anni Ottanta. Potevamo fare il nucleare e potevamo fare le rinnovabili, vent'anni fa; non abbiamo fatto né l'uno né le altre e siamo andati avanti utilizzando in pratica soltanto il gas. Questa è la mia principale preoccupazione. Che non si faccia niente o che si faccia poco e male, che è la stessa cosa.In una situazione di questo tipo, servirebbe una politica capace di tornare ad assumere un ruolo di primissimo piano…Anche se realizzassimo una sola delle due opzioni sul tappeto, l'impatto sui consumi di gas e sul fabbisogno di generazione elettrica da cicli combinati sarebbe sufficiente a creare problemi economico-produttivi di tale rilevanza da essere irrisolubili in assenza di una grande capacità politica. La capacità di mediare in maniera intelligente, sapendo che ciascuno degli interessi in gioco deve cedere qualcosa. O, meglio ancora, di proporre uno sbocco alternativo per il gas, promuovendone l'utilizzo nel trasporto su strada.In un caso come nell'altro, c'è da intervenire sulla rete…Certo, ma si tratta di processi diversi. Già adesso, per quanto riguarda l'alta tensione, succede di dover fermare gli impianti eolici perché la rete non ce la fa. Per gestire l'energia che sarà prodotta dalla microgenerazione distribuita, degli impianti fotovoltaici, dal mini e microeolico, bisognerà rendere la rete di distribuzione più intelligente, la cosiddetta smart grid, il che comporta investimenti nell'ordine di una decina di miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Non possiamo pensare di chiedere a Enel e alle aziende locali di fare un investimento di questo tipo e poi di cambiare idea sullo sviluppo delle rinnovabili. Lo stesso dicasi per il nucleare. Terna ha detto ovviamente che è disponibile a fare gli interventi che sono necessari, ma solo sapendo esattamente dove e quando deve andare a intervenire, quindi dove e quando verranno realizzate le centrali.Lo faremo il nucleare? Io ho vissuto l'esperienza degli anni Settanta e Ottanta. Allora il nucleare non si è fatto principalmente perché per realizzarlo bisogna sapere fare sistema e l'Italia non ne è stata capace. Non lo era trent'anni fa e a mio avviso continua a non esserlo: da questo punto di vista la situazione non è cambiata. Stiamo ripetendo gli stessi errori, lo stesso copione: anche all'epoca si fece una lunga discussione sul tipo di tecnologia, sulla necessità di individuare una tecnologia unica, e ci vollero 10 anni per individuarla, mentre nel frattempo si realizzavano centrali con un'altra tecnologia! Questo perché pochi hanno il coraggio di dire le cose come stanno. In questo settore non c'è posto per due tecnologie, non c'è posto per due cordate. Né oggi, né allora.Propende per le rinnovabili in virtù del fatto che le trova più nelle nostre corde?Le rinnovabili si confanno certamente di più al nostro DNA, alla nostra storia, alla nostra cultura, alla nostra cultura aziendale. Vengo da un viaggio in Emilia e lì ho trovato due piccole imprese che hanno messo a punto in modo autonomo, intendo dire senza aiuti né sostegni da parte dello Stato, tecnologie molto innovative nell'ambito delle microturbine e dei piccoli impianti a biomassa. Li hanno progettati e realizzati. Venderanno queste tecnologie all'estero, sanno muoversi consapevolmente in maniera autonoma su un mercato di larga scala. Sono aziende di cui non c'è traccia in programmi tipo Industria 2015. Le realtà di questo tipo in Italia, sconosciute, ma efficaci, capaci, dinamiche sono moltissime. Questo è quello che sa fare l'Italia. Fonte www.energiaspiegata.it – Intervista di Agnese Bertello Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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