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L’adattamento al clima delle città deve diventare una delle priorità del Recovery Plan ed è necessario approvare quanto prima il il Piano nazionale di adattamento al Clima: i dati che emergono dal Rapporto “Il clima è già cambiato” dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente – realizzato con il contributo di Unipol e la collaborazione scientifica di Enel Foundation – non lasciano alcun dubbio in tal senso. Il Bel Paese si trova infatti nell’area del Mediterraneo, tra le zone più sensibili e soggette al cambiamento climatico. Basti pensare che la temperatura del mare lungo le nostre coste è di circa 3/4° maggiore della media storica, con impatti molto pesanti sulla flora marina. Tra il 2010 e il 2021 l’Italia è stata colpita da 1.118 fenomeni metereologici estremi, 133 solo nell’ultimo anno (+17,2% rispetto alla precedente edizione), dovuti al cambiamento climatico – tra trombe d’aria, alluvioni, ondate di calore…- che hanno coinvolto più di 600 comuni (in aumento del 18% rispetto al 2020) . Numeri in costante crescita e che non accennano a rallentare e l’Italia – si legge nel comunicato di Legambiente – è l’unico paese europeo che non ha messo a punto un piano d’adattamento al clima. Gli eventi estremi in alcuni casi hanno causato danni alle infrastrutture e al patrimonio storico architettonico delle città, in altri problemi legati ai lunghi periodi di siccità o al contrario da esondazioni. I numeri continuano a crescere: nel complesso ci sono stati 486 casi di allagamenti da piogge intense, 48 dovuti a lunghi periodi di siccità, 41 frane legate a piogge intense, 14 gli eventi critici causati forti grandinate, 89 i giorni di disservizi sulle reti elettriche. I morti legati al cambiamento climatico rappresentano una vera e propria emergenza, sono infatti 261 vittime, 9 solo nei primi 10 mesi del 2021. Inoltre sempre più spesso si verificano due eventi in contemporanea e gli episodi si ripetono nelle città già colpite: per esempio i Comuni del nord in estate si trovano a fronteggiare sempre più spesso fenomeni alluvionali estremi seguiti da ondate di calore, quelli del sud Italia sono più facilmente flagellati dalle trombe d’aria. A patire maggiormente le metropoli e lo aree più popolose della penisola, spesso prive di una pianificazione territoriale e senza politiche di prevenzione. In particolare sono 14 le zone più colpite dagli impatti climatici: oltra alle grandi città quali Roma (nella Capitale ci sono stati 56 eventi di cui 9 nell’ultimo anno e più della metà hanno riguardato allagamenti dovuti a piogge intense), Bari, Milano, Genova e Palermo, sono molto colpite le aree della costa romagnola e nord delle Marche, e nel 2021 hanno registrato un triste record la Sicilia orientale e la costa agrigentina con 38 e 37 eventi estremi. Piano di adattamento climatico, le priorità Legambiente chiede con forza che nel Recovery plan siano inserite le risorse per una reale pianificazione dell’adattamento climatico nelle città, compresi i gravi problemi legati al dissesto idrogeologico, considerando che le buone pratiche, italiane e non solo, da cui prendere spunto, esistono. A Torino, Bologna, Ancona e Padova per esempio è stato approvato il “Piano di Resilienza Climatica”, mentre Milano sta facendo importanti investimenti in rigenerazione urbana e smart city. Sono 4 le priorità individuate dall’associazione ambientalista. Prima di tutto è necessario che il Governo, in collaborazione con Regioni e Comuni, approvi in tempi molto rapidi il piano di adattamento climatico, la cui mancanza, si legge nel comunicato, impatta anche nella programmazione delle risorse di Next Generation UE, considerando che a fine 2022 saranno rivisti gli “interventi previsti dal Recovery Plan, pianificando specifici progetti nelle aree urbane e territoriali più a rischio”. Un’altra priorità è quella di pianificare un programma di finanziamento e intervento nelle 14 aree del Paese maggiorente colpite da eventi climatici estremi. La direzione da seguire è quella del “Programma sperimentale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici in ambito urbano” del Mite – che finanzia interventi nei Comuni con più di 60mila abitanti, ma è indispensabile individuare le aree urbane da cui partire e introdurre un fondo per agevolare la pianificazione degli interventi. E’ poi importante rafforzare il ruolo delle Autorità di Distretto e dei Comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico e rivedere le norme urbanistiche prevedendo in particolare 10 obiettivi: vietare l’edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e in quelle individuate da Enea come aree di esondazione al 2100 per l’innalzamento del livello dei mari; delocalizzare gli edifici in aree classificate ad elevato rischio idrogeologico; salvaguardare e ripristinare la permeabilità dei suoli nelle aree urbane; vietare l’utilizzo dei piani interrati per abitazioni; mettere in sicurezza le infrastrutture urbane dai fenomeni metereologici estremi; vietare l’intubamento dei corsi d’acqua e pianificare la riapertura di quelli tombati nel passato; recuperare, riutilizzare, risparmiare l’acqua in tutti gli interventi edilizi; utilizzare materiali capaci di ridurre l’effetto isola di calore nei quartieri; creare, in tutti gli interventi che riguardano spazi pubblici e interventi di edilizia private, vasche sotterranee di recupero e trattenimento delle acque piovane; prevedere risorse statali per mettere a dimora alberi e creare boschi urbani. Va infine ricordato che prevenire significa anche risparmiare: secondo i dati della Protezione Civile, il nostro Paese spende una media di 1,55 miliardi l’anno per riparare ai danni e soltanto 330 milioni per la prevenzione: un rapporto di 5 a 1! Articolo aggiornato Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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