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Due grandi onde contrapposte. La prima di recessione mondiale. La seconda, positiva e ancora ben alta, di una ristrutturazione energetica centrata sulle nuove fonti rinnovabili, e che nel 2008 sembra aver preso velocità.I governi di Europa, Usa, Cina, Giappone (per citare solo i maggiori) puntano su questa «green economy» nascente come una delle carte cruciali nei loro pacchetti di stimolo antirecessivi. L'obiettivo, per tutti, è di sostenere un nuovo ciclo innovativo e di posti di lavoro, per il 2009 e il 2010, tale da alimentarsi da sé anche negli anni successivi, quando alcune tecnologie chiave (eoliche, fotovoltaiche, solari termodinamiche o semplicemente termiche, geotermiche…) avranno raggiunto il punto di pareggio con il costo delle fonti fossili. Quando queste ultime, secondo un diffuso consenso tra gli esperti, ritorneranno a salire nei prezzi ai primi segnali di ripresa dell'economia mondiale. «Le rinnovabili sono un'opportunità anche per l'Italia – spiega Antonio Costato, vicepresidente di Confindustria per l'energia – a patto che siano un'occasione di sviluppo e di ricerca per l'industria nazionale». È la scommessa di tutti. Radicare le nuove tecnologie energetiche nei sistemi produttivi nazionali, sospingere masse critiche e innovazioni fino al punto in cui queste potranno muoversi con le loro gambe, senza la necessità di massicci incentivi, gravanti sulle bollette dei consumatori o sulle casse pubbliche. Ma la condizione è una rete elettrica di nuova generazione, o smart grid, capace di gestire con intelligenza le rinnovabili incostanti, compensarle con le fonti tradizionali, ottimizzare lo storage di energia (in Italia attraverso i pompaggi nei bacini idroelettrici) per metterla in rete quando più serve. Rinnovabili più nuove reti. Questa è, in sintesi, la formula rintracciabile sia nel pacchetto di stimolo di Obama, che di quello cinese e europeo. Le cifre del boom 2008 sono eloquenti: circa 120 miliardi di dollari investiti in rinnovabili (e connessa industria, esclusa idroelettrica) con una crescita del 67% sui 71 miliardi stimati dal rapporto Ren 21. Nel 2007 lo studio stima una quota da rinnovabili sulla produzione elettrica mondiale del 3,4%, a 240 gigawatt (cresciuti del 50% sul 2004). Prima, per dimensioni, la fonte eolica (+28% nel 2007) a 95Gw di potenza di picco raggiunta. Ma la più veloce è l'industria fotovoltaica: nel 2007 ha accelerato dal 40 al 60%, secondo l'ultimo Pv Status report del l'Istituto per l'energia Europeo. E per l'anno scorso la Photon International stima un +75%, con circa 7 gigawatt prodotti, che potrebbero persino quadruplicarsi al 2010. Continuerà questa corsa, nonostante la recessione? E, soprattutto, riusciranno le politiche pubbliche a ridare fiducia ai mercati riportando a livelli accettabilile quotazioni dei titoli azionari "cleantech"? Nessuno, francamente, ha oggi la risposta sicura. Ma una dose di ottimismo è giustificata. La parola passa alle politiche degli stati. I riflettori oggi sono sugli Usa di Barack Obama, il principale sostenitore di una sorta di "Green New deal". Nel pacchetto anticrisi approvato dal Congresso Usa giovedì scorso spiccano sei capitoli riguardanti l'energia e le rinnovabili. Il maggiore, per 32 miliardi di dollari, verte sugli investimenti nella modernizzazione della rete elettrica Usa (oggi a macchie di leopardo); 11 miliardi di dollari vengono poi destinati alla ricerca e sviluppo sulle smart grids, le reti elettriche intelligenti. Ammonteranno a 8 miliardi i prestiti garantiti su impianti a fonti rinnovabili e progetti su nuove linee elettriche, 350 milioni per la ricerca sull'uso di rinnovabili in ambito militare e 2 miliardi per efficienza energetica. A tutto ciò si aggiungono 4 miliardi per la formazione di esperti di efficienza energetica delle case e per impianti a rinnovabili. L'obiettivo di Obama è quello di raddoppiare entro tre anni l'ammontare di energia eolica, solare e geotermica ad almeno 50 gigawatt. «L'effetto sull'intera industria globale delle nuove energie sarà evidente» – dice Gianni Silvestrini, presidente Kyoto club. In Cina, inoltre, i 416 miliardi di euro anti-crisi appena varati da Pechino per l'efficienza energetica e l'ambiente serviranno anche a raggiungere il recente obbiettivo nazionale del 13% da rinnovabili al 2020. E ormai sono 66 i Paesi del mondo con target pubblici sulle rinnovabili. E una sessantina (37 industriali e 23 in via di sviluppo) hanno politiche di incentivo, tra tariffe elettriche incentivate, obblighi di quote per i gestori elettrici, sussidi agli investimenti e crediti fiscali. Spicca, su tutti, l'Unione Europea. Dallo scorso dicembre la direttiva 20-20-20 è divenuta esecutiva. Obbliga gli stati membri, entro i prossimi 11 anni, a innalzare la loro quota di rinnovabili sul consumo di energia primaria (elettricità, riscaldamento e trasporti) dall'8,5% attuale fino al 20% medio europeo al 2020 e contemporaneamente di ridurre le emissioni di gas serra e aumentare l'efficienza energetica di pari percentuali. Tutto ciò avrà un costo: secondo uno studio di Ernst & Young nel decennio, e solo nel settore elettrico, saranno necessari investimenti per 500 miliardi di euro, e non solo sulle fonti rinnovabili ma anche sulle necessarie "smart grid" per gestirle. Nel 2008 il fotovoltaico in Italia è cresciuto del 170% e l'eolico del 35%. L'analisi di Ernst&Young pone l'Italia tra i paesi europei con un potenziale naturale per le rinnovabili superiore all'obbiettivo da raggiungere. «Oggi disponiamo di un conto energia per il solare, tra i più generosi al mondo – rileva Silvestrini – e bene ha fatto il Governo italiano a estendere la formula della tariffa incentivata anche al minieolico, alle biomasse, alla geotermia e all'energia ottenuta da moto ondoso». Il recente pacchetto anticrisi ha poi confermato l'esenzione fiscale del 55% per l'efficienza energetica che, secondo l'Assistal, ha già mosso investimenti per 1,8 miliardi nel 2008 e 2,9 miliardi prevedibili quest'anno. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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