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A cura di: la redazione La perdita di biodiversità non si è mai fatta sentire come ora. In poco più di 50 anni abbiamo perso il 69% delle popolazioni di fauna selvatica: mammiferi e uccelli, anfibi e rettili, pesci d’acqua dolce e salata sono sempre di meno. Dal 1970 la situazione più grave riguarda l’America Latina e i Caraibi; qui la diminuzione è arrivata al 94%. E’ questo quello che emerge dal ‘Living Planet’ 2022, il rapporto del Wwf che fa il check up allo stato di salute del Terra e che in questa occasione delinea un quadro dalle “prospettive drammatiche”. “Tra le specie a rischio di estinzione c’è anche la nostra – osserva il presidente di Wwf Italia, Luciano Di Tizio – l’unico vantaggio che abbiamo rispetto alle tigri, ai leoni o ai pesci, che hanno bisogno di noi per salvarsi, è che noi possiamo farlo da soli, ma dobbiamo capire l’urgenza di questo problema e agire”. La linea di base del 1970 ha un significato diverso per le diverse regioni monitorate. In Europa e in Nord America le pressioni hanno avuto un impatto sulle specie e sugli habitat per molti decenni prima del 1970; pertanto, anche se il declino in queste regioni è apparentemente meno marcato, ciò non significa che la biodiversità sia più intatta in queste regioni. Infatti l’indice di integrità della biodiversità del rapporto mostra che l’Europa è una delle regioni che ottiene i punteggi più bassi per quanto riguarda l’integrità della biodiversità. Al contrario, le regioni tropicali sarebbero partite da una situazione di base più intatta nel 1970, ma da allora hanno subito cambiamenti più rapidi nei loro ecosistemi. Il rapporto tiene sotto controllo quasi 32mila popolazioni e oltre 5.200 specie di vertebrati: “Ci troviamo di fronte a una doppia emergenza – viene spiegato – da un lato i cambiamenti climatici provocati dall’uomo dall’altro la perdita di biodiversità, che minacciano il benessere delle generazioni attuali e future”. Si tratta di due emergenze collegate. Per tutte e due la causa è essenzialmente l’uso insostenibile delle risorse del Pianeta. Secondo il Living Planet “le principali cause del declino delle popolazioni di fauna selvatica sono i cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, lo sfruttamento eccessivo di piante e animali, i cambiamenti climatici l’inquinamento e le specie aliene invasive, le minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio, e deforestazione sono particolarmente gravi ai tropici; mentre hotspot di inquinamento sono particolarmente importanti in Europa”. Inoltre a meno che non limitiamo il riscaldamento globale entro i 2 gradi di aumento medio, o preferibilmente 1,5 gradi, è “probabile che i cambiamenti climatici diventino la causa principale della perdita di biodiversità e del degrado degli ecosistemi nei prossimi decenni”. E’ per questo – rileva Di Tizio – che diventa “indispensabile dimezzare l’impronta globale di produzione e consumo entro il 2030”. Le specie più a rischio Nelle specie che il ‘Living Planet’ monitora ci sono i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia che hanno visto un crollo delle popolazioni del 65% tra il 1994 e il 2016 nella riserva brasiliana di Mamirauá. Ci sono i gorilla di pianura orientale, che hanno subito un declino stimato dell’80% nel parco nazionale di Kahuzi-Biega in Congo tra il 1994 e il 2019. Ci sono i cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, che sono calati di due terzi tra il 1977 e il 2019. Ma è nelle popolazioni dei pesci di acqua dolce che si ritrova il gruppo di specie con la riduzione maggiore che, in media, sono diminuiti dell’83% sostanzialmente per via della scomparsa di habitat. Il direttore generale del Wwf International, Marco Lambertini lancia un appello affinché la prossima conferenza mondiale sulla biodiversità, la Cop 15 di dicembre, sia “il momento in cui il mondo si riunisce attorno alla natura” con un accordo vincolante sul modello di quello che si raggiunse al vertice di Parigi sul clima. “Di fronte all’aggravarsi della crisi della natura – dice Lambertini – è essenziale che questo accordo preveda un’azione immediata sul campo, anche attraverso la trasformazione dei settori che causano la perdita di natura, e il sostegno finanziario ai Paesi in Via di sviluppo”. Il rapporto sulla salute mondiale del Pianeta chiarisce che “non sarà possibile realizzare un futuro positivo per la natura senza riconoscere e rispettare i diritti, la governance e la leadership nella conservazione dei popoli indigeni e delle comunità locali in tutto il mondo”. La soluzione? Aumentare gli sforzi di conservazione e ripristino – mette in evidenza il Wwf – producendo e consumando, in particolare il cibo, in modo più sostenibile e decarbonizzando rapidamente e profondamente tutti i settori sarà possibile mitigare la doppia crisi di clima e natura”. Ed così che i leader politici vengono invitati “a impegnarsi per trasformare le economie in modo da dare il giusto valore alle risorse naturali”. Del resto le conclusioni del Wwf sono chiare con una richiesta “urgente ai governi, alle imprese e all’opinione pubblica per mettere “subito” in campo “un’azione di trasformazione per invertire la drammatica perdita di biodiversità che, insieme all’emergenza dei cambiamenti climatici indotta dall’uomo, minaccia il benessere” dell’umanità presente e futura. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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