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Gran parte dell’Europa, e l’Italia non fa certo eccezione, dipende per i propri approvvigionamenti energetici dalla Russia. La recente invasione dell’Ucraina apre nuovi scenari come ha spiegato Simon Flowers, analista capo di Wood Mackenzie in un recente articolo. Nel breve termine non ci saranno significativi cambiamenti, ma i vari Governi stanno cercando soluzioni per ridurre tale dipendenza nel medio e lungo periodo. Nel momento in cui è partito l’attacco verso l’Ucraina, i paesi occidentali si sono mossi rapidamente interrompendo i legami commerciali con la Russia, con l’obiettivo di isolare il paese dal sistema finanziario internazionale, ma con minime implicazioni per l’energia. Le sanzioni finanziarie introdotte infatti hanno coinvolto solo marginalmente il “commercio energetico”, senza particolari interruzioni per il flusso di petrolio, gas e carbone dalla Russia. Eppure l’Italia ha annunciato lo stato di pre-allarme per il gas. Diminuire la dipendenza energetica dell’occidente dalla Russia Nel medio periodo, spiega Simon Flowers, la guerra potrebbe causare un cambiamento fondamentale nelle relazioni commerciali energetiche della Russia con il resto del mondo, e in particolare con l’Europa occidentale. I segni di questo riallineamento stanno già iniziando ad emergere: molti paesi europei intendono limitare la dipendenza dall’energia russa spostandosi verso altre fonti, tra cui il GNL, le energie rinnovabili e l’energia nucleare. Anche il presidente Draghi ha già fatto dichiarazioni in questo senso e il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato che il suo governo accelererà la costruzione di due nuovi terminali di importazione di GNL. In Francia il governo sta scommettendo sull’energia nucleare come un modo per migliorare la sicurezza energetica e ridurre le emissioni: il presidente Emmanuel Macron ha annunciato la “rinascita” dell’industria nucleare del paese, con 14 nuovi reattori entro il 2050. Liz Truss, il ministro degli esteri britannico, ha proposto di fissare dei tetti “nel tempo” per le importazioni di petrolio e gas da parte dei paesi del G7 dalla Russia. Fonte Wood Mackenzie Va però ricordato che la Russia è il secondo produttore mondiale di gas naturale e uno dei tre grandi produttori di petrolio greggio, insieme agli Stati Uniti e all’Arabia Saudita e svolge un ruolo critico nelle forniture energetiche globali. Gli analisti di Wood Mackenzie a questo proposito stimano che se l’UE dovesse imporre sanzioni che fermassero immediatamente i flussi di gas russo, entro il prossimo inverno potrebbe provocare carenze, chiusure di fabbriche, aumento dei prezzi e perfino una recessione globale. I prezzi delle materie prime alle stelle Intanto non mancano gli allarmi da parte di imprese e associazioni sulle conseguenze per l’economia italiana del conflitto. Marco Nocivelli, presidente di Anima Confindustria sottolinea che i rialzi dei prezzi dell’energia e delle materie prime dovuti alla guerra stanno esasperando una situazione già delicata, con il rischio di alimentare la corsa dell’inflazione e di bloccare la ripresa iniziata nel 2021, con “ripercussioni sull’intero tessuto industriale, e sul costo della vita in generale per tutte le famiglie italiane… con il rischio di avviare una fase di recessione”. Achille Fornasini, professore all’Università degli studi di Brescia e coordinatore dell’osservatorio congiunturale di Anima Confindustria, aggiunge che il timore è che le sanzioni provochino nuovi e più gravi blocchi nel reperimento delle materie prime, con conseguenti “impatti devastanti sui prezzi e sulle potenzialità di fornitura di commodity necessarie alle nostre filiere produttive”. Russia e Ucraina infatti sono anche tra i maggiori produttori di importanti materie prime, i cui prezzi stanno toccando nuovi record, quali alluminio, rame, nickel, ghisa, palladio, grano e fertilizzanti. A questi problemi si aggiungono anche quelli logistici, considerando che in alcuni porti sul Mar Nero ci potrebbero essere nuovi blocchi. Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, commentando gli ottimi preconsuntivi elaborati dal Centro Studi di FederlegnoArredo che evidenziano un +14,1 per la filiera del legno-arredo nel 2021 rispetto al 2019, non nasconde la preoccupazione per l’anno in corso a causa del conflitto, del caro energia, della penuria di materie prime, dei costi della logistica e dei trasporti. “Siamo di fronte a un mix che rischia davvero di mettere il freno a mano alla ripresa del settore e dobbiamo saper mantenere la crescita ai livelli del 2021, confidando che, quanto prima, torni il sereno”. L’incidenza del caro energia è particolarmente impattante nella filiera delle prime lavorazioni del legno in cui alcune aziende “sono state costrette a rivedere i listini e, in alcuni casi, anche a fermare la produzione per non lavorare in perdita”. La Russia è fra i principali fornitori di legnami e il 9° paese dell’export italiano. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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