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Raggiunto il 6 Giugno scorso il limite dei 6,7 mld€ di costo indicativo cumulato annuo per l’Incentivazione al fotovoltaico in Italia e quindi, come stabilito dal Quinto Conto Energia, a partire dal 6 Luglio 2013, il settore dovrà confrontarsi con l’ormai da tempo prefigurato scenario “Post Incentivazione”. Tuttavia rimane ancora aperta, fino a Maggio 2014, la finestra temporale entro la quale gli impianti che hanno già ottenuto l’incentivo, tramite il meccanismo del Registro, potranno entrare in esercizio usufruendo del Conto Energia e che verosimilmente potranno dunque rappresentare ulteriori 1,1GW di nuova potenza installata, che andrebbe ad aggiungersi agli attuali 17,1GW di potenza connessa in rete. Se è vero però che le tanto discusse misure di incentivazione al fotovoltaico nel nostro Paese hanno portato ad un costo annuo per l’incentivazione di poco inferiore ai 7 mld€, è altrettanto vero che le stesse hanno innescato una serie di dinamiche competitive che hanno costituito il banco di prova per lo sviluppo tecnologico da parte di attori della filiera nazionale ed internazionale stimolando, attraverso le progressive rimodulazioni e riduzioni nelle tariffe, una continua riduzione nei costi degli impianti a cui i modelli di business dei player della filiera hanno dovuto necessariamente adattarsi. Ad oggi, quindi, è possibile individuare una serie di condizioni per le quali gli investimenti in impianti fotovoltaici presentano già dei profili di rendimento tali da garantirne la sostenibilità economica anche in assenza di incentivazione diretta. È ufficialmente iniziata una vera e propria nuova “era” per l’energia solare nel nostro Paese. Un presupposto questo che rende elemento di quotidiano dibattito tra gli operatori del settore (e del mercato stesso) il tema della gridparity. Il termine “gridparity” esprime una situazione di “parità” fra il costo di produzione dell’energia da fonte rinnovabile e il costo di acquisto dell’energia dalla rete (“grid” appunto), che invece si basa per buona parte sulla produzione elettrica da fonti fossili “tradizionali” (soprattutto gas naturale nel contesto Italiano). Questa situazione può considerarsi raggiunta, secondo una tale impostazione, quando risulterà perfettamente indifferente dal punto di vista economico, produrre energia elettrica da fonte fotovoltaica o prelevarla dalla rete. Il LEC (LeverizedElectricityCost – ovvero il rapporto tra i costi complessivi associati all’installazione e gestione di un impianto e il totale dell’energia da questo prodotta), indicatore utilizzato per misurare il costo di produzione da fonte fotovoltaica, risulta però fortemente variabile in base a: la localizzazione geografica dell’impianto (caratterizzata da uno specifico irraggiamento molto eterogeneo se si considera il territorio italiano); il costo di installazione dell’impianto in €/kWp (che varia dai 2.300€/kWp per le taglie residenziali ai circa 850€/kWp per gli impianti multi-megawatt); le assunzioni sulla vita utile dell’impianto. Allo stesso modo, anche l’altro termine di paragone, ovvero il costo di acquisto dell’energia elettrica dalla rete, risulta profondamente variabile in base a: la tipologia di applicazione dell’impianto, che comporta una profonda differenza a seconda che esso sia destinato alla Power Generation (e quindi alla vendita di energia) per la quale il prezzo di confronto può essere considerato il prezzo di mercato che si forma sulla borsa elettrica (PUN), oppure applicazioni in auto-poroduzione, per le quali evidentemente il termine di confronto è costituito dal costo di acquisto dalla rete (comprensivo dunque, oltre che dal prezzo dell’energia, anche di tutti gli oneri, delle tasse e dalle altre componenti del costo in bolletta); la tipologia di utenza considerata (residenziale, commerciale, industriale, utenze energivore) i parametri contrattuali legati allo specifico profilo di consumo (come le tariffe a scaglioni, basate sull’effettivo profilo di consumo dell’utenza). Inoltre l’assunzione stessa per cui, a partire dal momento in cui si realizza la parità, diventa indifferente installare l’impianto o prelevare energia dalla rete non è generalizzabile per le diverse tipologie di investitore (privato cittadino, impresa industriale, utility,etc.). Per questo quindi, al fine di valutare l’effettiva convenienza economica della fonte fotovoltaica è opportuno considerare il tasso di rendimento interno (IRR) dell’investimento che può essere ottenuto dalle diverse applicazioni al variare del costo “chiavi in mano” degli impianti. La gridparity può considerarsi raggiunta, quando il tasso di rendimento dell’investimento (sotto le opportune ipotesi illustrate in Tabella 1) sarà pari ad un valore “soglia”, fissato per le diverse tipologie di investitori, anche in assenza di incentivi. Tabella 1 – Ipotesi per il calcolo della gridparity Con i costi della tecnologia di metà 2013 riportati in Tabella 2, è possibile valutare il grado di maturità del fotovoltaico italiano in assenza di incentivi, distinguendo i diversi segmenti di mercato. Tabella 2 – Costi chiavi in mano per le diverse taglie di impianti fotovoltaici in Italia a inizio 2013 L’insieme di queste valutazioni può essere sintetizzata nel Grafico 1, che mostra il “gap nel costo chiavi in mano” (calcolato come rapporto tra costo attuale e costo che permette di raggiungere il “rendimento soglia”) che una determinata configurazione impiantistica deve colmare per raggiungere il livello minimo di rendimento dell’investimento in assenza di incentivi, in funzione della specifica localizzazione geografica. Figura 1 Analisi del raggiungimento della gridparity nei diversi segmenti di mercato a Giugno 2013 Nel segmento residenziale l’impossibilità, in condizioni standard, di raggiungere livelli di autoconsumo contestuale (cioè contemporaneo tra produzione da fotovoltaico e consumo dell’utenza) superiori al 30%, dovuto ai profili tipici di consumo di utenze residenziali concentrati nelle ore serali, rende ad oggi ancora difficile parlare di gridparity, nonostante il meccanismo dello Scambio sul Posto con il quale può essere in parte compensato il valore dell’energia in eccesso immessa in rete con quello dell’energia prelevata nelle altre ore della giornata. Per quanto riguarda gli impianti commerciali invece, assumendo un autoconsumo pari al 50%, gli attuali livelli di costo permetterebbero di ottenere rendimenti superiori ai livelli soglia nel Sud Italia e in alcune zone del Centro Italia (tipicamente quelle a maggiore irraggiamento), mentre sarebbero necessarie riduzioni di costo rispetto ai livelli attuali pari a poco più del 20% per le installazioni al Nord. Più critica la situazione per i grandi impianti industriali che, assumendo la stessa quota di autoconsumo usata per la valutazione del mercato industriale, presentano tassi di rendimento che superano (di poco in realtà) il livello soglia solo nelle Regioni del Sud Italia. Ciò a causa dell’impossibilità, in base all’attuale impianto normativo, per questi impianti di accedere allo Scambio sul Posto. È necessario considerare però come, pur non trattandosi di sistemi di incentivazione diretta, ad oggi esistano diverse misure che a tutti gli effetti possono essere considerate “di accompagnamento” verso la piena competitività, e che in alcuni casi, come evidenziato nella Figura 2, consentono di rendere sostenibile l’investimento. Figura 2 – Analisi del raggiungimento della gridparity nei diversi segmenti di mercato a Giugno 2013 in presenza di misure di supporto Per il segmento residenziale infatti la possibilità di usufruire della detrazione fiscale per le ristrutturazioni edilizie (confermata al 50% dal recente Decreto 63/2013, fino a Dicembre 2013 data dopo la quale l’agevolazione fiscale per il fotovoltaico tornerà al 36%), si configura come la principale forma di accompagnamento su cui le piccole taglie residenziali potranno contare e grazie alla quale anche gli impianti al Nord Italia potrebbero teoricamente superare un rendimento del 4% con costi chiavi in mano prossimi a quelli attuali. Per le taglie residenziali e “piccolo industriali”, con dimensioni nell’ordine di poche decine di kW, l’eventuale regolamentazione dei sistemi SEU (Sistemi Efficienti di Utenza , applicazioni con le quali un gruppo di utenti possono sfruttare l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico senza che l’energia da questo prodotta transiti dalla rete pubblica) abiliterebbe un modello di massimizzazione dell’autoconsumo tale di garantire la sostenibilità dell’investimento già con i costi del 2013 pressoché sull’intero territorio nazionale, con rendimenti superiori al 6% anche al Nord del Paese. Tuttavia ad oggi, questi sistemi, data la particolare configurazione di rete che li caratterizza, sono ancora in attesa di una opportuna regolamentazione da parte dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. In questo senso non sembrano però delinearsi prospettive favorevoli (almeno nel breve periodo), considerando gli ultimi orientamenti espressi dall’Autorità stessa nei due documenti per la consultazione DCO183/2013/R/EEL e 209/2013/R/EEL, in cui viene ventilata l’ipotesi di estendere anche ai SEU il pagamento della quota di oneri generali di sistema, non soltanto sulla quota-parte di energia prelevata dalla rete, ma su tutta l’energia consumata, annullando di fatto gran parte dei vantaggi che queste configurazioni garantirebbero. Gli impianti industriali nell’ordine dei 200kW, sfruttando l’effetto dello Scambio sul Posto e di una corretta progettazione volta a massimizzare l’autoconsumo contestuale su valori prossimi all’80%, potrebbero raggiungere la gridparity già con i costi attuali anche al Centro del Paese mentre sarebbe sufficiente una riduzione dei costi pari al 12 % per rendere sostenibili gli investimenti anche al Nord. Ancora più significativo l’impatto sui grandi impianti della quota di autoconsumo che, se portata, attraverso un corretto dimensionamento, su valori prossimi all’80%, garantirebbe la sostenibilità dell’investimento anche al Nord per valori di costo chiavi in mano di poco al di sotto di quelli correnti. Più difficile la situazione per le grandi centrali solari che non hanno la possibilità di auto-consumare l’energia prodotta. In questo caso sarebbe necessaria una riduzione tra il 13 e il 20% del costo degli impianti nelle Regioni con irraggiamento maggiore rispetto alla media nazionale, come Sicilia e Sardegna, a condizione però che i prezzi di mercato per la vendita dell’energia elettrica si mantengano al di sopra di valori pari ai 90€/MWh (vincolo questo che a tutti gli effetti costituisce una barriera per il reale sviluppo di questo mercato nel breve e medio termine). Appare evidente dunque come la competitività del fotovoltaico in Italia all’indomani della fine del Conto Energia, deve necessariamente passare per la massimizzazione dell’autoconsumo, attraverso un corretto dimensionamento dell’impianto che tenga conto degli effettivi profili di consumo dell’utenza piuttosto che della disponibilità di superficie utile per l’installazione. È lecito attendersi dunque che nel 2013, ma anche e soprattutto a partire dal 2014, le taglie residenziali e industriali costituiscano il vero mercato del fotovoltaico senza incentivi in Italia, confermando un trend di riduzione della taglia media degli impianti a cui si è già in parte assistito nel corso del 2012 e nella prima metà del 2013, come illustrato nel Grafico 3. Grafico 3 – Segmentazione della potenza annua entrata in esercizio in Italia tra il 2006 e il 2013*(primi 6 mesi) Se però la situazione per i grandi impianti potrebbe essere sostenibile già nel breve periodo grazie agli elevati livelli di autoconsumo che possono essere raggiunti dalle utenze industriali, per le taglie residenziali la detrazione fiscale appare l’elemento imprescindibile per accompagnare i piccoli impianti verso una ulteriore riduzione dei costi. Oltre a questo strumento di supporto però, sarà necessario anche per gli investitori residenziali poter incrementare la quota di autoconsumo, attraverso sistemi di gestione dei carichi e sistemi di storage, che tuttavia non costituiscano un eccessivo aggravio di costi per il cliente finale in grado di compromettere la redditività dell’investimento. Il costo ancora elevato di queste tecnologie, prevalentemente costituite da accumuli elettrochimici, le rende attualmente di difficile applicazione, soprattutto nelle piccole taglie. A tal proposito è importante citare le misure di incentivazione ai sistemi di accumulo avviate nella prima metà del 2013 in Paesi quali la Germania e gli Stati Uniti, con l’obiettivo dichiarato di favorirne la diffusione ed incentivare il perseguimento delle conseguenti riduzioni di costo, unitamente alla massimizzazione dell’autoconsumo e quindi l’ottimizzazione dell’impatto della generazione distribuita sulla rete di trasmissione nazionale. Un mercato quello del fotovoltaico che nel corso del 2013 potrebbe contrate per un valore compreso tra 1,5 e 2 GW, a seconda di quanto il mercato sarà in grado di recepire il meccanismo delle detrazioni fiscali come “reale” alternativa al Conto Energia, senza poter disporre della “certezza” rappresentata dalle feed-in tariff, per poi attestarsi su valori di poco al di sotto del GW annuo a partire dal 2014, quando l’effettiva regolamentazione dei SEU come strumento di auto-approvvigionamento energetico, potrebbe di fattogiocare il ruolo chiave. In questo senso dunque il futuro del fotovoltaico nel nostro Paese appare sempre più legato al tema del “risparmio energetico” in luogo della semplice generazione elettrica, in cui l’impianto sarà direttamente utilizzato per ridurre i consumi di famiglie e imprese in un’ottica di generazione distribuita che tenda nel contempo a minimizzare l’impatto della fonte fotovoltaica sulla infrastruttura di rete nazionale. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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