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Testo tratto da: www.notariato.it I primi due commi obbligavano ad allegare l’attestato di qualificazione energetica agli atti traslativi a titolo oneroso e a consegnare lo stesso attestato al conduttore in caso di locazione; gli altri stabilivano la sanzione della nullità relativa del contratto in caso di violazione di tali obblighi L’entrata in vigore di tale disciplina impone – al solo fine di fornire delle prime indicazioni operative – di verificare laddove possibile, gli effetti di tale abrogazione, sia rispetto alla disciplina comunitaria di riferimento, sia con riferimento alle leggi e alle delibere regionali che sono state emesse da quelle regioni in forza dell’art. 117 della Costituzione. Diritto comunitario Premessa: il contesto normativo Appare, in primo luogo, opportuno inquadrare la questione riepilogando le disposizioni, comunitarie e nazionali, di riferimento. La norma di riferimento in ambito comunitario è costituita dall’art. 7 della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico dell’edilizia, che, sotto la rubrica Attestato di certificazione energetica, dispone: “1. Gli Stati membri provvedono a che, in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l’attestato di certificazione energetica sia messo a disposizione del proprietario o che questi lo metta a disposizione del futuro acquirente o locatario, a seconda dei casi. La validità dell’attestato è di dieci anni al massimo. La certificazione per gli appartamenti di un condominio può fondarsi: – su una certificazione comune dell’intero edificio per i condomini dotati di un impianto termico comune ovvero – sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo dello stesso condominio. Gli Stati membri possono escludere le categorie di cui all’articolo 4, paragrafo 3, dall’applicazione del presente paragrafo. 2. L’attestato di certificazione energetica degli edifici comprende dati di riferimento, quali i valori vigenti a norma di legge e i valori riferimento, che consentano ai consumatori di valutare e raffrontare il rendimento energetico dell’edificio. L’attestato è corredato di raccomandazioni per il miglioramento del rendimento energetico in termini di costi-benefici. L’obiettivo degli attestati di certificazione è limitato alla fornitura di informazioni e qualsiasi effetto di tali attestati in termini di procedimenti giudiziari o di altra natura sono decisi conformemente alle norme nazionali. 3. Gli Stati membri adottano le misure necessarie a garantire che negli edifici la cui metratura utile totale supera i 1000 m2 occupati da autorità pubbliche e da enti che forniscono servizi pubblici a un ampio numero di persone e sono pertanto frequentati spesso da tali persone sia affisso in luogo chiaramente visibile per il pubblico un attestato di certificazione energetica risalente a non più di dieci anni prima. Per i suddetti edifici può essere chiaramente esposta la gamma delle temperature raccomandate e reali per gli ambienti interni ed eventualmente le altre grandezze meteorologiche pertinenti”. A tale norma è stata data attuazione, in ambito nazionale, con l’art. 6 del d. lgs. 19 agosto 2005, n. 192, di cui si riportano i primi sei commi. “Certificazione energetica degli edifici 1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, gli edifici di nuova costruzione e quelli di cui all’articolo 3, comma 2, lettera a), sono dotati, al termine della costruzione medesima ed a cura del costruttore, di un attestato di certificazione energetica, redatto secondo i criteri e le metodologie di cui all’articolo 4, comma 1. 2. La certificazione per gli appartamenti di un condominio può fondarsi, oltre sulla valutazione dell’appartamento interessato: a) su una certificazione comune dell’intero edificio, per i condomini dotati di un impianto termico comune; b) sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo dello stesso condominio e della stessa tipologia. 3. Nel caso di compravendita dell’intero immobile o della singola unità immobiliare, l’attestato di certificazione energetica e’ allegato all’atto di compravendita, in originale o copia autenticata. 4. Nel caso di locazione, l’attestato di certificazione energetica e’ messo a disposizione del conduttore o ad esso consegnato in copia dichiarata dal proprietario conforme all’originale in suo possesso. 5. L’attestato relativo alla certificazione energetica, rilasciato ai sensi del comma 1, ha una validità temporale massima di dieci anni a partire dal suo rilascio, ed e’ aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione che modifica la prestazione energetica dell’edificio o dell’impianto. 6. L’attestato di certificazione energetica comprende i dati relativi all’efficienza energetica propri dell’edificio, i valori vigenti a norma di legge e valori di riferimento, che consentono ai cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica dell’edificio. L’attestato e’ corredato da suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il miglioramento della predetta prestazione”. L’art. 15 dello stesso provvedimento, poi, nel disporre le sanzioni per la mancata osservanza delle disposizioni del decreto, ha previsto ai commi 8 e 9 che: “8. In caso di violazione dell’obbligo previsto dall’articolo 6, comma 3, il contratto e’ nullo. La nullità può essere fatta valere solo dal compratore. 9. In caso di violazione dell’obbligo previsto dall’articolo 6, comma 4, il contratto e’ nullo. La nullità può essere fatta valere solo dal conduttore”. I commi 3 e 4 dell’articolo 6 e i commi 8 e 9 dell’articolo 15 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 sono ora abrogati dal comma 2 bis dell’art 35 del D.L. 112/2008, aggiunto dalla legge di conversione. A seguito di tale intervento, pertanto, è venuto meno per il notaio l’obbligo di allegazione agli atti di compravendita immobiliare dell’attestato di certificazione energetica. Effetti dell’abrogazione Mentre l’abrogazione dei commi 8 e 9 dell’art. 15 del d.lgs. 192/2005 non comporta – come si avrà modo di approfondire nel corso della trattazione – problemi di compatibilità con l’ordinamento comunitario, l’abrogazione dei commi 3 e 4 dell’art. 6 dello stesso atto, non accompagnata dalla previsione di alcun’altra disposizione volta a trasporre nell’ordinamento interno gli obblighi previsti dal primo paragrafo dell’art. 7 della direttiva 2002/91/CE, crea indubbiamente un “vuoto normativo” che contrasta con l’obbligo, imposto agli Stati membri dall’ordinamento comunitario, di prevedere che l’attestato di certificazione energetica sia messo dal proprietario a disposizione del futuro acquirente o locatario. Ferma restando la responsabilità dello Stato per inadempimento nei confronti della Comunità europea (e qualora, ne ricorrano i presupposti, nei confronti dei privati cui la normativa comunitaria attribuiva diritti soggettivi), ciò che più interessa, in questa sede, riguarda la posizione del notaio rispetto alla situazione normativa sopra delineata. Più precisamente, si vuole chiarire se, la circostanza della contrarietà con il diritto comunitario della normativa nazionale che il notaio è chiamato ad applicare possa in qualche modo portare ad argomentare che lo stesso resti comunque obbligato in virtù delle disposizioni della direttiva. La risposta deve ritenersi negativa per le ragioni seguenti. a) Il notaio non ha l’obbligo di “disapplicazione” Si deve in primo luogo rilevare che il notaio non rientra nel novero dei soggetti cui spetta il potere-dovere di “disapplicare” le norme interne contrastanti con le disposizioni, seppure direttamente efficaci (in quanto incondizionate dal punto di vista sostanziale e sufficientemente precise), di una direttiva comunitaria e conseguentemente di applicare le disposizioni di tale direttiva. Tale obbligo, infatti, è attribuito, sulla base della giurisprudenza, sia della Corte di giustizia, sia delle Corti nazionali, a tutti “i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge), tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi (1)“. Non equiparandosi il notaio agli organi giurisdizionali ed amministrativi si giunge ad escludere, nella vigenza della disposizione abrogatrice, qualunque obbligo in capo al notaio di uniformare il proprio comportamento tanto alla disposizione della direttiva comunitaria (che, peraltro, non impone direttamente nessun obbligo nei suoi confronti) quanto, e a maggior ragione, a quella abrogata, che prevedeva in capo al notaio un obbligo non imposto dall’ordinamento comunitario. b) Le direttive comunitarie non sono idonee a produrre effetti diretti nei rapporti tra privati A quanto sopra detto, deve, poi, aggiungersi, che, pur volendo assimilare il notaio agli organi giurisdizionali e amministrativi per quanto attiene l’obbligo di disapplicazione delle disposizioni nazionali contrastanti con norme comunitarie direttamente efficaci, le disposizioni di una direttiva non recepita, o recepita in modo inadeguato sono idonee – sempre che siano incondizionate dal punto di vista sostanziale e sufficientemente precise – a creare obblighi solo in capo agli Stati che si sono resi inadempienti (cd. efficacia diretta verticale) e alle loro articolazioni (intese come gli organismi o gli enti soggetti all’autorità o al controllo dello Stato o che dispongono di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra singoli) (2). Tali norme, in quanto contenute in un atto indirizzato esclusivamente agli Stati membri (che sono tenuti a trasporlo nell’ordinamento interno), non sono, invece idonee a creare obblighi direttamente in capo ai privati (persone fisiche o giuridiche interne agli Stati), sono pertanto prive di efficacia diretta in senso orizzontale. Pertanto, in un caso, come quello in esame, in cui le disposizioni di una direttiva non integralmente trasposta regolino rapporti tra privati, non verificandosi la contemporanea vigenza di norme reciprocamente contrastanti (in quanto solo la norma nazionale crea obblighi in capo ai privati e non anche la norma comunitaria che non è direttamente efficace), che costituisce presupposto fondamentale affinché operi – in ossequio al principio della prevalenza dell’ordinamento comunitario, ormai pacificamente accolto – il principio della disapplicazione della norma nazionale contrastante con i dettami comunitari, tale meccanismo non trova comunque applicazione. c) La direttiva non prevede l’obbligo di allegazione Fermo restando, quindi, che affinché le disposizioni di una direttiva possano produrre obblighi in capo ai privati è necessario che esse siano trasposte in un provvedimento normativo nazionale, è comunque utile puntualizzare che, come si evince già dal testo riportato in premessa, dalle disposizioni della direttiva non deriva alcun obbligo di allegazione all’atto dell’attestato di certificazione energetica. L’atto normativo comunitario, infatti, vincola gli Stati solo a prevedere che tale attestato sia messo dal proprietario a disposizione del futuro acquirente o locatario, lasciando gli stessi liberi circa le modalità di realizzazione di detto risultato. La contravvenzione del legislatore nazionale agli obblighi comunitari, infatti, non risiede nell’aver eliminato l’obbligo di allegazione, non necessariamente richiesto, ma nel non aver previsto alcuna modalità alternativa di “messa a disposizione” del futuro acquirente dell’attestato di certificazione energetica. Ugualmente non può configurarsi, come sopra accennato, alcuna contravvenzione al diritto comunitario nell’abrogazione dei commi 8 e 9 dell’art. 15 del d.lgs. 192/2005. La sanzione della nullità relativa dell’atto in caso di mancata “messa a disposizione” dell’attestato di certificazione energetica, ivi prevista, infatti, non è imposta dalla direttiva che si limita a indicare, quale obiettivo dell’attestato di certificazione, la fornitura di informazioni, lasciando nella discrezionalità degli Stati la previsione di “qualsiasi effetto di tali attestati in termini di procedimenti giudiziari o di altra natura”. Sul piano del diritto comunitario si deve dunque concludere che il notaio, attenendosi correttamente alla normativa nazionale vigente, non è tenuto ad allegare all’atto l’attestato di certificazione energetica né a documentare in altro modo la messa a disposizione della certificazione energetica dal proprietario nei confronti dell’acquirente o del conduttore, fermo restando, naturalmente, che un siffatto comportamento non solo è consentito ma è anche conforme al diritto comunitario. Per ciò che concerne il contrasto con l’ordinamento comunitario che tale abrogazione viene a determinare, invece, la questione riguarda esclusivamente lo Stato e la sua responsabilità nei confronti della Comunità (ed eventualmente dei privati). Legislazione statale e regionale Con riferimento alle regioni che non hanno legiferato in materia di prestazione energetica degli edifici, l’analisi compiuta sulla disciplina comunitaria porta a ritenere prevalenti le ragioni che escludono la sussistenza in capo al notaio non solo di un obbligo di allegazione dell’AQE (Attestato di Qualificazione Energetica), ma anche di documentazione della messa a disposizione della certificazione energetica dal proprietario nei confronti dell’acquirente o del conduttore. Più difficile invece individuare una soluzione netta con riferimento alle regioni che abbiano legiferato con norme primarie o secondarie (3). Occorre chiedersi infatti sul diverso piano del rapporto tra legge nazionale e disciplina regionale, se l’obbligo di allegazione agli atti traslativi del ripetuto certificato, e le eventuali sanzioni previste nella disciplina locale (nullità relativa, sanzioni amministrative..) possano ritenersi ancora sussistenti. A fronte dell’abrogazione in esame, infatti, per affermare un persistente obbligo di allegazione dell’AQE in quelle regioni, occorrerebbe stabilire che con l’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 112/2008, le leggi e i regolamenti locali siano viziati da illegittimità costituzionale, con la conseguenza di ritenere doverosa l’applicazione della disciplina locale fino a quando non venga emessa una pronuncia di incostituzionalità. Al contrario, per ritenere invece che dall’entrata in vigore della citata legge di conversione sia venuto meno l’obbligo di procedere alla stessa allegazione, occorrerebbe giungere a sostenere che siano state automaticamente abrogate le norme regionali in parola. Più riduttivamente, andrebbe sciolto il dilemma se nel rapporto tra fonti statali e fonti regionali debba prevalere il criterio dell’invalidazione (e cioè del mero vizio di incostituzionalità) ovvero quello dell’abrogazione. Chi aderisce alla prima interpretazione ritiene che la disciplina regionale sia viziata da incostituzionalità per la parte in cui viola il riparto di competenze tra Stato e Regioni previsto dall’art. 117 Cost. Pertanto in base all’art. 134 Cost. è necessario che tale vizio sia sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale che dovrà con sentenza dichiarare l’incostituzionalità della norma (4): in base all’art. 136 Cost. questa cesserà di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. A voler seguire invece l’altra delle interpretazioni prospettate, potrebbe giungersi a sostenere l’abrogazione immediata delle norme regionali, facendo applicazione dell’art. 10 comma 1 della legge 10 febbraio 1953 n. 62 (c.d. legge Scelba), secondo cui le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo 9, abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse (5). La piena vigenza dell’art. 10 della legge n. 62/1953, è stata recentemente ribadita dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, di legittimità e costituzionale, nonostante i tentativi volti a dimostrare l’implicita abrogazione o comunque l’illegittimità costituzionale della norma dopo la riforma del titolo V della Costituzione (6) (7). Nonostante le diverse opinioni che a vario titolo hanno tentato di dimostrare che il rapporto tra fonti statali e regionali, specialmente dopo la riforma del titolo V della Costituzione, dovrebbe sempre risolversi in un vizio di incostituzionalità (8), tale idea non è mai stata recepita dalla Corte Costituzionale che sia prima (9) ma soprattutto dopo la riforma dell’art. 117 Cost. (10), ha sempre ribadito l’effetto abrogativo delle leggi regionali secondo il meccanismo di cui all’art. 10 della legge Scelba. A questo proposito si è evidenziato (11) come le affermazioni della Consulta contenute nelle sentenze n. 222 e 223 del 2007, circa l’attuale vigenza dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953, per quanto costituiscano oggettivamente una presa di posizione netta, non suonano come una novità sostanziale; nella giurisprudenza comune non si è infatti mai dubitato né della perdurante vigenza dell’art. 10 della legge Scelba, né della sua illegittimità costituzionale in riferimento al nuovo art. 117 Cost. (12) e che anche la dottrina si è orientata a ritenere che la disposizione sia oggi legittimamente in vigore (13). Presupposti di applicabilità della Legge Scelba Per stabilire se a seguito dell’entrata in vigore della legge di conversione del DL 112/2008 venga in considerazione la legge Scelba, e dunque per effetto di questa ritenere abrogate le norme regionali che qui interessano, occorre verificare se ricorrano i presupposti della legge n. 62/1953. Non è completamente da escludere infatti che, con l’abrogazione in esame, il legislatore non si sia limitato solo a legiferare su materia di competenza esclusiva statale, ma abbia anche provveduto a riformulare delle norme di principio all’interno della materia del risparmio energetico degli edifici. A tal fine potrebbe anche considerarsi che la previsione introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2006 n. 311 – secondo cui a partire dal 2 febbraio 2007 il trasferimento a titolo oneroso di determinati edifici avrebbe potuto eseguirsi sulla base di un atto negoziale, con allegata la certificazione in esame a pena di nullità – veniva ad incidere sul principio codicistico dettato in tema di forma degli atti negoziali, ed in particolare su quello generale in materia di libertà di forma. Ed è noto il carattere eccezionale delle norme che, derogando al principio della libertà di forma, impongono limitazioni all’autonomia negoziale (14). Inoltre non sembra fondato il dubbio che il legislatore nazionale con l’abrogazione dei commi 3 e 4 dell’art. 6 e dei commi 8 e 9 dell’art. 15 del d.lgs. 192/2005, non abbia rispettato la ripartizione di competenze previste dall’art. 117 Cost. Al contrario, la lett. l) del co. 2 prevede che allo Stato è riservata una competenza esclusiva sull'”ordinamento civile”, ed è innegabile che l’abrogazione dell’obbligo di allegazione dell’AQE e delle disposizioni che stabilivano la sanzione della nullità, incidendo sulle modalità di documentazione e formazione degli atti negoziali ha propriamente operato in quest’ambito. L’intervento del legislatore, in altri termini, si è conformato alla ratio che sorregge l’impedimento all’ingresso nel sistema del c.d. “diritto privato regionale”, tradizionalmente individuata nell’esigenza – sottesa al principio costituzionale d’uguaglianza ex art. 3 Cost. – di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti di diritto privato, settore dell’ordinamento che per la sua importanza mal si coniuga con i particolarismi locali (15). In quest’ambito dunque, qualunque intervento regionale che superi quel limite non potrebbe sottrarsi ad una eventuale censura di illegittimità costituzionale. Lo sconfinamento della potestà legislativà regionale all’interno delle materie riservate al legislatore nazionale, potrebbe anche non rivelarsi costituzionalmente rilevante, nell’ipotesi in cui la legislazione regionale coincida o sia meramente riproduttiva di quella statale. Poiché infatti il sistema normativo che disciplina le vicende privatistiche è pur sempre quello statale, non sussiste alcun interesse a far valere il vizio di illegittimità costituzionale della disciplina regionale. Ma quando invece la legge statale viene modificata, e da questa viene espunto il principio – come ad esempio, per quanto qui interessa, dell'”ordinamento civile” – che costitutiva il sostegno della legge o del regolamento locale, questa viene a confliggere con il riparto di competenza per materia fissato dalla costituzione, ed in particolare con l’art. 117 co 2 lett. l) che assegna allo Stato una riserva esclusiva sull’ordinamento civile. Vi è il dubbio che ciò possa essersi verificato con la disciplina regionale in materia di risparmio energetico degli edifici, alla quale è mancato successivamente il principio generale di riferimento per la parte in cui si disponeva in ordine all’allegazione dell’AQE agli atti traslativi, o come in alcuni casi, prevedendosi anche la sanzione civile della nullità. All’eventuale obiezione che dubitasse della riconducibilità ad un principio generale dello Stato “la liberta di forma degli atti negoziali”, potrebbe replicarsi osservando con quanto recentemente deciso dalla Corte Costituzionale secondo cui “l’ampiezza e l’area di operatività dei principi fondamentali – non avendo gli stessi carattere «di rigidità e di universalità» – non possono essere individuate in modo aprioristico e valido per ogni possibile tipologia di disciplina normativa. Esse, infatti, devono necessariamente essere calate nelle specifiche realtà normative cui afferiscono e devono tenere conto, in modo particolare, degli aspetti peculiari con cui tali realtà si presentano” (16). Al contrario, vengono meno i presupposti di applicabilità della Legge Scelba, nell’ipotesi in cui si consideri “di dettaglio” l’intervento del legislatore regionale quando ha previsto l’obbligo di allegazione dell’AQE (ma, invero, anche quando ha stabilito le conseguenti sanzioni di tipo privatistico come la nullità relativa) (17). In sostanza secondo quest’ultima ricostruzione, nelle materie in questione sussisterebbe una competenza regionale (concorrente e residuale), e quindi spetterebbe alle Regioni medesime dettare un’apposita disciplina nell’esercizio della propria potestà normativa ed amministrativa, trattandosi di normativa cedevole di dettaglio che, dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sarebbe pienamente consentito (18). Conclusioni Sulla base di quanto fin qui sostenuto è possibile ritenere che nelle regioni che non hanno legiferato in materia di prestazione energetica degli edifici, l’analisi di diritto comunitario compiuta porta a ritenere ammissibile che l’abrogazione dei commi 3 e 4 dell’art. 6 e dei commi 8 e 9 dell’art. 15 del d.lgs. 192/2005 (come modificato dal d.lgs. 29 dicembre 2006 n. 311), sia immediatamente operativa a partire dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 112/2008. Esclusa la sussistenza di un qualunque obbligo di documentazione, resteranno a carico del notaio gli obblighi di informazione e chiarimento nell’interesse delle parti sugli altri aspetti del d.lgs. n. 192 del 2005 non toccati dalla legge di conversione. In particolare quelli relativi agli obblighi in capo all’alienante di dotare l’edificio dell’AQE e di metterlo a disposizione dell’acquirente; quanto a tale obbligo di consegna, pur in assenza di una testuale previsione (19), esso sembra possa ricavarsi dall’art. 6 commi 1 e 1-bis del d.lgs. n. 192 del 2005, da cui si evince che l’obbligo di dotare l’edificio (dell’AQE) diventa “giuridicamente rilevante” nel momento in cui l’immobile viene trasferito all’acquirente. Pertanto alla luce della nuova formulazione del d.lgs. n. 192/2005, fermo restando nel citato art. 6 comma 1-bis il solo riferimento alla fattispecie traslativa e non al negozio traslativo, deve ritenersi che la consegna della certificazione energetica potrebbe non essere contestuale al rogito, ma eventualmente precederlo o seguirlo: in queste ipotesi diventa centrale l’intervento del notaio, non solo in funzione informativa – come detto – ma anche quale soggetto in grado di costruire un’adeguata regolamentazione contrattuale in ordine alla consegna del certificato. Con riferimento invece alla regioni nelle quali siano state emanate leggi o regolamenti in attuazione della disciplina statale, stante l’incertezza sulla soluzione da adottare con riferimento al rapporto tra legislazione statale e regionale, appare doveroso – almeno con riferimento alla fase di prima applicazione della nuova disciplina – un invito alla massima prudenza. Pertanto facendo salvi gli ulteriori approfondimenti in uno specifico studio, in linea con l’invito alla prudenza di cui innanzi, per l’ipotesi che dovesse risultare maggiormente fondata la soluzione che propende per considerare viziate da incostituzionalità le leggi o le delibere regionali, in quelle regioni che hanno emanato norme in materia si dovrà continuare ad applicare la disciplina che prevede l’obbligo di allegazione della certificazione energetica. Maria Laura Mattia, Mauro Leo _____________________ M. Leo ha curato la parte sulla legislazione statale e regionale; M.L. Mattia la parte di diritto comunitario. (1) Corte Costituzionale, sentenza 11 luglio 1989, n. 389, Provincia di Bolzano, in Foro it., 1991, I, 1076. In argomento si vedano anche, in abito nazionale: Corte Costituzionale, sentenza 18 aprile 1991, n. 168, Giampaoli, in Foro it., 1992, I, 660; Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 864 del 29 ottobre 1991, in Il Consiglio di Stato, 1991, I, 1481 e Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 marzo 2001, n. 1872, in Rep. Foro it., voce Sanitario, n.340; in ambito comunitario: Corte di giustizia, sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo; Corte di giustizia, sentenza 19 gennaio 1993, causa C-101/91, Commissione c. Italia; Corte di giustizia, sentenza 29 aprile 1999, causa C- 224/97, Ciola; Corte di giustizia, sentenza 4 ottobre 2001, causa C-438/99, Melgar. (2) Corte di giustizia, sentenza 12 luglio 1990, causa C-188/89, Foster/British gas. (3) Si conoscono la L.R. Piemonte 28 maggio 2007 n. 13 che all’art. 5 comma 2 ha stabilito l’obbligo di allegazione alle sole compravendite; delibera della Giunta Regionale della Lombardia n. 8/5773 (emanata in attuazione delle L.R n. 24/2006) che all’art. 6 comma 3 prevede l’obbligo di allegazione agli atti traslativi a titolo oneroso; L.R Valle d’Aosta 18 aprile 2008 n. 21 che all’art. 7 comma 3 prevede che ai soli “atti di compravendita” è allegato l’attestato di certificazione energetica; anche la L.R. Liguria 29 maggio 2007 n. 22, all’art. 28 comma 3 impone l’allegazione ai soli atti di compravendita della certificazione in esame, ma prevede anche, in conseguenza della violazione di quest’obbligo, la sanzione della nullità relativa (art. 33 comma 12); delib. Ass. Legisl. Emilia Romagna 4 marzo 2008, n. 156, che all’art. 5.5 dell’allegato “Atto di indirizzo e coordinamento sui requisiti di rendimento energetico e sulle procedure di certificazione energetica degli edifici”, pone l’obbligo dell’allegazione agli atti traslativi a titolo oneroso. (4) Corte Cost. 28 aprile 2004 n. 129; Corte Cost. 14 giugno 1990 n. 285 www.notariato.it 6 agosto 2008 9 (5) I principi fondamentali considerati dall’art. 9 sono quelli che risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono delle leggi vigenti. (6) Ancorché si tratti di tentativi che presuppongono questioni vertenti su materie a competenza concorrente, in cui le incursioni della legislazione statale, pur entro certi limiti, devono comunque ammettersi. Si vedano ad esempio i ricorsi (in G. U – I s.s. nn. 30 e 45 del 2005) per conflitto di attribuzione dinanzi alla Consulta sollevato dalla Regione Veneto verso lo Stato, in relazione alle sentt. Tar Veneto (nn. 1735 e 3200 del 2005 in Foro Amm.vo TAR, 2005, 3453 e ss con nota di C. Pagliarin) in cui si afferma che la revisione costituzionale del 2001 avrebbe accentuato gli elementi di separazione di competenza tra fonti statali e fonti regionali (non importa se anteriore o successiva) sicché nelle materie di competenza concorrente il rapporto tra legge statale e legge regionale dovrebbe essere sempre strutturato in termini di illegittimità costituzionale e mai di abrogazione. Pertanto , l’art. 10 primo comma, della legge Scelba dovrebbe ritenersi o implicitamente abrogato oppure affetto da illegittimità costituzionale sopravvenuta. (7) Probabilmente non sarebbe totalmente da trascurare l’idea – sulla quale il condizionale è d’obbligo – che con riferimento a materie nelle quali lo Stato esercita una competenza esclusiva (art. 117 co. 2), sia ipotizzabile una diretta applicazione dell’art. 15 preleggi, norma sulla quale appare modellato lo stesso art. 10 della legge Scelba. (8) Riportate in F. CORVAJA, Abrogazione di legge regionale a mezzo di regolamento statale e conflitto di attribuzioni, Le Regioni, 6/2007, p. 1055 ss. spec par. 5 (9) C. Cost 3 marzo 1972 n. 40 (10) Da ultimo C. Cost. nn. 222 e 223 del 2007. Dopo la riforma del titolo V° C. Cost. n. 376 del 2002. n. 302 del 2003 (11) F. CORVAJA, op. cit. (12) Riconosce la vigenza della Legge Scelba Cass. n. 3620 del 2004 e Cass. n. 13077 del 2000. Quanto alla giurisprudenza amministrativa T.A.R. Campania – Napoli, sez. IV, n. 15543 del 2003, in www.giustizia-amministrativa.it, che ravvisa l’abrogazione della legge regionale campana. 17 del 1982, in materia di limiti di edificabilità, a far data dall’entrata in vigore del nuovo Testo unico dell’edilizia, ritenendo “applicabile nella fattispecie il dettato dell’art. 10 della legge n. 62 del 10 febbraio 1953 secondo cui le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali nelle materie in cui le Regioni hanno competenza legislativa abrogano le precedenti norme regionali che siano in contrasto con esse”. Nello stesso senso cfr. anche TAR Campania, sede di Napoli, sez. II, sent. 25 novembre 2004, n. 19574, in www.giustiziaamministrativa.it e da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, dec. 22 ottobre 2007, n. 5510, in www.giustiziaamministrativa.it, ove si legge che “la competenza legislativa concorrente che spetta alle regioni ordinarie nella materia sanitaria, ai sensi dell’art. 117, comporta, infatti, che il sopravvenire di una legge statale, che modifica i principi fondamentali della materia abroga la legge regionale preesistente, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953″(relativa però ad una fattispecie anteriore alla riforma del titolo V). (13) F. CORVAJA, op. cit. nota 25, riferisce che la maggior parte degli Autori sostiene (o dà per scontato), infatti, che il rapporto tra leggi statali di principio e leggi regionali di dettaglio nelle materie del 117, terzo comma, Cost., sia tuttora regolato dall’art. 10 della legge Scelba. In questo senso cita P. CARETTI – G. TARLI BARBIERI, Diritto regionale, Bologna 2006, 69 s.; contra PAGLIARIN, La “ghigliottina” della vecchia legge Scelba cit., 3467 ss. (14) Per tutti GIORGIANNI, Forma degli atti (dir. priv.), in ED, XVII, Milano, 1968, 1003. Non può non segnalarsi, comunque, il diverso orientamento pure autorevolmente sostenuto (IRTI, Strutture forti e strutture deboli (del falso principio di libertà delle forme) in Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985) che nell’ottica di un neoformalismo negoziale, nega l’esistenza del principio di libertà delle forme. (15) S. GIOVA, «Ordinamento civile» e diritto privato regionale, Napoli, 2008, 19 ss. www.notariato.it 6 agosto 2008 10 (16) C. Cost. n. 336 del 2005 che in concreto ha qualificato come principi fondamentali anche norme a carattere puntuale e specifico, insuscettibili di un qualunque svolgimento da parte della legge regionale.; si veda anche C. Cost. n. 50 del 2005 (17) E’ da ritenere che ad un risultato sostanzialmente analogo possa pervenirsi ipotizzando una sorta di (improbabile) “delegificazione” – ad opera del Dlgs 192/2005 – dei principi fondamentali ricordati nel testo. (18) In ogni caso non va sottovalutata la circostanza che alcune Regioni (come il Piemonte) hanno previsto sanzioni amministrative pecuniarie a carico dell’alienante per il fatto della mancata allegazione dell’attestato di certificazione energetica: ricollegando così effetti di natura pubblicistica, e non meramente privatistica, all’allegazione (nell’alveo della competenza spettante alle Regioni stesse sulla base delle richiamate norme costituzionali), che non possono probabilmente ritenersi coinvolti dall’abrogazione della normativa nazionale (19) Benché non possa trascurarsi l’art. 1477 co. 3 cod. civ. secondo cui: “Il venditore deve pure consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all’uso della cosa venduta”. 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