Price cap del gas: le incognite sul tetto e sulla separazione dei prezzi gas ed elettricità

Il price cap sul gas è da molti invocato, come pure la separazione dei prezzi di gas ed elettricità. Cosa comportano? La parola a Michele Polo, docente esperto di economia politica

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Price cap del gas: le incognite sul tetto e sulla separazione dei prezzi gas ed elettricità

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Il price cap del gas è necessario? Consideriamo quanto accade al mercato di Amsterdam dove si è arrivati anche a sfiorare i 340 euro al Megawattora e i conseguenti impatti sulle bollette di famiglie e imprese.

Michele Polo, docente di Economia Politica dell'Università BocconiIl Governo italiano ha chiesto un tetto europeo al prezzo del gas. È una misura da più parti auspicata e la sua importanza «è immediata, comprensibile e auspicabile: romperebbe il circolo vizioso tra aspettative di una riduzione delle importazioni dalla Russia, spinta al rialzo del prezzo del gas e dei contratti future e aumento delle entrate in valuta pregiata per Mosca che vanifica l’impatto delle sanzioni», scrive Michele Polo su La Voce.info. Il docente di Economia Politica presso l’Università Bocconi, esperto di economia e politica industriale e di temi riguardanti antitrust e regolamentazione ha avuto modo di trattare l’argomento. Con lui andiamo ad approfondire la questione price cap e anche della separazione dei prezzi del gas e dell’elettricità, altra questione “calda” e da più parti auspicata. 

Professor Polo, a proposito di price cap del gas, come si dovrebbe attuare e quale sarebbe anche il prezzo giusto perché possa essere risultare equo a tutti i Paesi europei, a cominciare dall’Italia?

Oggi si parla spesso di price cap, ma per ora non sono state fatte delle proposte precise, almeno a livello di Commissione Europea. Ci sono alcune misure che in qualche modo possono essere considerate simili a un tetto del prezzo a livello di singoli paesi, con una certa eterogeneità. Tuttavia possiamo distinguere una prima importante direttrice, che immagina il price cap applicato in grado di produrre un effetto a livello di prezzi della bolletta. Questa è una misura che ha senso per affrontare uno dei problemi che la situazione attuale pone: il costo sempre più elevato dei servizi energetici a partire dal gas per arrivare all’elettricità, avendo poi conseguenze anche sul tasso di inflazione.
In questo caso, quando l’obiettivo è ridurre il prezzo del gas pagato in bolletta, si può fare in tanti modi, ma essenzialmente o un prezzo uguale per tutti, ma ribassato, oppure un prezzo differenziato con dei contributi che vanno a influenzare il prezzo netto per determinate categorie di utenti, come famiglie a basso reddito e industrie energivore. In entrambi i casi occorre pensare a una forma di compensazione per chi opera a monte perché non viene intaccato il prezzo molto elevato all’ingrosso della materia prima. Per evitare perdite occorre che vengano compensati gli importatori. Questo è ciò che anche si è fatto in Italia, in particolare focalizzandosi su determinate categorie di utenti (utenti svantaggiati ed energivore) già dall’autunno 2021 quando il prezzo del gas aveva cominciato a salire. È una misura che può essere sostenuta a livello di singoli Paesi mediante tasse sugli extraprofitti, per esempio, delle imprese energetiche che hanno beneficiato sul prezzo del gas.

Quali sono gli elementi da considerare nel porre il price cap sul prezzo del gas?

Il price cap sul gas è efficace rispetto all’obiettivo che si pone, cioè proteggere dal caro energia alcune fasce di utenti. Una misura di questo genere ha questo effetto benefico, non intaccando però i meccanismi di formazione del prezzo all’ingrosso.
Una misura che però non è per adesso stata specificata in modo molto dettagliato è quella di ridurre il prezzo pagato sull’import dalla Russia, ossia sul prezzo all’ingrosso. In questo caso però bisogna tener conto di come funziona il mercato a monte del gas. Perché oggi, considerando unicamente le importazioni dalla Russia, si ha un solo venditore, un monopolista dal lato dell’offerta: Gazprom. Dal lato della domanda ci sono numerosi operatori di varia dimensione, ma molto più piccoli rispetto all’insieme delle esportazioni gestite dalla stessa multinazionale russa. Quindi non è possibile immaginare una negoziazione di ogni singolo importatore con Gazprom perché lo squilibrio della capacità negoziale sarebbe enorme e lo stesso monopolista non ci starebbe. La possibilità immaginata a livello europeo è quello di attribuire alla Commissione europea il ruolo di negoziatore unico per tutte le importazioni ai Paesi europei e quindi contrapporre a un monopolista lato offerta un monopolista lato domanda.

Se fosse così, sarebbe una strada percorribile?

Realizzare questa ipotesi non è semplice, perché significa innanzitutto spostare la titolarità della negoziazione dei contratti dagli operatori oggi attivi come importatori alla Commissione UE. Bisogna comprendere come verranno allocate le quantità nel momento in cui, o durante o all’esito finale della negoziazione, ci sarà una possibile restrizione nelle quantità che arrivano dalla Russia, quindi come poi vengono allocate fra i diversi Paesi importatori.
Ma la domanda più importante di tutte è: che succede se la Russia non ci sta? È chiaro che gli interessi sono totalmente contrapposti. Bisogna comunque chiedersi quali sono le capacità negoziali e queste dipendono dalla situazione nel caso in cui la negoziazione o si prolunga o alla fine arriva a un nulla di fatto. In questo senso permangono debolezze, sia dal lato russo che europeo: nel primo caso, l’interrogativo più sensibile è quanto possano gestire nel medio termine una restrizione nei volumi esportati, senza avere dei danni alle infrastrutture di trasporto e di estrazione che oggi gestiscono. Dal lato europeo, l’incognita è legata a quanto si potrà tirare avanti se il quantitativo di gas dalla Russia si riduce o addirittura si interrompe. Gli stoccaggi forniscono una autonomia di un paio di mesi, quindi sono insufficienti. Di sicuro, quindi, non è una trattativa facile. Tra l’altro la Russia già sta gestendo il rifornimento riducendo i flussi, per rallentare il riempimento degli stoccaggi da parte dei Paesi europei, ma anche pensando a rafforzarsi in una fase di eventuale negoziazione. Tutto questo genera un grosso punto interrogativo su cui è difficile prevedere la soluzione.

E cosa accadrà, invece, con gli altri paesi extra Russia con cui l’Italia ha già preso accordi? È possibile pensare di chiedere un price cap?

Non possiamo pensare di imporre un tetto dei prezzi a dei paesi a cui contemporaneamente stiamo richiedendo un aumento delle forniture, perché sarebbe una palese contraddizione. Se vogliamo sostituire il gas russo con quello algerino o di altri Paesi, non possiamo dire però che si intende pagarlo meno di quanto pattuito. Il problema è in quanto tempo riusciremo a sostituire il gas da altre fonti extra Russia, rinunciando avendo meno importazioni da questo Paese. Occorre considerare i vincoli infrastrutturali. L’unico gasdotto che aveva capacità inutilizzate era quello con l’Algeria e difatti l’Italia ha aumentato il gas contrattato; la situazione con la Libia, altro antico fornitore, è assai complicata e di difficile risoluzione nel prossimo futuro. Il gasdotto TAP che giunge dall’Azerbaigian (uno dei cinque gasdotti che permettono all’Italia di importare gas naturale dall’estero – nda) a oggi è saturo e poi comunque attraversa tutta una serie di Paesi che attingono gas da esso a loro volta quindi non è immaginabile pensare a ottenere una capacità superiore a quella attuale. Dal nord Europa è difficile immaginare che arrivi qualcosa in più. Quindi dai gasdotti è difficile immaginare a breve una sostituzione completa. Dal GNL, invece, quindi a mezzo delle navi, c’è il vincolo dei rigassificatori e il nodo rigassificatore di Piombino da risolvere. Anche il razionamento della domanda è un capitolo del tutto nuovo su cui ci sono molti interrogativi.

A proposito invece della separazione dei prezzi gas ed elettricità, perché non si è pensato in tempi non sospetti a questa riforma? Quali sono pregi e limiti di questa misura?

Intanto va chiarito qual è il meccanismo di trasmissione dal prezzo del gas a quello dell’elettricità. Esso è legato all’aumento dei costi delle centrali di generazione a ciclo combinato a gas e che quindi a quel punto producono energia elettrica solamente chiedendo un prezzo più elevato. Dato che queste sono le cosiddette unità marginali, almeno in Italia, cioè quelle che alla fine assicurano la produzione dell’ultimo slot di gas per pareggiare domanda e offerta, il prezzo dell’elettricità si forma sul prezzo richiesto da queste centrali.
Oggi in Italia, ma direi in quasi tutti i Paesi avanzati, il meccanismo di formazione del prezzo nei mercati all’ingrosso della elettricità è quello del marginal price (meccanismo che remunera i produttori corrispondendo a tutti il prezzo di equilibrio tra domanda e offerta, che è pari al prezzo dell’offerta più onerosa tra quelle accettate per soddisfare la domanda – nda). È un meccanismo su cui si solleva anche qualche lamentela: la più diffusa è che il marginal price alla fine riconosce a tutti i produttori, anche a quelli che avevano dichiarato la disponibilità a produrre un prezzo più basso, un prezzo molto elevato: sono gli extra profitti, quelli che si vorrebbero tassare per finanziare in parte la compensazione della domanda. 

Ci sono meccanismi alternativi al marginal price?

Sì, uno di quelli più invocati è il cosiddetto “pay-as-bid” in cui a chi dichiara la disponibilità di produrre tot megawattora a un determinato prezzo che viene riconosciuto e pagato. Questo meccanismo dovrebbe garantire complessivamente un prezzo più basso per la produzione dell’energia elettrica. In realtà questa considerazione è frutto di un’analisi naif, perché prende come riferimento i prezzi che in una organizzazione di mercato completamente diversa come quella del marginal price fanno i diversi produttori. Se il meccanismo pay as bid venisse preso alla lettera, le strategie di mercato cambierebbero totalmente, conseguendo prezzi più alti anche in caso di impianti di produzione con costi più bassi. 

La separazione dei prezzi non potrebbe favorire lo sviluppo ulteriore delle fonti rinnovabili?

Oggi le rinnovabili, o almeno quelle sul mercato, guadagnano un prezzo molto elevato col marginal price: in presenza, invece, di un meccanismo come il pay-as-bid i ritorni potrebbero essere più bassi.

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