Mitigazione climatica: i paesi alla prova del target 1,5°, siamo messi male

Germanwatch, NewClimate Institute e CAN International hanno presentato la 18a edizione del Climate Change Performance Index (CCPI), che monitora e classifica i progressi in materia di mitigazione del clima di 59 Paesi e dell’Unione Europea (i maggiori emettitori a livello mondiale). Danimarca, Svezia, Cile, Marocco e India sono in testa alla classifica, anche se i risultati raggiunti non sono sufficienti a garantire il rispetto dell’Accordo di Parigi, mentre Iran, Arabia Saudita e Kazakistan sono all’ultimo posto. Gli Stati Uniti e la Cina, i maggiori emettitori mondiali, registrano risultati molto bassi, anche se gli Stati Uniti salgono di tre posizioni rispetto all’anno scorso, mentre la Cina scende di 13 posizioni.

A cura di:

Mitigazione climatica: i paesi alla prova del target 1,5°, siamo messi male

L’attuale crisi energetica dimostra chiaramente che la dipendenza dai combustibili fossili continua a essere eccessiva. Ci sono però alcuni Paesi che stanno compiendo sforzi maggiori nella mitigazione del clima attraverso politiche di sostegno e investimenti in efficienza energetica ed energie rinnovabili, parte essenziale del percorso verso la neutralità del carbonio.

Ieri, in occasione della COP27, Germanwatch, NewClimate Institute e CAN International hanno pubblicato la 18a edizione del Climate Change Performance Index (CCPI) 2023, che analizza e confronta gli sforzi di mitigazione del clima di 59 Paesi più l’Unione Europea, ovvero i maggiori emettitori a livello mondiale, collettivamente responsabili di oltre il 90% delle emissioni globali di gas serra. A causa della guerra, quest’anno l’Ucraina è stata esclusa dalla classifica.

Il CCPI valuta quattro categorie: emissioni di gas serra (40%), energie rinnovabili (20%), uso dell’energia (20%) e politica climatica (20%).

La buona notizia è che negli ultimi anni paesi come il Cile, il Marocco e l’India (classificati tra il 6° e l’8° posto) hanno costantemente migliorato i risultati nel CCPI e si stanno avvicinando a paesi leader come la Danimarca e la Svezia (classificati al 4° e 5° posto). La cattiva notizia è che la Cina, il più grande emettitore, è in netto ritardo, ha perso 13 posizioni ed è ora al 51° posto nel nuovo indice, classificandosi nella categoria “very low” e raggiungendo il secondo emettitore, gli Stati Uniti (al 52° posto), che però salgono di tre posti.

Quello che deve far riflettere è che nessuno dei 59 maggiori emettitori è ancora su un percorso per il mantenimento dell’aumento della temperatura entro 1,5°C come previsto dall’Accordo di Parigi, il che significa che i primi tre posti dell’indice rimangono non occupati. D’altra parte Danimarca, Svezia e Norvegia dimostrano che politiche ambiziose di mitigazione del clima permettono di ridurre rapidamente la dipendenza dai combustibili fossili.

Cina, bene nelle rinnovabili ma male nell’indice. Stati Uniti migliorano nella politica climatica

La Cina ha registrato la maggiore battuta d’arresto nel nuovo indice. Se da un lato il Paese ha mostrato un forte sviluppo nelle energie rinnovabili, dall’altro ha investito in nuove centrali a carbone. Il Prof. Niklas Höhne, uno degli autori del CCPI sottolinea che la Cina, per invertire la tendenza e frenare l’aumento delle emissioni, dovrebbe continuare a investire nelle rinnovabili e chiudere le centrali a carbone.

Gli Stati Uniti stanno invece migliorando nell’indice CCPI grazie alla svolta politica dell’amministrazione Biden molto impegnata nelle strategie per l’azione sul clima. Tuttavia – ha commentato Jan Burck, autore dell’Index “il livello di emissioni pro capite e la quota di energia rinnovabile pro capite sono ancora molto bassi”.

Danimarca, in testa a tutte le categorie

La Danimarca continua a essere il paese leader nella transizione energetica. Nonostante sia l’unico Stato con una politica nazionale “high” e internazionale “very high“, i risultati ottenuti non sono sufficienti a raggiungere i primi tre posti del podio, il Governo dovrà migliorare le prestazioni, in particolare in materia di efficienza energetica.

Molto bene anche il Cile che ha guadagnato 3 posizioni, arrivando al sesto posto, grazie anche alla legge quadro recentemente adottata sui cambiamenti climatici che prevede l’impegno a raggiungere lo zero netto entro il 2050.

L’India ha migliorato i già buoni risultati della precedente edizione arrivando all’ottavo posto. Il Paese beneficia di basse emissioni pro capite, di un basso consumo energetico e di un aumento significativo di energie rinnovabili. L’India ha aggiornato il proprio Contributo Determinato Nazionale (NDC) annunciando un obiettivo di zero emissioni nette per il 2070. Però gli esperti avvertono che mancano ancora un meccanismo di determinazione del prezzo del carbonio e piani d’azione concreti per raggiungere gli obiettivi.

Chiudono la classifica Iran, Arabia Saudita e Kazakistan. Questi tre Paesi sono particolarmente deboli nelle energie rinnovabili e dipendono fortemente dal petrolio. L’Arabia Saudita è il Paese con le più alte emissioni pro capite di gas serra (GHG) tra i Paesi del G20.

Performance molto basse in tema di politica climatica per Russia, Turchia, Ungheria 

Il Paese con le prestazioni più deboli in materia di politica climatica è la Russia, con il peggior punteggio possibile di 0,0. Anche Turchia, Ungheria e Brasile hanno ottenuto risultati molto bassi in questa categoria. Ci si aspetta che il neoeletto Presidente Lula aumenti le ambizioni del Brasile in materia di politica climatica. La protezione dell’Amazzonia e la graduale eliminazione della produzione di combustibili fossili sono misure fondamentali a questo proposito.

I Paesi dell’UE: una fisarmonica tra alto e basso

L’Unione Europea nel suo complesso sale di tre posizioni, arrivando al 19° posto e mancando di poco la categoria “alta”. Il motivo principale dell’avanzamento è un miglioramento nell’impegno nella politica climatica, grazie al pacchetto di attuazione e al miglioramento degli obiettivi del pacchetto “Fit for 55“.

Thea Uhlich, coautrice del CCPI, commenta: “A lungo termine, l’UE salirà ulteriormente nel CCPI solo se sosterrà tutti gli Stati membri a ridurre rapidamente le proprie emissioni – ad esempio, introducendo un prezzo della CO2 per i trasporti e il calore insieme a un significativo fondo sociale per il clima”.

La classifica dei singoli Paesi dell’UE è eterogenea: nove hanno raggiunto la categoria “alta”, sette quella “bassa” e due addirittura “molto bassa”. La Danimarca, la Svezia e i Paesi Bassi (13°, con un aumento di sei posizioni), ad esempio, si classificano in alto, mentre la Polonia (54°) e l’Ungheria (53°) fanno parte della categoria “molto bassa”. La Spagna registra una delle maggiori ascese tra i Paesi dell’UE e migliora le proprie prestazioni in tutte e quattro le categorie dell’IPC, salendo di 11 posizioni al 23° posto (“medio”). La Francia, invece, scende di undici posizioni al 28° posto. Il Paese ha ricevuto valutazioni contrastanti nelle quattro principali categorie dell’IPCC. Le sue prestazioni in materia di emissioni di gas serra, uso dell’energia e politica climatica sono valutate “medie”. Tuttavia, la Francia ha ricevuto un punteggio “basso” per le energie rinnovabili. A livello UE, il Paese blocca i finanziamenti internazionali per il clima, soprattutto per quanto riguarda le perdite e i danni.

I Paesi dell’UE che hanno ottenuto i risultati peggiori, l’Ungheria e la Polonia, sono classificati come “bassi” e “molto bassi” nelle categorie delle emissioni e dell’uso dell’energia, e si posizionano particolarmente male nella politica climatica (Polonia 57°, Ungheria 61°).

L’Italia sale di una posizione, collocandosi al 29° posto e rientrando tra i paesi “medi”. Anche se il Paese punta a eliminare gradualmente il carbone entro il 2025, gli esperti criticano la mancanza di una chiara politica climatica volta a ridurre le emissioni di gas serra e ad aumentare la quota di energia rinnovabile (siamo infatti al 33° posto), e per la dipendenza del nostro paese dalla CCS. Secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, “si deve ggiornare al più presto il PNIEC per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030. Andando, quindi, ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025, senza ricorrere a nuove centrali a gas”. Inoltre per il presidente di Legambiente bisogna velocizzare gli interminabili iter autorizzativi “dei grandi impianti industriali alimentati dalle fonti pulite sia quelli delle comunità energetiche, causati soprattutto dai conflitti tra ministero dell’ambiente e della cultura e dalle inadempienze delle regioni“.

Il Bel Paese secondo il Climate Analytics potrebbe raggiungere il 60% nel mix energetico e il 90% nel mix elettrico entro il 2030 arrivando al 100% di rinnovabili nel settore elettrico nel 2035 e garantendo così la neutralità climatica prima del 2050.

Consiglia questa notizia ai tuoi amici

Commenta questa notizia



Tema Tecnico

Sostenibilità e Ambiente

Le ultime notizie sull’argomento



Secured By miniOrange