Blockchain: perché è alleata di rinnovabili ed efficienza energetica

La tecnologia blockchain permette di aprire a un modello energetico più “democratico”, sicuro ed efficiente. Ma va sbloccata, sottolinea l’esperto William Nonnis.

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Prepariamoci a sentire parlare di blockchain nel mondo dell’energia. Già in questi giorni Snam ha gestito, sia pure sperimentalmente, delle transazioni bilaterali di compravendita di gas naturale basate sulla tecnologia blockchain.

Ma sarà la spinta alla produzione e consumo in ottica distribuita che la vedrà protagonista del sistema energetico presente e futuro, verso un modello più “democratico”, partecipato, sicuro e trasparente.

Non solo: «la blockchain può dare certezza su un consumo reale di energia, combattendo inoltre la dispersione e favorendo quindi l’efficienza energetica».

William Nonnis, Full Stack & Blockchain Developer presso Ministero della DifesaAd affermarlo è William Nonnis, Full Stack & Blockchain Developer presso Ministero della Difesa, esperto selezionato per il progetto Italian Open Lab dedicato al mondo dell’innovazione tecnologica.

È membro attivo dello staff tecnico per lo studio, progettazione, sviluppo su Blockchain, Intelligenza Artificiale, Internet of Things e applicazioni web.

Con lui cerchiamo di illustrare lo stato dell’arte dell’applicazione della “catena di blocchi” in ambito energetico.

Blockchain: cos’è e quando nasce?

Il termine lo si deve a Satoshi Nakamoto e al suo white paper pubblicato nel 2008 (citata come timechain e successivamente denominata blockchain) in cui prefigurò quanto successivamente fu da lui stesso definito come blockchain, definendo un modello di economia circolare, pubblica e trasparente, legata a Bitcoin, ovvero la valuta virtuale e al sistema connesso necessario per generarla.

Blockchain è un registro pubblico distribuito delle transazioni liberamente accessibili e basato sul consenso tra i partecipanti alla rete stessa; permette la notarizzazione, ovvero la marcatura temporale di una transazione e per questo si serve dell’impiego intensivo della crittografia e della firma digitale.

L’elemento innovativo, anche rispetto ad altri sistemi tecnologici, è che non esiste più una logica di centralizzazione, anche nelle sue forme evolute decentralizzate, ma una forma distribuita e orizzontale delle informazioni.

Un sistema centralizzato, tanto per chiarire, è un computer connesso a un server centrale dove è possibile recuperare informazioni.

Quello decentralizzato è esemplificabile con un sistema bancario che è tenuto a inviare alla Banca Centrale Europea le transazioni svolte nella giornata.

Nel sistema distribuito tutti i partecipanti alla rete di servizi hanno il consenso di effettuare mining (modo utilizzato dal sistema bitcoin e dalle criptovalute in generale per emettere moneta) o validazioni.

Altro importante aspetto del sistema distribuito introdotto dalla blockchain è l’immutabilità del dato: una volta che una transazione è iscritta, non si può né modificare né cancellare e quindi la certezza di una transazione.

Perché utilizzare la blockchain per l’energia?

Innanzitutto va sgombrato il campo da dubbi: quando parliamo di modello blockchain per l’energia intendiamo quello pubblico, qual è il modello pensato da Nakamoto ovvero Bitcoin o Ethereum, che non va confuso con modelli di blockchain privati (software basati su registri distribuiti – DLT).

Posto questo, il modello distribuito si diffonde dal basso, quindi dai cittadini. Esso è in grado di garantire certezza sotto molti aspetti: per esempio, dando l’esatta misura di consumo energetico da parte del singolo, oppure ridistribuendo la produzione delle rinnovabili di ogni cittadino.

È ciò che avviene già in Australia dove una startup permette a ogni cittadino possessore di un impianto fotovoltaico, o di altra fonte rinnovabile, di redistribuire l’energia superflua, utilizzando solo una parte residua di quanto prodotto.

È stato istituito un portale energetico pubblico, frutto di un accordo tra governo e fornitore nazionale, stabilendo che la rivendita energetica rinnovabile da parte di utenti privati deve avere una soglia massima di costo.

In pratica, sul portale viene dichiarata la quota di energia che ognuno decide di rivendere a un prezzo stabilito, creando le basi per un’economia circolare, altrimenti detta tokenizzazione, la conversione dei diritti di un bene in un token digitale registrato su una blockchain, dove il bene reale e il token (una sorta di “gettone virtuale”) sono collegati da uno smart contract.

È possibile impiegare il token per pagare la bolletta o le tasse, per fare acquisti di beni di prima necessità; addirittura in Australia ci sono aziende private distributrici energia che, in base al tipo di area dove avviene il peer-to-peer energetico, hanno installato colonnine di ricarica per veicoli elettrici del quartiere.

Così la blockchain può dare certezza a un consumo reale di energia, combattendo inoltre la dispersione e favorendo l’efficienza energetica.

Blockchain, un ulteriore slancio allo sviluppo delle rinnovabili?

Premesso che la blockchain non può essere la panacea per tutti i mali, sicuramente è un protocollo che permette il coinvolgimento della comunità e la sua trasparenza, potrà in futuro restituire la fiducia oggi inesistente tra individui: è questo il suo aiuto fondamentale.

Ci vorrà tempo, ma è cruciale e costituirà una svolta epocale in termini di cambio di paradigma culturale e sociale, coinvolgendo in primis i cittadini e le istituzioni. Questa tecnologia deve dare benefici e non funzionalità. Aiuta a responsabilizzare tutti, partendo da un modello di governance intesa come “vigilante” dell’andamento dei processi all’interno di un sistema.

Ed è qui che entra in gioco la fondamentale importanza di una diffusione della cultura digitale fin dalla scuola elementare, dai docenti prima ancora che dagli alunni.

L’Italia come si pone nel contesto generale nel senso di una progressiva diffusione della digitalizzazione, di cui la blockchain è parte?

Dobbiamo recuperare strada anche rispetto a quanto stanno facendo altri Paesi: in Francia è stato da poco deciso che nei percorsi didattici istituzionali del sistema scolastico saranno previste materie quali fintech, crittografia e blockhain.

La Cina ha introdotto già a partire dalla quinta elementare l’Intelligenza Artificiale quale materia di studio. La competitività parte da qui.

A livello normativo quali sono i nodi da sciogliere in Italia?

A febbraio 2019 il Governo ha promulgato il decreto semplificazioni, introducendo i DLT e gli smart contract. Oggi però mancano le linee guida di Agid – Agenzia per l’Italia digitale e i risultati della task force del Ministero dello Sviluppo economico.

Essi sono fondamentali per comprendere su quali settori può avere un impatto determinante questo tipo di tecnologia, ma occorre definire innanzitutto cosa si intenda con “tecnologia”.

È importante sbloccare questa situazione, accelerando i propri processi interni e snellendo la burocrazia.

Nei primi dieci Paesi europei dove la digitalizzazione è una realtà non solo nel contesto fisico, ma anche e soprattutto nell’utilizzo pratico, dove hanno realmente acquisito il cambio di paradigma culturale e sociale. Occorre prendere esempio dai modelli virtuosi.

Quali ad esempio?

La Slovenia è la prima nazione d’Europa dove viene utilizzata l’identità digitale, strumento che permette a enti pubblici e ai privati di verificare l’appartenenza di una persona fisica a un’organizzazione e la sua qualità di professionista. In Italia siamo ancora ancorati a Spid (Sistema pubblico d’identità digitale) e alla carta d’identità digitale, che permettono sì di accedere a servizi, ma in maniera limitata.

Occorre standardizzare formule e tecnologie in modo da permetterne il loro pieno utilizzo. Com’è altrimenti possibile applicare la blockchain, che ha appunto necessità principalmente di un riconoscimento ottenibile proprio grazie a un’identità digitale?

Occorre quindi accelerare procedure e tempi. La tecnologia corre molto velocemente, non possiamo permetterci di trovarci in ritardo; lo dobbiamo alle generazioni presenti e ancor più a quelle future.

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