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Indice degli argomenti: CO2: l’interesse della ricerca e sviluppo “Riciclare” la CO2 nel cemento: le aziende ci sono Il progetto CO2OLHEAT e il ruolo della CO2 supercritica Si parla spesso di emissioni di CO₂, meno forse di come riuscire a reimpiegarla in vari modi sostenibili. Ma le cose stanno cambiando. Oggi circa 230 milioni di tonnellate (Mt) vengono impiegate ogni anno nel mondo, specifica la International Energy Agency. Il più grande consumatore è l’industria dei fertilizzanti, con 130 Mt di CO₂ usati nella produzione di urea, seguita dall’oil & gas, con un consumo di 70-80 Mt per il recupero potenziato del petrolio. Altre applicazioni commerciali includono la produzione di alimenti e bevande, la fabbricazione di metalli, l’impiego nella refrigerazione, negli estintori e persino per stimolare la crescita delle piante nelle serre. Anche se la maggior parte dei percorsi di conversione in atto per impiegare la CO2 sono ad alta intensità energetica e ancora agli inizi, stanno attirando un crescente interesse e sostegno da parte dei governi, dell’industria e degli investitori, prospetta la stessa Agenzia. La ricerca punta però a trovare modi per riconvertire in modo green l’anidride carbonica, oltre che cercare di sviluppare metodi per la cattura e sequestro (CCS). Uno di questi intende recuperare il calore inutilizzato nelle industrie e trasformarlo in energia elettrica attraverso tecnologie innovative basate sulla CO₂ supercritica (sCO₂). È lo scopo per cui è stato avviato quest’anno il progetto CO2OLHEAT, per il quale l’Unione Europea – mediante il Programma Horizon 2020 – stanzierà circa 19 milioni di euro. Tra i 21 partner che ne fanno parte (di 11 Paesi), ce ne sono diversi italiani: ENEA, Politecnico di Milano, Università degli Studi Roma Tre, Rina Consulting e Nuovo Pignone. Esso intende realizzare un impianto pilota su scala industriale, il primo nel suo genere in Europa, sfruttando la sCO₂. Il progetto, che illustreremo di seguito, anche se importante non è però l’unico. È però un significativo esempio che evidenzia quanto interesse ci sia nello sfruttamento “buono” del diossido di carbonio che spazia dalla produzione di carburanti ai materiali da costruzione. Questo interesse si riflette in un crescente sostegno da parte dei governi, dell’industria e degli investitori sotto forma di finanziamenti alle startup: si parla di quasi un miliardo di dollari nell’ultimo decennio. Ma siamo solo all’inizio. CO2: l’interesse della ricerca e sviluppo Proprio in questi giorni The Guardian riportava l’interesse crescente in molti settori della ricerca e sviluppo. “Siamo all’inizio di una nuova industria tecnologica del carbonio”, ha affermato Pat Sapinsley, dell’Urban Future Lab. Si stima che ci siano ora circa 350 startup che sperano di avviare iniziative nel segmento “carbon-to-value”. Lo confermano gli investimenti di capitale di rischio aumentati rapidamente. Solo quest’anno, più di 550 milioni di dollari sono affluiti alla fine di settembre, secondo la società di ricerca e consulenza Cleantech Group. Si tratta di una cifra superiore a quella messa insieme nei cinque anni precedenti. Questo comparto di ricerca e sviluppo, se adeguatamente stimolato, potrebbe avere il potenziale sufficiente a ridurre le emissioni mondiali di CO2 di oltre il 10%, secondo l’analisi della Global Initiative CO2 dell’Università del Michigan. Lo stesso Urban Future Lab insieme a Greentown Labs e il Fraunhofer USA TechBridge Program hanno annunciato nel 2020 la formazione della Carbon to Value Initiative (C2V Initiative). È una partnership che lavora a creare un fiorente ecosistema di innovazione per la commercializzazione di tecnologie di cattura e conversione di CO₂ in prodotti o servizi finali di valore. L’iniziativa C2V è sostenuta dalla New York State Energy Research and Development Authority e dal Consolato Generale del Canada a New York. Secondo gli scienziati, la sola riduzione delle emissioni di gas serra non sarà sufficiente a mantenere il riscaldamento globale al di sotto di una media di due gradi Celsius a livello globale. Più di 100 gigatonnellate, ovvero 100 miliardi di tonnellate di carbonio, sotto forma di CO2, devono essere rimosse dall’atmosfera entro il 2050. “Riciclare” la CO2 nel cemento: le aziende ci sono La maggior parte delle applicazioni commerciali oggi vedono l’utilizzo diretto di anidride carbonica, non alterata chimicamente. Tutto cambia quando la si usa per essere trasformata – attraverso molteplici processi chimici e biologici – in combustibili, prodotti chimici e materiali da costruzione. Proprio nei materiali da costruzione, l’impiego dell’anidride carbonica “può essere basato su fattori puramente commerciali, poiché fornisce un prodotto con prestazioni superiori e costi inferiori rispetto ai materiali da costruzione prodotti in modo convenzionale”, specifica ancora IEA. A questo proposito la società canadese Carbicrete ha sviluppato un metodo per sequestrare il carbonio nel calcestruzzo, sostenendo che il suo prodotto cattura più carbonio di quanto ne emetta. La tecnologia elimina la necessità di cemento a base di calcio, un ingrediente chiave nel calcestruzzo tradizionale che è responsabile di circa l’8% di tutte le emissioni globali di CO2. Invece del cemento, il sistema di Carbicrete combina scorie di scarto dell’industria siderurgica più il carbonio catturato dagli impianti industriali, altrimenti emesso in atmosfera, attraverso un processo noto come carbonatazione minerale. Altra importante società, sempre canadese è CarbonCure. Anch’essa ha messo a punto una tecnologia per l’industria del calcestruzzo che introduce CO₂ riciclata nel calcestruzzo fresco per ridurre la sua carbon footprint senza compromettere le prestazioni. Il progetto CO2OLHEAT e il ruolo della CO2 supercritica Altro modo per impiegare in maniera virtuosa l’anidride carbonica è nel settore industriale più energivoro. A questo ci lavora CO2OLHEAT, che intende liberare il potenziale del calore di scarto industriale e trasformarlo in elettricità attraverso cicli supercritici di CO2. Tale progetto affronta la sfida dell’efficienza energetica e la decarbonizzazione delle industrie energivore come chimica, acciaio, vetro, cemento, ceramica. Spiega ENEA che “l’utilizzo della sCO2 come fluido di lavoro consentirà lo sviluppo di centrali elettriche più compatte e meno complesse dal punto di vista impiantistico, con una possibile ampia diffusione della tecnologia” a tutto il settore industriale che può contare su ampi margini di recupero del calore di processo. Come illustra Eugenio Giacomazzi, responsabile Laboratorio ENEA di Ingegneria dei processi e dei sistemi per la decarbonizzazione energetica: “I cicli a sCO2 sono efficienti e flessibili, sia dal punto di vista dell’erogazione della potenza elettrica che del combustibile. Nel caso di configurazioni con ossi-combustione, vale dire con una combustione che utilizza ossigeno puro anziché aria, è possibile integrare anche un processo di cattura della CO2 a costi estremamente ridotti. In quest’ultima configurazione, gli impianti a sCO2 hanno un minimo impatto ambientale” L’impiego della CO2 supercritica (che definisce lo stato dell’anidride carbonica oltre la sua temperatura e pressione critica, ovvero 31 °C e 73,8 bar) può essere una soluzione efficace anche per l’accumulo dell’eccesso di produzione elettrica delle rinnovabili non programmabili, mediante stoccaggio termico a bassa temperatura (ghiaccio) e successiva riconversione termo-elettrica. Molto interessante è anche l’applicazione dei cicli a sCO2 con ossi-combustione per l’estrazione di gas naturale senza contaminazione di acqua e il contemporaneo confinamento geologico della CO2 catturata. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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