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In Italia sempre più spesso si parla di edifici verdi. E altrettanto spesso il confronto tra gli immobili green e quelli tradizionali si concentra sui costi. La certificazione di sostenibilità è un extra-costo? Chi ha cercato di dare una prima parziale risposta all’interrogativo che accompagna il lavoro degli operatori del settore è la ricerca che REbuild, la piattaforma dell’innovazione edilizia, e Cbre, la società internazionale di investimenti immobiliari, hanno condotto nel 2018, studio che è stato aggiornato in occasione dell’edizione milanese di REbuild dello scorso giugno. Si tratta di una ricerca che si concentra sul valore dell’edilizia sostenibile e sui benefici degli investimenti green nell’ambito dello sviluppo immobiliare. Thomas Miorin, presidente di Rebuild (foto ©Jacopo Salvi) «L’analisi che abbiamo condotto nel 2018 in collaborazione con Cbre e Gbci Europe – afferma Thomas Miorin, presidente di REbuild – ci ha confermato che la certificazione Leed aumenta il valore dell’asset dal 7 all’11%. Per avvalorare la tesi che sosteniamo da anni, ovvero che la sostenibilità non è un extra costo, ma un modo diverso di pensare allo sviluppo, abbiamo voluto promuovere una nuova ricerca, volta a calcolare il differenziale dei costi di un progetto Leed e la sua redditività». Grazie al database fornito da Cbre, l’aggiornamento dell’indagine del 2018 si è concentrato sul segmento degli edifici a uso terziario, esito di nuovi interventi e ristrutturazioni, ipotizzando che proprio questa tipologia di immobili, a differenza di altre, rappresenti un ambito capace di anticipare le tendenze future legate al mercato immobiliare nel suo insieme, soprattutto in ragione della sua esposizione a un contesto ampio e globale. Obiettivo dello studio era determinare se i costi degli investimenti immobiliari green fossero più rilevanti, ed eventualmente di quanto, rispetto a quelli sostenuti per edifici tradizionali, attraverso un’analisi comparativa dei rispettivi oneri di costruzione. La distinzione tra le due tipologie di investimento si è basata sulla certificazione Leed che, per il segmento terziario direzionale, rappresenta uno standard conosciuto e autorevole da developer e investitori anche nel nostro Paese. Estratto dalla pipeline dei nuovi investimenti immobiliari a Milano, il data base impiegato ha effettuato le proprie elaborazioni su 20 operazioni realizzate per poco meno di 400mila metri quadrati di superficie, una quota dunque significativa del mercato terziario milanese di fascia alta. Basti pensare che il dato complessivo su base annua ammonta a circa 180.000 metri quadrati e il volume prodotto negli ultimi undici anni conta circa 1,5 milioni metri quadrati. Il nuovo volto urbano di Milano (credits Coima) La ricerca ha classificato i casi per tipologia (nuova costruzione e ristrutturazione), localizzazione (il centro degli affari di Milano, il nuovo polo di Porta Nuova e le altre aree emergenti dello sviluppo terziario) e presenza o meno della certificazione Leed. «Le elaborazioni effettuate non evidenziano scarti statisticamente significativi tra i costi degli investimenti green e quelli non green – commenta Ezio Micelli, presidente dell’advisory board di REbuild -. Pur con le cautele di un campione che potrà crescere nel tempo, sembra possibile affermare che quando la progettazione internalizza la dimensione ambientale sin dall’inizio dello sviluppo immobiliare, i costi di costruzione possono essere considerati sostanzialmente analoghi tra immobili certificati ed edifici che non lo sono». I risultati della ricerca dello scorso anno avevano evidenziato una variazione statisticamente significativa dei valori reddituali e dei tempi di assorbimento dei beni immobili. «Alla luce della sintesi dei dati di ricavo, costo e assorbimento da parte del mercato – aggiunge Micelli – le simulazioni evidenziano un differenziale positivo di redditività degli investimenti green rispetto agli investimenti di carattere tradizionale». Secondo le analisi condotte da Gbc Europe, l’impatto di un edificio verde si può quantificare nel minor consumo di energia (-25%), nella riduzione delle emissioni di CO2 (-34%), nel minor impiego d’acqua (-11%) e nei minori costi di manutenzione (-19%). Lo stesso ente internazionale ha stilato la classifica delle prime 20 città europee per numero di certificazioni di edifici verdi: ai primi posti (in ordine alfabetico) troviamo Dublino, Francoforte, Helsinki, Londra, Milano, Monaco di Baviera, Stoccolma e Varsavia. Anche Oltreoceano si registra un forte interesse delle principali città statunitensi a ottenere la certificazione Leed degli edifici, tanto che la prima città al mondo ad aver riconosciuto il livello Platinum di certificazione è stata proprio Washington Dc, la capitale dello stato federale. In Europa, invece, la palma di prima arrivata è toccata a una città italiana: non un grande centro, ma un capoluogo di provincia: Savona. Che lo scorso anno ha ottenuto la certificazione Leed, di livello Gold. Sostenibilità, buona pianificazione e benessere sociale sono stati i principali indicatori (14 quelli in totale) che hanno permesso al capoluogo savonese di raggiungere questo importante risultato, oltre ovviamente alle buone performance per quanto concerne la raccolta differenziata dei rifiuti, i risparmi energetico e idrico, il welfare, la sicurezza e la formazione ecologica degli abitanti. Tra tutti gli indicatori presi in esame dal Green building council statunitense (Usgbc) e dal Green business certification Inc. (Gbci), ente che rilasciano il riconoscimento, spicca quello energetico e in particolare il modello messo a punto dall’università di Genova al campus universitario di Savona con la realizzazione della Smart polygeneration microgrid in combinazione con lo Smart energy building: un sistema in grado di bilanciare le generazioni e i carichi di energia ottenendo risparmi economici e di contenimento delle emissioni in atmosfera. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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