Cresce il mercato dell’efficienza energetica soprattutto nel residenziale

+8% nel 2016 per gli investimenti in efficienza energetica, con il residenziale che guida la classifica. Pompe di calore, illuminazione e superfici opache le soluzioni più adottate. Il mercato delle ESCo ancora troppo frammentato. La diffusione degli edifici NZEB in Italia.

Cresce il mercato dell'efficienza energetica soprattutto nel residenziale 1

Il 12 luglio sarà presentato a Milano l’Energy Efficiency Report, realizzato dall’Energy & Strategy Group che approfondisce, con il consueto approccio analitico, la filiera dell’efficienza energetica in Italia.

Vi proponiamo in anteprima i principali risultati del Rapporto, invitandovi ad iscrivervi alla presentazione del 12 luglio al Politecnico di Milano – Campus Bovisa, via Lambruschini 4, Edificio BL28 – Aula Magna Carassa Dadda.

Efficienza energetica in Italia

Il totale complessivo degli investimenti in efficienza energetica realizzato in Italia nel 2016 è stato pari a circa 6,13 miliardi di €. È interessante sottolineare come il trend degli ultimi 5 anni si sia mantenuto positivo, facendo registrare un CAGR del 12,5% e con una crescita che, dopo il “boom” del 2014 soprattutto dovuto al forte incremento degli investimenti nel comparto industriale, si è sostanzialmente stabilizzata su buoni livelli (+8% nel 2016 rispetto al 2015).

Il segmento residenziale continua a guidare la classifica degli investimenti (con ben il 53% del totale), seguito dal comparto industriale (nel complesso circa 2 miliardi di €, poco meno del 33%) e buon ultimo dal terziario (che comprende ad esempio la GDO, alberghi e tutti gli edifici ad uso uffici), che cuba per il 14% del totale degli investimenti.

Le soluzioni di efficienza energetica maggiormente adottate nel 2016 sono state le pompe di calore, l’illuminazione e le superfici opache, che da sole hanno «cubato» oltre il 50% degli investimenti complessivi del comparto. Gli investimenti in pompe di calore sono ammontati complessivamente a 1,17 mld €, mentre l’illuminazione e le superfici opache hanno fatto registrare investimenti pressoché identici pari a circa 1 mld €. La quasi totalità degli investimenti in queste tecnologie (oltre il 90% degli investimenti in pompe di calore, circa l’80% di quelli in superfici opache e poco più del 50% di quelli in illuminazione) è data da soluzioni installate in ambito residenziale.

Le soluzioni di efficienza energetica maggiormente adottate nel comparto industriale sono state invece gli impianti di cogenerazione ed i sistemi di combustione efficienti, che nel 2016 hanno cubato rispettivamente 586 mln € e 482 mln €.

Se si aggiungono a queste 5 tecnologie già citate le caldaie a condensazione e le chiusure vetrate (che nel 2016 hanno fatto registrare investimenti rispettivamente per 315 mln € e 280 mln €) si arriva a coprire l’80% degli investimenti complessivi del comparto.

Rispetto agli anni passati la crescita del comparto italiano dell’efficienza energetica si sta consolidando e ed è lecito quindi aspettarsi che il mercato stia ormai raggiungendo una fase di maturità, che potrebbe arrivare entro il prossimo quinquennio, attestandosi su un volume d’affari annuo di 8-10 mld €.
Il potenziale di mercato «atteso» nel periodo 2017-2020 per gli investimenti in efficienza energetica si attesta tra i 29,8 e i 34,4 mld €, con un volume d’affari medio annuo compreso tra i 7,5 e gli 8,6 mld €.

Il ruolo delle ESCo e la relazione con le Utility

Si è confermata nel 2016 una tendenza, anche nel comparto industriale e dei servizi, all’aumento della propensione al risparmio energetico, appare dunque assai utile comprendere il ruolo che le ESCo (Energy Service Companies) hanno giocato nel nostro Paese.

Nel corso del 2016 le ESCo certificate sono aumentate di quasi il 90%, passando dalle 144 società certificate al 31 dicembre 2015 alle 272 del 31 dicembre 2016. Inoltre di queste 272 ESCo, ben 45 sono nate dopo il 2012. Se si considera quindi la “natalità” di queste ESCo certificate, si può registrare un +20% di crescita del loro numero nell’ultimo quinquennio.

Grazie all’aumento di ESCo presenti sul mercato, i dipendenti impiegati da operatori specializzati in efficienza energetica sono cresciuti del 10% nell’ultimo quinquennio, raggiungendo nel 2016 oltre 7.300 unità. È vero tuttavia che, se si guarda ai valori medi, si è passati dai circa 30 addetti per impresa nel 2012 ai circa 27 addetti del 2016.
Nonostante l’aumento di numerosità degli operatori attivi, tra il 2012 e il 2016 i ricavi delle ESCo presenti nel mercato sono diminuiti del 10%, passando dai 3,4 mld del 2012 ai 3 mld del 2016.
Il calo è leggermente meno accentuato se si considera l’EBITDA, ossia la marginalità operativa lorda: in 4 anni l’EBITDA complessivo è diminuito di circa il 9%. Il calo è ancora maggiore se si guarda ai valori medi, con 1,8 mln € nel 2012 e 1,37 mln € nel 2016.
Se si considera l’EBT, ossia l’utile prima delle tasse e dopo aver soddisfatto il “servizio” del debito, il trend invece è crescente: nel 2012 l’EBT complessivo delle ESCo del campione si è attestato sui 147 mln €, mentre nel 2016 è stato di 170 mln €, facendo quindi registrare un +15%. Tale andamento, all’apparenza positivo e discordante da quelli precedentemente illustrati, è invece da ascriversi ad una diminuzione degli “investimenti” che le ESCo hanno fatto presso i clienti (coerente con i cali di ricavi ed EBITDA) e con il conseguente minore impatto di ammortamenti e soprattutto oneri finanziari per la quota parte di indebitamento. Paradossalmente, quindi, l’aumento della bottom line a fronte della riduzione dei ricavi, per questo tipo di imprese è il primo segnale di un rallentamento della loro “presa” sul mercato.

Il quadro che emerge non è quindi, ed è importante sottolinearlo, particolarmente positivo. La distribuzione dei dati economici riflette un mercato delle ESCo estremamente frammentato, caratterizzato principalmente da operatori di piccole dimensioni e con una bassa marginalità: nell’ultimo anno il 50% delle ESCo attive sul mercato ha fatto registrare un fatturato minore di 1,9 mln € e un EBT minore di 71.000 €.

Nel 2016 le ESCo hanno realizzato complessivamente investimenti per un controvalore di 836 mln €, pari ad una quota sul mercato totale di poco inferiore al 14%. In un anno le ESCo hanno guadagnato circa 3 punti percentuali, nel 2015 le ESCo detenevano l’11,6% del mercato.
Nel comparto industriale 1 € ogni 4 investiti in efficienza energetica è appannaggio delle ESCo, che nell’ultimo anno hanno visto incrementare la propria quota di mercato nel settore di circa 4 punti percentuali. Il «guadagno di terreno» compiuto dalle ESCo è ancora più accentuato nel settore terziario e degli uffici, ambito in cui gli operatori sono arrivati a detenere circa il 23% della quota di mercato, avendo realizzato investimenti per 200 mln € su un totale di 870 mln €.
Continuano a persistere notevoli difficoltà da parte delle ESCo nell’aggredire con efficacia il mercato residenziale: degli oltre 3,2 mld € investiti nel settore solamente poco più di 110 mln € sono appannaggio delle ESCo.

Se nel complesso è quindi ad oggi ancora minoritario – anche se con gradazioni molto diverse – in tutti i comparti il ruolo delle ESCo, è altrettanto importante sottolineare come l’offerta delle ESCo abbia dei caratteri di specificità molto pronunciati rispetto al totale del mercato.

È possibile investigare questa specificità guardando a due dimensioni:

  • il peso delle ESCo rispetto agli investimenti complessivi realizzati sul mercato per una determinata soluzione/tecnologia. Un’elevata quota di mercato (oltre il 40% del mercato complessivo come soglia) appannaggio delle ESCo sta a significare che queste rappresentano i principali operatori sul mercato della soluzione tecnologica in questione;
  • il peso di una determinata soluzione/tecnologia sul totale degli investimenti realizzati attraverso le ESCo. Se la tecnologia in questione contribuisce ad almeno il 15% del fatturato complessivo delle ESCo avrà una rilevanza strategica per le ESCO.

Sulla base delle due dimensioni sopra definite è possibile definire quindi quattro possibili quadranti rispetto ai quali valutare il posizionamento delle ESCo rispetto alla dimensione tecnologica.

La “vista” d’assieme è quella riportata in figura dove sono evidenziate le appartenenze ai diversi cluster.

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Ben 10 tecnologie (il 66% del campione delle tecnologie analizzate) rientrano nel cluster «common applications». Il quadro appare ancora più sconfortante se si concentra l’attenzione solamente sulle tecnologie applicabili in ambito building: delle 7 soluzioni ascrivibili a questo ambito la totalità, ad eccezione dell’illuminazione, è contenuta nel cluster «common applications» Inoltre, se si escludono gli energy building system, il posizionamento delle tecnologie è schiacciato verso l’origine degli assi della matrice, a conferma delle difficoltà che stanno incontrando le ESCo a proporre tali soluzioni sul mercato.

La soluzione tecnologica che sembra trainare lo sviluppo delle ESCo è la cogenerazione: questa è l’unica tecnologia che appartiene al cluster «killer applications». Le ESCo sono dei player importanti nel mercato della cogenerazione, detenendo una quota di mercato pari a circa il 40%, e al tempo stesso quasi il 30% degli investimenti delle ESCo proviene dall’implementazione di soluzioni questo tipo. Appare chiara l’importanza strategica che rappresenta per le ESCo in questo momento l’installazione di questo tipo di impianti.

Nel cluster «ESCo-trap applications» sono compresi esclusivamente gli interventi di efficientamento di impianti di illuminazione. Tali interventi «cubano» oltre il 20% degli investimenti totali, ma le ESCo riescono a intercettare solamente il 17% del mercato totale. Dato il notevole peso che hanno tali interventi nel fatturato delle ESCo la loro ridotta “presa” sul mercato – e la difficoltà
ad aggredire altri comparti con la medesima soluzione – potrebbe rappresentare un problema per le ESCo nel medio-lungo termine.

Nel cluster «ESCo-only applications» sono compresi interventi di ottimizzazione della refrigerazione, aria compressa e implementazione di SGE. Le ESCo sono i principali operatori sul mercato di tali soluzioni tecnologiche (detengono addirittura oltre il 70% della quota di mercato degli SGE), ma il peso ridotto che hanno queste soluzioni sugli investimenti delle ESCo sta ad indicare che si tratta di mercati dalle dimensioni limitate.

Un trend interessante cui si è dato ampio spazio nel Rapporto, riguarda l’aumento del “peso” delle utility nell’offerta di servizi di efficienza energetica. Delle 22 top utility del nostro Paese, ben 18 hanno al proprio interno una divisione o una business unit che si occupa di servizi di efficienza energetica.
Solo 4 imprese del campione risultano non avere al proprio interno una divisione che si occupa full time di efficienza energetica, valore in calo del 50% rispetto al 2012, a testimonianza di come il tema «efficienza energetica» si stia diffondendo e stia acquisendo importanza anche all’interno dell’utility.

È evidente che il fermento che ha visto la creazione di nuove ESCo dal 2012 al 2016 ha interessato, ed in maniera significativa, anche le utility. Se questo, da un lato, rappresenta un ulteriore segnale dell’interesse verso il mercato dei servizi di efficienza energetica, dall’altro lato, pone una seria questione circa la possibilità per il mercato di “sopportare” un incremento della competizione e soprattutto una diversificazione così spinta della tipologia di operatori.

Il primo spunto di approfondimento: i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile

Sono stati analizzati i comuni italiani con più di 100.000 abitanti (ossia 46 città al termine del 2016), rispetto ai quali si è valutato il livello di diffusione dei PAES ed il relativo stato di avanzamento.
Vista la natura eterogenea dei PAES, è importante sottolineare come l’analisi condotta si sia basata esclusivamente sugli interventi propri dell’ambito «efficienza energetica». In particolare, si è realizzata una mappatura dettagliata degli interventi di efficienza energetica previsti dal PAES negli ambiti di interesse individuati (edifici pubblici, pubblica illuminazione, settore terziario, settore residenziale, settore industriale) e delle azioni di policy, fornendo un quadro degli obblighi e incentivi in tema «efficienza energetica» inseriti nei PAES. La mappatura delle azioni è stata funzionale alla valutazione del reale livello di implementazione del PAES, indagando l’effettivo stato attuale di avanzamento degli interventi previsti nel PAES e dei corrispettivi investimenti erogati. Si rimanda ovviamente al testo del Rapporto per tutti i necessari approfondimenti.
Sempre nel Rapporto, al fine di rendere più concreta per il lettore l’analisi svolta sull’applicazione dei PAES nel nostro Paese, si è deciso di riportare il dettaglio di quattro casi: Torino, Milano, Palermo e Roma.

Oltre l’80% delle grandi città (38 città) ha aderito al Patto dei Sindaci e presentato un PAES. Il 63% delle città che hanno presentato un PAES è già nella fase di monitoraggio dei risultati e di queste un 16% ha già integrato nei propri obiettivi anche l’Adaptation, ossia la definizione delle azioni chiave per l’adattamento ai cambiamenti climatici.
I PAES delle 38 città del campione prevedevano di investire circa 4,9 mld €, realizzando circa 300 azioni. Attualmente – in media a 4 anni dall’ approvazione – sono state realizzate 144 azioni delle 300 previste (pari ad una quota di completamento del 48%) e se si analizzano gli investimenti la situazione è ancora meno “brillante”: allo stato attuale infatti si sono registrati investimenti per 1,1 mld €, solo il 23% della quota totale prevista al momento della redazione dei PAES.

Nel seguente grafico sono riportate le percentuali di avanzamento di investimenti e azioni per le 38 città del campione che hanno presentato il PAES e si è riportata – usando una metafora da gara “ciclistica” – la distribuzione delle diverse città con riferimento al livello di effettiva implementazione.

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Nella categoria «Gruppo di testa» ricadono le città che hanno dimostrato una grande attenzione agli interventi di efficientamento energetico inseriti all’interno del documento, con un approccio strutturato e organico che ha reso il PAES un vero e proprio strumento di pianificazione e programmazione per le politiche ambientali della città. Le città di tale cluster presentano un livello di completamento (sia in ambito azioni che investimenti) superiore al 70%. Le sole tre città «virtuose» che sono presenti in questo cluster sono tutte del Nord Italia (Milano, Torino e Verona).
La categoria «Gruppo degli inseguitori» include poi tutte quelle città che hanno dimostrato una partecipazione attiva con il raggiungimento di livelli medi per quanto riguarda lo stato di avanzamento del PAES. Si tratta di città con una certa sensibilità nei confronti dell’efficienza energetica ma non così affermata come nel caso delle città del precedente gruppo. In tale cluster rientra circa il 37% del campione (14 città). La distribuzione geografica delle città appartenenti a questo cluster è eterogenea, senza trend caratteristici.
Nella categoria «Ritardatari» sono presenti le città caratterizzate da un numero di azioni completate inferiore al 50% rispetto a quelle previste e un ammontare di investimenti realizzati inferiore al 30% di quelli originariamente previsti nel PAES. Le città presenti in questo cluster manifestano un approccio non coordinato, realizzando solamente alcuni interventi spot. In tale cluster rientra il 55% del campione (21 città). Anche in questo caso non si hanno differenziazioni sulla base della localizzazione geografica delle città.

I buoni “numeri” sull’adesione ai PAES si ridimensionano notevolmente mano a mano che l’analisi prosegue ed emerge una visione certo meno ottimistica su come la PA italiana si stia approcciando alla questione dell’efficienza, prediligendo all’implementazione di pochi interventi strutturati ma anche più dispendiosi dal punto di vista finanziario la realizzazione di numerose azioni non capital intensive.
Gli interventi realizzati, infatti, non si concentrano su determinati settori ma tipicamente le azioni vengono portate avanti in modo parallelo, concedendo in ogni caso la priorità agli investimenti di entità minore. Restano troppo spesso esclusi gli interventi di natura “strutturale” e che hanno un impatto sui consumi che va oltre la ”bolletta” energetica della sola PA.
La “propensione” dei comuni italiani verso i PAES quindi sembra essere per il momento più “di facciata” senza quindi aggredire in maniera decisa il problema dell’efficientamento energetico. La mancanza di fondi e la ridotta diffusione di meccanismi virtuosi di finanziamento quali i PPP (partenariati pubblico-privati) sono alla base di questa situazione. È tuttavia interessante sottolineare il fatto che – almeno sulla “carta” – vi sia nel nostro Paese una pianificazione piuttosto capillare ed estesa di interventi di efficientamento energetico che è quindi un patrimonio importante da cui partire.

La valutazione del livello di diffusione all’interno del sistema industriale del nostro Paese della «cultura» dell’efficienza energetica

L’indagine è stata svolta grazie alla somministrazione di un questionario anonimo all’energy manager, ove presente, o al management dell’impresa in tutti gli altri casi.
Tra il gennaio e il maggio 2017, il questionario è stato diffuso tra gli oltre 700 energy manager dichiarati dalla Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia (FIRE) e tra gli associati delle associazioni di Categoria ASSOEGE, ANIMA, ANIE, ottenendo 183 risposte che vanno a costituire il campione di indagine utilizzato per la survey di cui si dà conto in questo capitolo.
Un’indagine analoga era stata già realizzata nel 2012 ed i risultati pubblicati nell’Energy Efficiency Report 2012. Anche in questo caso lo strumento di indagine era costituito da un questionario, somministrato ad un campione significativo di imprese italiane (115 risposte elaborate). I campioni di analisi ovviamente differiscono nella loro composizione, ma, essendo entrambi rappresentativi il comparto industriale, è possibile fornire una valutazione su come si sia evoluta nel corso dell’ultimo quinquennio la propensione verso l’efficienza energetica nelle imprese italiane.

Nel comparto industriale italiano emerge una significativa attenzione al tema dell’efficienza energetica, dovuta in primis alla diffusione dello strumento degli audit energetici (l’introduzione dell’obbligo di diagnosi energetica per i soggetti grandi e per quelli energivori ha sicuramente favorito di sensibilità sul tema efficienza energetica di tutto il comparto industriale).
Inoltre si sta diffondendo all’interno degli organigrammi aziendali la figura dell’Energy Manager, facendo registrare l’«istituzionalizzazione» di un ruolo organizzativo ad hoc per la gestione dell’energia. Il tema dell’efficienza energetica sta diventando quindi sempre più rilevante all’interno dell’organizzazione aziendale.

7 imprese su 10 hanno realizzato progetti di efficienza energetica nell’ultimo anno e la maggior parte di queste dichiara di avere incrementato i propri investimenti in tale ambito.
Oggi gli interventi di efficienza energetica stanno gradualmente assumendo un ruolo strategico per lo sviluppo dell’impresa e il consumo energetico sta divenendo un driver di valutazione della vita utile residua di un asset.
Inoltre negli ultimi 5 anni è aumentata notevolmente l’attenzione da parte degli operatori industriali verso la misura ed il controllo dei consumi energetici ed emerge un chiaro trend, soprattutto tra i soggetti energivori, verso l’adozione di approcci all’efficienza energetica sempre più strutturati e organici.

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Rimangono tuttavia ancora delle ombre: gli eccessivi tempi di ritorno degli investimenti rappresentano una barriera alla realizzazione di interventi per l’80% degli operatori, a cui si aggiungono criticità relative all’incertezza del quadro normativo, all’interazione tra il processo produttivo esistente e la nuova soluzione tecnologica e alla difficoltà di accesso al credito (quest’ultima indicata principalmente dalle PMI).

Quasi l’80% delle imprese che ha sostenuto investimenti in efficienza energetica nel corso del 2016 ha realizzato gli interventi internamente.
Nelle PMI questo è legato soprattutto ad una diffidenza piuttosto radicata verso i soggetti esterni e alla volontà di proteggere il know how critico. Per le grandi imprese invece la scelta di realizzare internamente tali interventi è legata principalmente ad una logica di risparmio dei costi. Inoltre la quasi totalità del comparto industriale lamenta una certa inadeguatezza nelle competenze tecniche dei soggetti esterni che si potrebbero occupare della realizzazione di interventi di efficienza energetica.

Il terzo spunto di approfondimento: la diffusione degli edifici NZEB in Italia

Il totale degli edifici residenziali registrati in Italia è di circa 12,1 milioni, cui si aggiungono 1,5 milioni di edifici non residenziali tra cui (quasi 300.000 ad uso produttivo e 250.000 con destinazione commerciale). Il 74% degli edifici residenziali italiani è stato costruito prima degli anni ’80 ed appena il 32% degli edifici residenziali risulta essere in uno stato di conservazione ‘’ottimo’’.
La maggior parte degli edifici in Italia è costituito da abitazioni mono o bifamiliari, segno di una edificazione diffusa. Gli edifici con almeno 9 abitazioni (che è possibile definire quindi condomini, si veda anche il box) rappresentano meno del 4% del totale.

Il numero di edifici nZEB oggi in Italia è compreso tra “solo” 650 e 850 unità, di cui circa il 93% edifici residenziali.
L’attenzione verso gli ‘’Edifici ad energia quasi zero’’ ha poi una chiara focalizzazione territoriale: appena 3 regioni (Trentino Alto Adige, Lombardia e in misura minora Veneto) mostrano i primi segni del fenomeno.

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È emblematico il caso della Lombardia per cui, nonostante sia stato anticipato l’obbligo (sia per le pubbliche amministrazioni che non) al 1° gennaio 2016, gli edifici nZEB costruiti a partire da tale data rappresentano solo il 3% sul totale.

Ma quali sono i motivi di questa scarsa diffusione? Sono di natura tecnica o economica?
Il Rapporto affronta nel dettaglio – ed anche attraverso la discussione di casi reali di edifici nZEB – il tema. Qui è possibile riprendere per brevità solo le conclusioni dello studio.

Anche se alcune soluzioni tecnologiche rappresentano una «costante» di tutti di tutti i progetti analizzati (presenza di serramenti ad alte prestazioni, ventilazione meccanica con recupero di calore per la qualità dell’aria e pannelli fotovoltaici), è evidente come non esista un’unica ”ricetta” per la realizzazione degli nZEB, ma prevalga la combinazione di diverse tecnologie anche sulla base delle specificità climatiche dell’intervento.

Il fabbisogno di energia termica è soddisfatto generalmente tramite l’installazione di pompe di calore (ove possibile geotermiche) o impianti solare termici per la produzione di ACS. Il fabbisogno elettrico è invece soddisfatto nella totalità dei progetti analizzati dall’installazione di un impianto fotovoltaico. Tale impianto è accoppiato alla batteria solamente in uno dei casi analizzati.

Le soluzioni implementate per gli edifici residenziali sono piuttosto standard, seppure il progettista ha piena libertà nella scelta della stratigrafia dell’involucro e della tipologia di pompa di calore da utilizzare. Non manca inoltre l’implementazione di soluzioni innovative, come ad esempio il riciclo dell’acqua piovana (grazie ad avanzati impianti di domotica ed alla fitodepurazione) o l’installazione di ascensori con recupero di energia, ed una attenzione all’isolamento acustico.

Se è vero, però, che le soluzioni tecnologiche sono disponibili è altrettanto vero che il risparmio energetico “aggiuntivo” (rispetto ad una soluzione “standard” di efficienza energetica) difficilmente permette tempi di rientro “brevi” per l’investimento.
La ridotta diffusione degli nZEB in Italia e la caratterizzazione “sperimentale” dei casi analizzati mette in evidenza la barriera principale alla sua adozione, ossia la sostenibilità economica.

Per dare evidenza di questa considerazione è possibile comparare i costi di realizzazione degli edifici nZEB rispetto al costo di edifici di nuova costruzione di classe A.

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Nonostante gli importanti benefici in termini di consumi energetici, emerge chiaramente come allo stato attuale gli edifici nZEB non presentino tempi di ritorno accettabili: per gli edifici ad uso ufficio il Pay Back Time è compreso tra 30 e 40 anni, per una villetta residenziale e un edificio residenziale pluripiano il PBT è addirittura oltre la vita utile dell’edificio.
L’extra costo di costruzione degli edifici nZEB, dovuto principalmente ad un maggiore isolamento termico, all’installazione di serramenti più efficienti ed all’implementazione di impianti a fonti rinnovabili, rende tale paradigma ancora lontano dal poter essere definito economicamente conveniente e solo una tipologia di edifici tra quelle analizzate (gli uffici) presenta un tempo di ritorno dell’investimento minore della vita utile dell’edificio.

La diffusione degli edifici nZEB può arrivare o da un obbligo normativo (anche se come visto andrebbe “rafforzata” la cogenza della sua implementazione, giacché laddove è già in essere nel nostro Paese non pare aver dato i risultati sperati), in qualche modo riconoscendo la funzione “sociale” ed ”ambientale” dell’efficienza energetica associata al patrimonio edilizio, oppure – e forse ancora meglio – da una sensibilità del prezzo del mercato immobiliare alla caratterizzazione come nZEB?

Già oggi, ad esempio, anche se è spesso difficile isolare il contributo della “sola” efficienza energetica rispetto più in generale alle finiture e alle caratteristiche costruttive, un edificio di classe A presenta un valore di mercato significativamente superiore ad un edificio di classe G (tra i 420 ed i 550 € al mq in più).
Usando i tre casi visti, si è calcolato il differenziale di valore che il mercato dovrebbe riconoscere ad un edificio nZEB rispetto ad un edificio di classe energetica A affinché l’nZEB diventi economicamente ‘’conveniente’’, ossia abbia un ritorno economico inferiore ai 20 anni.
Il differenziale di valore che dovrebbe essere associato agli nZEB è compreso tra i 50 e 110 €/m2 per gli uffici e tra 150 e 200 €/m2 per una villetta e per un edificio residenziale pluripiano.
Se si considera il prezzo medio di acquisto di un appartamento in una media o grande città italiana, ci si rende conto del fatto che il differenziale di valore rientra in un range tra il 3 ed il 5%, e arriva al 6-10% per una villetta residenziale fuori città.
Differenziali di valore quindi non impossibili da raggiungere – soprattutto se ci si attende un periodo di “ripresa” del mercato dell’edilizia (di cui le prime avvisaglie sono già presenti) – ma che richiedono un incremento della consapevolezza da parte degli attori del mercato e soprattutto dei clienti “finali” del valore dell’efficienza energetica.
Un aumento di consapevolezza – se si guarda allo stato del patrimonio edilizio da cui siamo partiti – che richiede però uno sforzo assai significativo, a partire anche da chi ha il compito di formare gli individui.

I Titoli di Efficienza Energetica: il Bilancio per il Sistema Paese

Il 4 aprile 2017 è entrato in vigore il Decreto del Ministero dello sviluppo economico dell’11 gennaio 2017 di determinazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione dell’energia elettrica e il gas per gli anni dal 2017 al 2020 e per l’approvazione delle nuove Linee Guida per la preparazione, l’esecuzione e la valutazione dei progetti di efficienza energetica.
Quale momento migliore quindi per analizzare il “bilancio” dei Titoli di Efficienza Energetica dal 2006 al 2016.

Complessivamente, dal momento della loro attivazione, sono stati riconosciuti 41,7 milioni di TEE, corrispondenti a 23,8 Mtep di risparmio energetico. Se lo si guarda quindi con questa prospettiva, l’anno 2016 ha «pesato» per il 13% del totale del totale dei titoli emessi, mostrando comunque un trend crescente nell’utilizzo del meccanismo.
Gli interventi più rappresentativi dell’orizzonte 2006-2016 sono stati indubbiamente gli interventi di generazione e recupero di calore per raffreddamento, essicazione, cottura e fusione (circa il 31% dei TEE totali concessi), seguiti dall’ottimizzazione energetica dei processi produttivi e dei layout di impianti (13%) e dall’installazione di lampade fluorescenti compatte (9%). Rispetto quindi alla «fotografia» del 2016 si conferma la tendenza della categoria IND-T ad assumere un «peso» significativo tra gli interventi incentivati dai TEE.
Nel corso dell’anno 2016 sono state presentate, nell’ambito del meccanismo dei Certificati Bianchi, 11.709 Richieste di Verifica e Certificazioni (RVC) relative sia a nuovi progetti che a rendicontazioni successive e 815 Proposte di Progetto e di Programma di Misura (PPPM). Il valore complessivo è quindi pari a 12.524 richieste (+6% rispetto al 2015)

Il modello di analisi che è stato sviluppato, e che è descritto puntualmente nel Rapporto, è piuttosto complesso ed articolato, ma si può riassumere efficacemente nella tabella di seguito, che mostra il beneficio netto per i diversi attori e per il sistema-Paese connesso al meccanismo dei TEE.

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Dall’analisi emerge che gli attori che hanno principalmente beneficiato del meccanismo sono gli attori della filiera italiana dell’efficienza energetica e le utenze energetiche, che hanno ottenuto un beneficio netto rispettivamente pari a 3,7 e 4,9 mld €.
Gli attori che invece registrano un “saldo” negativo sono lo Stato e le Utility, rispettivamente pari a -1,4 e -5,1 mld €.
Dal punto di vista del sistema-Paese nel suo complesso, il meccanismo dei Titoli di Efficienza Energetica ha generato un beneficio netto pari ad oltre 2,1 mld € dalla sua entrata in vigore, corrispondente a circa 50 € per ogni TEE emesso.
Complessivamente quindi si può affermare che lo Stato, introducendo il meccanismo dei TEE, abbia svolto una funzione di «redistributore» e «attivatore» del sistema economico, permettendo, a fronte di un saldo negativo per se stesso e per le utility, la creazione di una filiera nazionale dell’efficienza energetica.
Provocatoriamente ci si potrebbe chiedere se si sarebbero registrati gli stessi benefici qualora non ci fossero stati gli esborsi dello stato legati al meccanismo dei TEE. La risposta non è sicuramente semplice, ma appare evidente come il meccanismo dei TEE abbia avuto un impatto molto forte nella diffusione della cultura dell’efficienza nel tessuto industriale. In particolare, l’introduzione dei TEE ha permesso di ridurre i tempi di ritorno degli investimenti che è una delle principali barriere che ostacolano la realizzazione di investimenti in efficienza energetica.

La filiera dell’efficienza energetica in Italia

Presentazione Energy Efficiency Report 2017

12 luglio 2017 – ore 9.30
Politecnico di Milano – Campus Bovisa, via Lambruschini 4, Edificio BL28 – Aula Magna Carassa Dadda

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