Advertisement Advertisement



Rinnovabili in ritardo: quali sono gli ostacoli alla transizione energetica

Fotovoltaico, eolico ed energy storage, in Italia scontano ritardi autorizzativi che bloccano migliaia di opere, con perdite pesanti per il settore e un ritardo per la transizione energetica

A cura di:

Rinnovabili in ritardo: quali sono gli ostacoli alla transizione energetica

È bene ricordare quanti siano gli impianti rinnovabili in ritardo in Italia. «Oggi si contano circa 1300 impianti fotovoltaici e 120 di energy storage fermi al MASE», risponde Raffaello Giacchetti, presidente dell’associazione GIS – Gruppo impianti solari*.

Raffaello Giacchetti, presidente dell’associazione GIS – Gruppo impianti solari*.Secondo lo stesso, “i ritardi negli iter autorizzativi rischiano di causare un danno erariale potenzialmente ingestibile”.

Alcuni iscritti all’associazione sono pronti a chiedere al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica la restituzione di decine di migliaia di euro, versati a titolo di onere, in quanto l’iter autorizzativo di altrettanti impianti fotovoltaici procede troppo a rilento.

Gli associati di GIS, si legge in una nota, intendono muoversi in questa direzione perché ne hanno diritto, in base al decreto legislativo 152 del 3 aprile 2006, come modificato con provvedimento dell’8 dicembre 2022.

La stessa associazione ricorda che:

“l’articolo 25 comma 2-ter di questo decreto stabilisce che, nel caso in cui non siano rispettati i termini per la conclusione del procedimento di VIA, il proponente ha diritto a riavere indietro il 50% dei cosiddetti ‘diritti di istruttoria’, a loro volta pari allo 0,5 per mille del valore del progetto”.

La situazione segnalata da GIS, e sollevata da tempo da diverse associazioni di settore, mette in rilievo come le rinnovabili siano al palo. Malgrado si stia muovendo qualcosa, c’è una situazione di sostanziale stallo che rischia di inficiare investimenti e la possibilità di raggiungere la transizione energetica.

Rinnovabili: i numeri del ritardo in Italia

Giovanni Sicari, avvocato e portavoce di GISLe rinnovabili sono in ritardo clamoroso. Ai numeri esposti da Giacchetti si aggiungono quelli evidenziati da Giovanni Sicari, avvocato e portavoce di GIS.

Al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, «stanno cominciando solo ad aprire i fascicoli delle istanze di Valutazione di Impatto Ambientale giunte nel secondo semestre 2022. A questo ritardo si aggiunge la crescita verticale di richieste. Manca la verifica di pratiche pervenute da giugno-dicembre 2022 a tutto il 2023. Quindi, per esaurire le pratiche, ci vorranno anni».

Al danno sopraggiunge la beffa: per la procedibilità, ovvero per la semplice verifica che nel fascicolo siano presenti i documenti che poi serviranno per analizzare il progetto, anziché giorni ci vogliono mesi.

«È un passaggio importante perché se un progetto ha la procedibilità, le modifiche normative successive non si applicheranno a quel procedimento», sottolinea il portavoce GIS.

Per quanto riguarda i tempi essi dovrebbero variare, a seconda delle situazioni, da 5 a 30 giorni. Questa però è la teoria. Nella pratica, come ricordano i due rappresentanti GIS, per ottenerla oggi ci vogliono mesi, sottoponendo il progetto a rischi sensibili, in caso di variazioni normative.

Rinnovabili: i numeri del ritardo in Italia

Il numero dei procedimenti fermi cresce in maniera ancora più preoccupante se si considerano anche i procedimenti regionali.

«Solo in Sicilia, per esempio, l’80% dei procedimenti unici regionali, quindi VIA e autorizzazione unica, avviati ad agosto del 2021 non ha ancora ottenuto l’approvazione. Queste pratiche sfuggono all’analisi dello Stato in quanto sono regionali, legati alla vecchia normativa. Si tratta di impianti spesso anche di potenze importanti. Anche nel caso del PAS (Procedimento autorizzativo semplificato), per impianti fino a 10 MW su suolo agricolo e fino a 20 MW su suolo industriale, sono numerosissime le pratiche ferme, ma sfuggono a qualsiasi indagine». La maggior parte dei progetti è bloccato «perché i Comuni non sono attrezzati a rilasciare la PAS – ricordano ancora Giacchetti e Sicari –. Ci sarebbe il silenzio a senso entro 30 giorni dal deposito, però il Comune dovrebbe emanare una presa d’atto dichiarante che sia maturato il silenzio assenso (peraltro non sempre il silenzio assenso può maturare e, altre volte, non sarebbe comunque utile perché il proponente ha necessità di provvedimenti espressi ai fini dell’esproprio). I Comuni non lo riescono neanche a fare. Quindi la situazione di ritardo evidente è solo la punta dell’iceberg».

I dati che certificano il ritardo non mancano, a partire dai dati Terna e dal confronto tra le istanze di connessione, i progetti benestariati e l’entrata in esercizio. «In Italia si contano 300 GW di richieste STMG (Soluzione Tecnica Minima Generale, ovvero il documento che riassume come ci si allaccerà alla rete esistente – nda), e solo 3,7 GW all’anno di impianti allacciati. Ciò vuole dire che solo un centesimo di quello che è stato avviato arriva al termine ogni anno».

Rinnovabili in ritardo: di chi è la colpa

Le pubbliche amministrazioni sono palesemente in ritardo. Tornando ai progetti ricordati all’inizio, il problema all’origine dei ritardi parte dal fatto che la richiesta si possa fare solo al MASE, non alle regioni né le province, dove si avvia la pratica autorizzativa. «La legge stabilisce che, per snellire i tempi, il proponente, quando presenta un progetto per la Valutazione di Impatto Ambientale al Ministero, può anche farlo presso l’ente autorizzante, ovvero Regioni e Province. Esse possono, in attesa della VIA, convocare la Conferenza dei Servizi e acquisire tutti quei pareri che confluiscono all’interno della relazione di impatto ambientale (Asl, demanio ecc.). Malgrado la legge richieda agli Enti preposti di compiere questi passi, essi non aprono neppure il fascicolo. Così, malgrado la legge per la semplificazione sia nata appunto per snellire la procedura, si sono creati rallentamenti importanti», segnala Sicari.

Rinnovabili in ritardo: di chi è la colpa

Così si arriva a tempistiche incompatibili con la necessità di arrivare alla tanto decantata transizione energetica. Lo stesso presidente GIS ricorda che per ottenere una VIA si deve attendere anche due anni. «A questi si aggiungono altri due anni per attendere il responso dell’ente autorizzante: così, per autorizzare un impianto, ci vogliono almeno 4 anni».

Terminato questo percorso, inizia il “calvario giudiziario” causato dalle eventuali opposizioni «con tanto di ricorsi presso i Tar e il Consiglio di Stato, che possono allungare i tempi di altri 3-4 anni», segnala Giacchetti. L’ultimo episodio di ostacolo allo sviluppo delle rinnovabili vede direttamente coinvolto Vittorio Sgarbi. Ha annunciato che andrà alla Procura di Viterbo per denunciare «una grave violazione dell’articolo 9 della Costituzione» e chiedere che venga impedita la distruzione del paesaggio della Tuscia da Tuscania a Montalto, attraverso la realizzazione di impianti fotovoltaici.

Sono svariati gli esempi – ricordati da Giacchetti e da Sicari – di chi ha dovuto attendere anche cinque anni per avviare la costruzione di un impianto fotovoltaico utility scale.

«Se in Italia ogni Comune dedicasse in media il 3% del proprio territorio all’installazione di impianti FER, noi produrremo ben più di quello richiesto dall’Unione Europea in termini di conversione green del fabbisogno energetico. Secondo Coldiretti, potrebbe essere sufficiente coprire stalle, capannoni e altri edifici agricoli, evitando i terreni agricoli: non è così», evidenzia ancora Giacchetti.

Le perdite per chi decide di investire sulle rinnovabili

A questo punto occorre comprendere a quanto ammontano le perdite e i mancati guadagni degli imprenditori per la mancata realizzazione degli impianti fotovoltaici.

Secondo l’avvocato e portavoce di GIS, «al prezzo attuale dell’energia, un impianto tra gli 80 e i 100 MWp, ci sono mancati guadagni, ossia un lucro cessante, per 100mila euro al giorno. La perdita, o danno emergente, è collegata a quanto speso per avviare il progetto (progettazione e in generale costi dei professionisti, contrattualizzazione dei diritti reali ecc.), alla necessità di prolungare la durata dei preliminari, di tenere immobilizzate le somme che paghiamo alle pubbliche amministrazioni per avviare i procedimenti, cioè il denaro da versare al MASE per la VIA e alle provincie o alle regioni per l’autorizzazione unica. Parliamo, per impianti di questo tipo, di circa due milioni a progetto. Questa somma comprende anche gli emolumenti necessari per pagare le STMG».

Il Decreto Aree idonee: chi l’ha visto?

C’è poi un altro elemento che si aggiunge nel capitolo delle rinnovabili in ritardo: l’attesa del provvedimento attuativo Decreto “Aree idonee”. «A oggi l’articolo 20 del D.lgs. 199/2021 delinea quali sono le are idonee e non, in attesa che venga emanato il decreto del MASE che illustri quali siano e dove. Sono due anni che il mondo delle rinnovabili lo attende. Le Regioni sono andate in ordine sparso e hanno emanato delle regole regionali che, quasi sempre, sono in conflitto con la legge nazionale, ma le Regioni affermano che è il MASE a essere inadempiente. Il Ministero, a sua volta, si lamenta perché, a suo parere, sono le Regioni a bloccare l’emanazione del decreto attuativo: essendo un decreto che incide su di esse, la bozza di decreto deve essere approvata dalla Conferenza Stato-Regioni».

L’approvazione del decreto sarebbe dovuta arrivare dalle Regioni dopo le elezioni regionali in Sardegna. Tuttavia, non si ha ancora notizia.

«Oggi il decreto attuativo non c’è, abbiamo delle regole nazionali disattese dalle Regioni e se viene approvata l’ultima bozza apparsa qualche settimana fa, sono dell’opinione che i fondi di investimento se ne andranno dall’Italia – rileva Sicari –. Per fare un esempio: se fosse prevista una regola che stabilisce dei vincoli proporzionali tra quanto terreno agricolo si ha e quanto se ne può utilizzare a fini fotovoltaici o agrivoltaici, sarebbe catastrofico. Se per produrre 100 MW è possibile contare su tecnologia in grado di rendere sufficienti 100 ettari e al di sotto si continua a svolgere attività agricola o silvo pastorale, perché si dovrebbe possedere una porzione dieci volte superiore di terreno? Il rischio è che nessuno potrà più fare fotovoltaico in quanto non è in grado di comprare ai prezzi attuali mille ettari per fare 100 MW. Questo è solo un esempio, ma in altri nostri interventi abbiamo affrontato organicamente le carenze delle varie bozze di decreto susseguite in questi mesi. E ce ne sono di ancora più gravi».

Gli esponenti GIS ricordano, inoltre, che gli impianti prossimi ad aree di pregio o che riguardano aree di pregio (Dop, Doc, Igp), nelle varie bozze sono genericamente indicate come non idonee, malgrado si possa continuare a produrre con l’agrivoltaico. Peraltro, ci sono regioni intere d’Italia classificate per tutto il loro territorio come Dop, Doc o Igp e ci si chiede come si farà in quel caso. «Ci sono, quindi, delle norme obiettivamente poco calate nella realtà».

Si punta ai rimborsi, ma la strada è irta di ostacoli

Così si è arrivati alla situazione di oggi con alcuni associati GIS che intendono presentare dei ricorsi al Tar per far sì che gli enti inadempienti adempiano ai loro obblighi di legge, pena il commissariamento da parte del Tar. Il problema non riguarda solo chi intende sviluppare il fotovoltaico, o l’eolico, ma anche chi intende sviluppare soluzioni di accumulo per i quali le somme in gioco sono decisamente più elevate.

«Il rimborso per le VIA in ritardo dà una tregua alle casse dell’azienda richiedente, ma mette sotto pressione le casse statali, creando un danno erariale nei confronti dello Stato – commenta il presidente del Gruppo Impianti Solari –. Quindi, alla fine chi paga siamo tutti noi».

Un’ulteriore lacuna, sempre a proposito di rinnovabili e ritardo, è legata alla carenza di personale delegato alle pratiche. «Gli uffici preposti sono fortemente sotto dimensionati. Solo per dire: a occuparsi di batterie per energy storage in tutta Italia si contavano fino a un anno fa solo due persone e oggi sono in quattro. Per quanto possano essere competenti, non possono espletare più di 30 pratiche all’anno. Da qui si evidenzia un sensibile collo di bottiglia. Piuttosto che fare proclami e ridurre i termini autorizzativi a colpi di decreto e in perenne clima elettorale, per poi far fare allo Stato questa figura imbarazzante di fronte agli investitori esteri, con i procedimenti fermi anni, si dovrebbe invece assumere personale, investire nella sua formazione, determinare un quadro normativo condiviso trasversalmente, per poi mantenerlo nel tempo. Non ci aspettiamo scelte coraggiose e lungimiranti, che sono sempre portatrici di pochi voti, ma almeno un po’ di coerenza non guasterebbe».

* GIS – Gruppo impianti solari è un’associazione nata per monitorare e supervisionare lo sviluppo e la costruzione di impianti fotovoltaici secondo standard ambientali, paesaggistici/archeologici ed etici (ESG) di massimo livello.

Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici

Commenta questo approfondimento



Tema Tecnico

Le ultime notizie sull’argomento



Secured By miniOrange