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Il 26 gennaio Milano ospita la presentazione dell’E-Mobility Report realizzato dall’Energy & Strategy Group che approfondisce, con il consueto approccio analitico, le opportunità ed i modelli di business per lo sviluppo della mobilità elettrica in Italia. Vi proponiamo in anteprima i principali risultati del Rapporto, invitandovi ad iscrivervi alla presentazione del 26 gennaio al Politecnico di Milano (Campus Bovisa Aula Magna Carassa D’Adda). Il mercato della mobilità elettrica Da gennaio a settembre 2016 sono state vendute complessivamente circa 518.000 auto elettriche (sia BEV, ossia i modelli full electric, che PHEV, ossia i modelli ibridi plug-in), il 53% in più rispetto ai primi 3 trimestri del 2015 (in tutto il 2015 sono state vendute poco più di 550.000 unità). La crescita è ancora più accentuata se paragonata al 2014, anno in cui complessivamente sono state vendute 317.000 auto elettriche. Guardando agli ultimi dati di mercato è possibile quindi stimare un dato di chiusura 2016 attorno alle 800.000 auto elettriche, in crescita di circa il 40% rispetto all’anno precedente, con una prevalenza sempre più significativa dei veicoli “full electric” (BEV), il 63% del totale, in crescita rispetto al dato del 2015, 60%. La Cina è il più grande mercato mondiale , con 225.000 autovetture elettriche vendute nei primi 3 trimestri 2016 e con un’impressionate crescita del 118% rispetto ai primi 3 trimestri del 2015. Anche per gli Stati Uniti (109.000 unità vendute, + 33% rispetto al 2015) e per l’Europa (51.000 unità, + 24%) i dati di vendita di vetture elettriche sono piuttosto incoraggianti. Per quanto riguarda il nostro continente, quasi 1 veicolo europeo su 4 è olandese. Il secondo mercato per i veicoli elettrici è la Norvegia, che rappresenta da sola circa il 18% del totale. Francia, Regno Unito, Germania, hanno “pesi” molto simili, rispettivamente il 12%, il 14% e il 12% del mercato delle auto elettriche europeo. A livello globale alla fine del 2016 sono circa 50 i modelli di 15 case automobilistiche a contendersi il mercato. Se si guarda alla classifica di vendita – per modello di auto – la Nissan Leaf è la macchina elettrica (non a caso un BEV) più venduta nel mondo grazie al grande successo che ha ottenuto in Europa e negli Stati Uniti. La Model S di Tesla, nonostante le sue caratteristiche di fascia alta (e il suo prezzo elevato), è la seconda auto elettrica più venduta al mondo e possiede una quota di mercato significativa (di poco superiore al 7%). Interessante poi l’entrata sul mercato di case automobilistiche cinesi, in particolare la BYD Auto, che con i suoi modelli di punta copre quasi il 10% del mercato globale. Sul mercato europeo sono circa 20 i modelli BEV disponibili, prodotti da 12 differenti player. L’evoluzione dell’offerta attesa merita qualche approfondimento Entro dicembre 2020 entreranno nel mercato della mobilità elettrica altre 4 case automobilistiche (Honda, Opel, Porsche ed Audi) e l’offerta di modelli arriverà quasi a triplicarsi: si prevede saranno presenti sul mercato 54 modelli BEV. E’ interessante sottolineare tuttavia che la prevista evoluzione del numero dei modelli e dei segmenti coperti dalla disponibilità di auto elettriche non sia frutto di una crescita omogenea – quasi omotetica – dell’offerta da parte dei diversi operatori. Anzi sarà proprio nel periodo 2016-2020, molto di più di quanto sia accaduto nel periodo 2011- 2016, che l’offerta di auto elettriche porterà ad una significativa differenziazione dei modelli di business degli operatori del settore (come evidenziato in figura).Se è vero quindi da un lato che l’incremento del numero di modelli di auto elettrica è indubbio è altrettanto vero che sembrano prevalere due diversi orientamenti, strategicamente differenti. Uno – di focalizzazione, scelto da Hyundai, Kia, Mitsubishi, Ford, Renault – che prevede di concentrare gli sforzi su un solo segmento (nella maggior parte dei casi quello C, ossia quello delle berline compatte a due o tre volumi), evidentemente quello considerato di maggior penetrazione possibile di mercato, facendo diventare elettrici la maggior parte dei nuovi modelli a questo segmento dedicati. La scelta di focalizzazione permette di concentrare gli sforzi, dalla attività di ricerca e sviluppo, all’attività di design dei modelli, alla fase di concurrent engineering che coinvolge i produttori di componentistica (in particolare i “batteristi” ed i produttori di motori elettrici) e quindi di raggiungere una maggiore efficacia. Tuttavia è indubbio come questa scelta si porti dietro anche dei rischi, considerando che una reazione “tiepida” da parte del segmento di mercato scelto potrebbe vanificare gli sforzi fatti, giacchè risulterebbe difficile “riconvertire” rapidamente i modelli elettrici nella versione “tradizionale”. Uno – di diversificazione scelto da Mercedes, Citroen, Nissan, Tesla, Peugeot ed Audi – che invece prevede di sviluppare un numero limitato di modelli (1 o al massimo 2) in ciascuno dei segmenti coperti dagli operatori. La scelta di diversificazione ha vantaggi e svantaggi evidentemente diametralmente opposti rispetto al caso precedente, in quanto limita gli impatti ed i rischi di investimento, ma rende anche più difficoltosa la fase di sviluppo dei modelli elettrici. L’assenza di operatori che abbiano abbracciato con decisione lo sviluppo dell’auto elettrica (se si eccettua ovviamente Tesla che però è nata con l’E-mobility) e la prevalenza di scelte ”attendiste” (il primo quadrante in basso a sinistra) o di diversificazione del rischio (quadrante in basso a destra) possono essere considerate frutto del fatto che – nell’orizzonte di tempo almeno sino al 2020 – non ci si attenda (soprattutto sul mercato europeo e ancor di più italiano) una crescita estremamente significativa del mercato. Se si guarda – più prosaicamente – ai confini nazionali, il quadro che emerge è però assai più fosco. L’Italia pesa solamente per circa l’1% nel mercato europeo. Nel 2016 sono state vendute 2.560 auto elettriche, circa lo 0,1% dell’intero mercato italiano dell’auto ed il trend è stabile (e quindi in controtendenza) rispetto al 2015. La quota di mercato dell’auto elettrica è in Italia circa un decimo di quella degli altri grandi Paesi europei. Tale divario diventa è ancora più ampio se paragonato ai Paesi del Nord: in Svezia le immatricolazioni di veicoli elettrici hanno rappresentato il 2,4% del totale, in Olanda il 9,7% e in Norvegia addirittura il 23,3%. E’ evidente come una delle ragioni che può spiegare un diverso andamento delle vendite delle auto elettriche sia la presenza di meccanismi di incentivazione. E’ stata condotta un’analisi comparativa tra 10 Paesi (Italia, Cina, Giappone, USA, Francia, Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia, UK), rispetto ai quali si sono analizzati sia gli incentivi diretti all’acquisto, che prevedono per l’utente una riduzione del prezzo d’acquisto del veicolo elettrico, sia gli incentivi diretti all’uso e alla circolazione, che prevedono per l’utente dei bonus durante tutto il ciclo di vita del veicolo. Se si considera un modello (sia BEV che PHEV) di media cilindrata con un prezzo di 30.000 € (IVA eslusa) ed una vita utile di 10 anni, il corrispettivo economico degli incentivi disponibili alla fine del 2016 nei diversi Paesi è riportato nella figura seguente.In Norvegia, non a caso uno dei Paesi con il maggior numero di immatricolazioni, sono disponibili incentivi estremamente «generosi», pari a circa 20.000 € per i BEV e 13.000 per i PHEV. Anche i Paesi Bassi offrono incentivi sostanziosi, soprattutto per i PHEV: il controvalore di 9.500 € di incentivazione per i veicoli ibridi plug-in è può spiegare, almeno in parte, il boom di questi veicoli nel Paese. L’Italia si conferma inesorabilmente indietro per quanto riguarda l’ammontare di incentivi a disposizione, facendo segnare i controvalori più bassi: circa 3.000 € per un BEV e 2.000 per un PHEV. Cina e Stati Uniti, che non sono rappresentati nel grafico, prevedono incentivi dal controvalore simile, rispettivamente di 8.500 € e 9.000 € per i BEV e di 5.000 € e 5.500 € per i PHEV. L’infrastruttura di ricarica Il numero totale dei punti di ricarica presenti (e censiti) nel mondo ha raggiunto alla fine del 2016 1,45 milioni, in forte crescita (+81%) rispetto agli oltre 800.000 punti del 2015 e di circa 73 volte rispetto ai poco più di 20.000 del 2010. La crescita è stata tuttavia a due velocità: la quota di colonnine pubbliche (ossia punti di ricarica collocati in ambienti aperti a terzi) rappresenta ad oggi “solo” circa il 13% del totale. Lo stock complessivo di punti di ricarica pubblici ha toccato un valore di circa 190.000 unità, in aumento (+72%) rispetto alle 110.000 del 2015; le colonnine di ricarica ”private” (ossia punti di ricarica collocati in ambienti non aperti a terzi) hanno invece indubbiamente trainato il settore, con una crescita di oltre 600.000 punti di ricarica nel corso del 2016, Se si guarda alla distribuzione geografica, è interessante notare come, per il segmento delle colonnine private siano gli USA a guidare la classifica, con oltre il 32% del totale delle installazioni alla fine del 2016, seguite dalla Cina e dal Giappone. Per il segmento delle colonnine pubbliche invece è la Cina leader indiscussa, con il 31% del totale, seguita da USA e Giappone. In Europa sono stati installati complessivamente 70.000 punti di ricarica pubbliche, il 37% dell’installato globale, e circa 400.000 punti di ricarica private, il 30% del totale. Se si mette in relazione il numero di punti di ricarica ed il numero di veicoli circolanti nello stesso periodo si ottiene il quadro riportato in figura, con il rapporto medio pari a circa 0,86 veicoli per singola colonnina.In un mercato «maturo» tale rapporto si dovrebbe attestare attorno ad 1 veicolo per punto di ricarica, come frutto della somma tra 0,9 punti di ricarica privati/veicolo e 0,1 punti di ricarica pubblici/veicolo. A tale valore si avvicinano non a caso Paesi come la Cina (1,05 veicolo/punto di ricarica) e la Svezia (0,99). L’Italia, con un indice di 0,66 veicoli elettici/punti di ricarica, conferma ancora una volta di essere particolarmente indietro. Nel nostro Paese, infatti, si possono stimare circa 9.000 punti di ricarica, 7.000-7.500 “private” (circa l’80%) e 1.750 “pubbliche” (20%). Le installazioni sono complessivamente cresciute nel corso dell’ultimo anno di circa 2.500 unità. I punti di ricarica pubblica in particolare hanno fatto segnare un +28% segnando un certo livello di fermento ed invertendo drasticamente un trend che invece aveva lasciato sostanzialmente costanti le colonnine dal 2013 al 2015. E’ il cosiddetto PNIRE (Piano Nazionale Infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica) redatto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) a governare lo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica nel nostro Paese, avendo come target al 2020 l’installazione di 4.500 – 13.000 punti di ricarica normal power (ossia con un potenza pari o inferiore a 22 kW) e di 2.000 – 6.000 punti di ricarica high power (ossia con una potenza superiore a 22 kW). Per il suo finanziamento è stato istituito un apposito fondo la cui dotazione finanziaria è pari a 33,3 milioni: il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti partecipa al cofinanziamento dei progetti presentati dalle regioni e dagli enti locali, fino a un massimo del 50% delle spese sostenute per l’acquisto e per l’installazione degli impianti. Nel Rapporto, al quale si rimanda per gli opportuni approfondimenti, si è analizzato un campione significativo di progetti di infrastruttura di ricarica, con l’obiettivo di comprendere quale ne sia stata l’evoluzione dal 2012 (anno di entrata in vigore del meccanismo) ad oggi. Aspetti da sottolineare Innanzitutto la composizione dei committenti, che si è evoluta da una fase iniziale completamente appannaggio della Pubblica Amministrazione, ad una compagine estremamente variegata, segno quindi di un incremento dell’interesse verso la mobilità elettrica da parte di soggetti economici e per taglie di progetto in grado di coprire l’intera scala dimensionale (dagli interventi necessari per abilitare uno specifico punto di interesse, sino all’infrastrutturazione di ambiti urbani più o meno vasti). Tra il 2012 e il 2013, infatti, era preponderante – con oltre il 95% dei progetti totali ed una quota ancora più significativa (97%) se si guarda al numero delle colonnine installate – la quota di progetti che avevano per committente la Pubblica Amministrazione locale, ossia i Comuni. Tra il 2014 e il 2016, risulta invece decisamente ridimensionato il ruolo della Pubblica Amministrazione locale, che ”pesa” per solo il 57% del totale dei progetti. Cresce – anche sulla scorta dei risultati delle sperimentazioni – il ruolo degli operatori di punti di interesse (PDI), che moltiplicano quasi per 6 il loro peso (dal 5% al 27%). Compaiono per la prima volta sul mercato italiano – e già con una quota del 16% dei progetti – dei soggetti “dedicati”, operatori privati che vedono nei progetti volti alla realizzazione di infrastrutture di ricarica il loro core business. Nei progetti in corso nel 2017 vi sono ulteriori novità. La comparsa di gestori di carburante tra i soggetti interessati alla infrastrutturazione elettrica, infatti, è segnale – ancora debole – ma importante del fatto che stia maturando una aspettativa di crescita del mercato italiano che lo possa portare ad essere più vicino a quello di altri grandi mercati europei più sviluppati. Analogamente la presenza di committenti del mondo corporate è segnale importante – verso il mercato – della volontà di incrementare gli investimenti anche nell’auto elettrica e quindi di avvicinare la “flotta” italiana alla massa critica necessaria per modificare la “derivata” di crescita del mercato. La composizione degli operatori che realizzano i progetti, anche questa con l’ampliamento, dall’iniziale presenza quasi esclusiva delle utility, sino alla nascita di operatori specializzati che hanno fatto della mobilità elettrica il loro core business e che fanno leva sulla capacità di interagire con il cliente finale per coordinare le attività delle fasi più a monte (soprattutto la parte di sviluppo della tecnologia). L’emergenza, soprattutto dal 2014 in poi, dei soggetti dedicati – che una volta in possesso dell’infrastruttura hanno come unico scopo di business la vendita del servizio di ricarica e che possono a buona ragione essere considerati i primi veri “distributori elettrici” (per analogia rispetto a quelli dei carburanti tradizionali) – segna un punto importante nella evoluzione del mercato. L’evoluzione dei modelli di business, dalla fase iniziale ove l’unica soluzione era in buona sostanza quella “completamente integrata”, sino all’attuale presenza di soluzioni a livello di integrazione decrescente, che hanno contribuito ad allargare il numero di operatori. Chi gestisce l’interfaccia con il cliente finale (EMP, E-mobility provider) si preoccupa di costruire un network con CPO (Charging point operator) e produttori di tecnologia al fine di realizzare il progetto. Dall’analisi effettuata la relazione con il cliente finale sembra essere l’asset fondamentale per la costruzione del progetto; ed è quindi chi si interfaccia con il cliente ad avere la maggiore possibilità di coordinare (o controllare) il resto degli attori della filiera. Questa evoluzione ”positiva” che ha portato comunque il mercato a crescere dai 730 punti di ricarica del 2012 ai 1.750 di fine 2016 non è stata tuttavia sufficiente a permettere all’Italia di guadagnare una posizione di prestigio nel panorama internazionale ed europeo della modalità elettrica. Quali sono stati dunque i punti di debolezza? La ridotta capacità (almeno sino ad ora) di attrarre finanziamenti privati, accanto a quelli pubblici per sviluppare le infrastrutture di ricarica. Se si guarda al complesso delle risorse investite, si è passati da una fase iniziale (con il 95% di finanziamenti pubblici) all’ultima rilevazione dove tale quota è scesa “solo” al 72%, mostrando un contributo privato che non raggiunge nemmeno 1/3 del totale; L’assenza – non nuova purtroppo nel nostro Paese – di una visione “di sistema”. Una delle principali barriere, infatti, riconosciute globalmente alla diffusione su larga scala della mobilità elettrica è l’assenza di interoperabilità tra le infrastrutture di ricarica gestite da operatori differenti. Gli integratori di sistemi di e-mobility (un ruolo che in Italia è agli albori) permettono di aggregare più infrastrutture di ricarica, creando un unico sistema integrato tra colonnine gestite da operatori differenti. L’obiettivo perciò è garantire che le diverse componenti del sistema integrato interagiscano efficientemente tra di loro ed offrire all’utente una più vasta infrastruttura di ricarica. L’integratore più conosciuto a livello europeo è la piattaforma tedesca «Hubject», fondata nel 2012 da BMW, Bosch, Siemens, Daimler. Attualmente conta 240 partner in 17 paesi differenti, connettendo circa 40.000 punti di ricarica in tre continenti (Europa, Asia e Oceania). Una piattaforma di questo tipo permette anche il cosiddetto «e roaming»: un utente che si trova in una paese straniero può sfruttare il lavoro svolto dall’integratore per ricaricare la propria vettura da un colonnina di un operatore che aderisce alla piattaforma. L’assenza di “coraggio” nello sperimentare forme di ”ecosistema” della mobilità elettrica avanzate, che invece sono già una realtà in altri Paesi. Si pensi ad esempio ad una partnership tra un operatore dell’infrastruttura di ricarica e un player del settore dell’automotive al fine di garantire al cliente un’offerta completa di mobilità elettrica comprensiva ovvero di auto e infrastruttura di ricarica domestica (con installazione inclusa). In questa soluzione il cliente paga una tariffa flat al mese che comprende il noleggio del veicolo elettrico, l’installazione della stazione di ricarica domestica e l’utilizzo di una app che permette la localizzazione e l’accesso all’infrastruttura di ricarica pubblica sempre gestita dal medesimo dell’operatore. Il potenziale dell’E-mobility in Italia: due scenari a confronto Il Rapporto si chuiude con l’analisi del potenziale dell’E-mobility in Italia, descrivendo duepossibili scenari di sviluppo al 2020: uno scenario cosiddetto «EV pull», dove si ipotizza che il primo passo per l’affermazione del paradigma «E-mobility» siano le vendite nel mercato italiano delle auto elettriche attese per i prossimi anni. Si è dunque partiti dalla stima – realizzata attraverso interviste agli operatori di settore – del numero di veicoli elettrici attesi in Italia al 2020 e si è calcolato “a ritroso” (applicando i ratio tipici tra auto e colonnine pubbliche e private) il numero di colonnine necessario. In questo scenario la stima dei veicoli elettrici che verranno immatricolati tra il gennaio del 2017 ed il dicembre del 2020 in Italia, su cui hanno convenuto gli operatori intervistati, vede circa 70.000 unità, con un quota di mercato per le auto elettriche che parte dallo 0,3% del 2017 (aumento del 300% rispetto al 2016) e arriva a circa il 2% rispetto alle immatricolazioni annuali nel 2020. Questo significa nell’orizzonte 2017 – 2020 un controvalore derivante dall’acquisto di veicoli elettrici compreso tra 1,75 mld € e 2,45 mld € contro i circa 75 mln € registrati nell’anno 2016. L’effetto di trascinamento tra veicoli e colonnine, secondo i ratio tipici richiamati nella metodologia, portano ad avere investimenti in infrastrutture di ricarica compresi tra 225 e 384 milioni di €. E’ interessante sottolineare che nello scenario «EV pull» l’immatricolazione di 70.000 veicoli elettrici in sostituzione di altrettanti veicoli a combustione interna causerebbe l’emissione di circa 63.000 tonnellate di CO2 all’anno, contro le 136.000 tonnellate annue di CO2 emesse nel paradigma tradizione, facendo segnare una diminuzione di circa il 54%. uno scenario «PNIRE push», dove si ipotizza che sia l’infrastruttura di ricarica a comandare i volumi del mercato. Si è dunque partiti dalla stima del numero di colonnine installate grazie al supporto del PNIRE in Italia al 2020 e si è calcolato “a ritroso” il numero di possibili veicoli elettrici circolanti, utilizzando in questo caso i ratio tra auto e colonnine che sono esplicitamente previsti nel PNIRE. In questo scenario la stima delle colonnine installabili nell’ambito del programma PNIRE, che è opportuno ricordare mette a disposizione investimenti per 33,5 milioni di € entro il 2020, arriva a 4.500 – 13.000 punti di ricarica pubblici normal power e a 2.000 – 6.000 punti di ricarica high power. Mantenendo lo stesso ratio visto in precedenza tra colonnine e veicoli si ottiene quindi una stima di veicoli elettrici circolanti al 2020 pari a 130.000 unità (l’85% in più rispetto allo scenario precedente). Questo significa nell’orizzonte 2017 – 2020 investimenti in infrastrutture di ricarica compresi tra 337 e 577 milioni di €. Per quanto riguarda l’acquisto di veicoli elettrici ci si attende un controvalore compreso tra 3,25 e 4,55 mld €, contro i circa 75 mln € registrati nell’anno 2016. I benefici ambientali sarebbero ancora più accentuati nello scenario «PNIRE pull». In questo scenario l’immatricolazione di 130.000 veicoli elettrici in sostituzione di altrettanti veicoli a combustione interna causerebbe l’emissione di circa 138.000 tonnellate di CO2 all’anno, contro le 253.000 tonnellate annue di CO2 emesse nel paradigma tradizione. Il confronto tra i due scenari – per semplicità di rappresentazione riportato nel grafico utilizzando i valori baricentrali della forchetta ammissibile per ciascuno scenario – mette in evidenza abbastanza chiaramente lo scostamento tra i due metodi di calcolo.La differenza è di quasi 2 miliardi di €, dei quali 1,8 imputabili alla differenza di stima sul controvalore dei veicoli elettrici e circa 150 milioni relativi alle colonnine di ricarica (nel dettaglio 54 mln € per i punti di ricarica privati, 2 mln € per i punti di ricarica pubblici normal power e 97 mln € per quelli high power, come combinato disposto anche dell’effetto di differente mix richiamato nella sezione “metodologia”). La ragione profonda di questo scostamento è però dovuta ad una differente visione sull’andamento del mercato. Il PNIRE ha l’ambizione di preparare una infrastruttura per oltre 130.000 veicoli elettrici, mentre il mercato delle auto sembra non ritenere possibile andare oltre le 70.000 unità immatricolate nei prossimi 4 anni. Gli esempi di altri Paesi virtuosi (come Giappone e Cina) dovrebbero portare a riflettere sulla necessità di un riallineamento che può passare da: un “ridimensionamento“ del PNIRE verso un obiettivo legato alle infrastrutture più in linea con quanto ci si attende dal mercato delle auto elettriche un “rafforzamento” dei sistemi di incentivazione per l’acquisto di veicoli (si rammenta che l’Italia è fanalino di coda in Europa per quanto riguarda l’ammontare dedicato alle auto elettriche) e quindi un riallineamento del mercato dei veicoli alle infrastrutture una soluzione “ibrida” – che preveda l’impiego di risorse già destinate al PNIRE per l’incentivazione dell’acquisto di auto elettriche – in modo da ottenere un bilanciamento degli obiettivi. Vi è poi un’ultima strada – non nuova nel panorama italiano – che è quella di attendere per capire quale scenario avrà più probabilità di accadimento. E’ una strada pericolosa, che può forse essere percorsa ancora nel 2017, ma che deve essere quanto prima abbandonata, rispondendosi alla domanda critica di quale ruolo vuole giocare il nostro Paese nella mobilità elettrica. E-Mobility Report 26 Gennaio 2017 ore 9.30 Politecnico di Milano – Campus Bovisa Via Raffaele Lambruschini 4- Edificio BL 28 Aula Magna Carassa D’Adda Ai presenti all’evento sarà consegnata in omaggio una copia dell’E-Mobility Report 2016. Vedi il programma del convegno. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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