Qual è il prezzo del cambiamento climatico: le stime

Nei prossimi cinquant’anni, non agire in modo efficace contro il cambiamento climatico potrebbe causare danni all’economia mondiale stimati in 178 trilioni di dollari.

Qual è il prezzo del cambiamento climatico: le stime

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Accelerare il processo di decarbonizzazione è necessario, oltre che per l’ambiente, anche per l’economia. L’inazione potrebbe costare molto cara, stando alle stime pubblicate da Deloitte nel Global Turning Point Report 2022, presentato al World Economic Forum di Davos. Si parla di perdite di 178 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni e un calo medio annuo del PIL del -7,6% rispetto a uno scenario non compromesso dal cambiamento climatico. Al contrario, se si accelerasse il processo di decarbonizzazione, l’economia guadagnerebbe 43 trilioni di dollari nei prossimi cinque decenni.

Come agire contro il cambiamento climatico

Passare all’azione immediatamente dovrebbe essere una priorità per governi, istituzioni, imprese, società civile e singoli cittadini. Tutti dovrebbero ripensare i propri stili di vita, di consumo e di produzione. Le imprese, per esempio, dovrebbero trovare nella digitalizzazione e nelle tecnologie gli strumenti per trarre, nel medio periodo, benefici che andrebbero anche oltre il perimetro dell’organizzazione.

Riorientare i flussi di capitale a favore della decarbonizzazione e utilizzare le nuove tecnologie sarà determinante per riuscire a contenere l’aumento della temperatura media terrestre entro 1,5°C a fine secolo. Un traguardo che, secondo gli analisti Deloitte, rappresenterebbe anche un’opportunità di crescita economica.

I quattro elementi imprescindibili nel contrasto al cambiamento climatico

Secondo il Report, sono quattro gli elementi chiave su cui agire per accelerare la decarbonizzazione.

Il primo è la collaborazione tra settore pubblico e privato, che permetterebbe di implementare politiche efficaci all’insegna del cambiamento. Secondo elemento sono gli investimenti, da parte di imprese e governi, finalizzati a rendere le industrie a basse emissioni. In ogni area geografica, poi, dovrebbero essere analizzati e gestiti i cosiddetti “turning points”, cioè i momenti in cui, durante la transizione verde, i benefici superano i costi avviando una crescita positiva. Infine, sulla base del relativo turning point, i sistemi economici e sociali locali dovrebbero promuovere un’economia decarbonizzata in grado di crescere a tassi maggiori rispetto a quelli di una equivalente economia carbon-intensive.

Il ruolo dell’Italia

In questo contesto, l’area del Mediterraneo è sotto i riflettori: già oggi la temperatura media è di +1,5°C rispetto al livello preindustriale, contro una media globale di +1.1°C. In Italia, in particolare, il cambiamento climatico e il riscaldamento di circa 3°C porterebbero a enormi danni (anche) economici, stimati in circa 115 miliardi al 2070, l’equivalente di una caduta del 3,2% del PIL.

Mantenere l’incremento della temperatura media terrestre entro 1,5°C al 2100 è possibile, ma è necessario rispettare una precisa tabella di marcia, agendo su diversi fronti.

In primis, sul settore energetico, per giungere a una sostanziale riduzione dell’uso di combustibili fossili, sviluppando le rinnovabili e puntando su combustibili alternativi come l’idrogeno verde e i biocarburanti sostenibili.

Altri punti fondamentali sono: taglio delle emissioni del 43% entro il 2030, emissioni net-zero di CO₂ entro il 2050 e taglio degli altri gas serra, a partire dal metano (di almeno un terzo).

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