Decarbonizzazione dei settori hard to abate: obiettivi dimezzati senza incentivi

I settori hard to abate per raggiungere l’obiettivo net zero al 2050 hanno bisogno di soluzioni tecnologiche innovative. Questo richiede investimenti e un quadro normativo-regolatorio più snello. L’analisi Energy&Strategy

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Decarbonizzazione dei settori hard to abate: obiettivi dimezzati senza incentivi

La decarbonizzazione dei settori hard to abate rischia di non essere raggiunta al 2050. Servono incentivi economici adeguati a sostenere una spesa variabile tra i 30 e 80 miliardi di euro per adottare tecnologie abilitanti e supportare i relativi costi operativi. A fare i conti e le stime è Energy&Strategy – School of Management Politecnico di Milano, nello studio “Zero Carbon Technology Pathways 2023”.

Le considerazioni sono importanti almeno per due motivi. Il primo riguarda il valore economico e occupazionale dei settori HtA: essi generano 94 miliardi di euro di valore aggiunto e 1,25 milioni di posti di lavoro in Italia (fonte: The European House – Ambrosetti). Il secondo riguarda il loro impatto ambientale: le emissioni ascrivibili all’industria del cemento, siderurgica, chimica, ceramica, vetraria, cartaria, e metallurgica (non ferrosa) costituiscono il 79% dell’industria italiana.

Emissioni di gas effetto serra in Italia

Quest’ultima risulta essere il secondo settore economico che contribuisce alle emissioni di gas effetto serra (25%) subito dietro ai trasporti. Su un totale di 428 milioni di tonnellate di emissioni nazionali, 86 Mton vanno ascritte al manifatturiero, di cui 59 Mton all’hard-to-abate.

Decarbonizzazione dei settori hard to abate: il ruolo della tecnologia

Nel percorso verso la decarbonizzazione, l’Italia oggi mostra un trend positivo che si è evidenziato dai primi anni degli anni Duemila attraverso il progressivo disaccoppiamento tra Pil ed emissioni GHG. La penetrazione delle fonti rinnovabili ha contribuito a questo calo, come pure gli interventi finalizzati all’efficienza energetica.

Decarbonizzazione dei settori hard to abate: il ruolo della tecnologia

Tuttavia per raggiungere gli obiettivi al 2050 occorre fare di più: serve puntare sull’innovazione tecnologica. Le quattro direttrici individuate e analizzate riguardano: biocombustibili, elettrificazione, idrogeno e sistemi CCS (Carbon Capture and Storage). Lo studio del think tank milanese ha individuato 115 soluzioni rilevanti per centrare il traguardo, suddivise in tecnologie per la produzione (46) utilizzo (60) e cattura (9). Il livello di maturità tecnologica (TRL) medio è di 6,8: accanto, quindi, a soluzioni consolidate, altre sono ancora acerbe.

L’analisi condotta da E&S ha valutato quale potrebbe essere il contributo delle diverse traiettorie tecnologiche, in termini di decarbonizzazione dei settori industriali hard to abate. Per questo è stato sviluppato un modello di simulazione sulla penetrazione attesa da qui al 2050 delle varie tecnologie abilitanti secondo logiche di merito economico, focalizzandosi sulle emissioni scope 1. «Siamo partiti da un primo scenario business as usual (BAU), che proietta da qui al 2050, l’evoluzione tecnologica attesa. Sono stati poi elaborati quattro scenari decarbonizzati che invece in base alla progettazione puntano alla piena decarbonizzazione (-90% circa di riduzione delle emissioni rispetto ai valori 2020)», ha spiegato Simone Franzò, responsabile della ricerca. «Partendo dallo scenario BAU, l’analisi mostra che, stante le traiettorie tecnologiche attuali e il quadro normativo vigente, gli obblighi e i meccanismi e strumenti abilitanti la decarbonizzazione, l’obiettivo di breve termine al 2050 per il settore manifatturiero italiano appare essere piuttosto lontano»: rispetto al 2020 è prevedibile giungere realisticamente a un dimezzamento circa (-54%) del valore delle emissioni.

Lo stesso Franzò rileva che non c’è una tecnologia capace di decarbonizzare trasversalmente vari settori, ma tutte insieme avranno un ruolo complementare nel raggiungimento progressivo dell’obiettivo net zero, ognuno in base alla propria peculiarità.

Venendo infine agli scenari per la progressiva riduzione delle emissioni si nota che l’andamento delle commodity può determinare esiti molto differenti in termini di tecnologie che dovranno entrare in gioco per decarbonizzare i settori industriali e, di conseguenza in termini di costi. Si arriva così alle previsioni di spesa: «l’ordine di grandezza di volume di costo sia d’investimento ma anche di costi operativi necessari per decarbonizzare i settori industriali da qui al 2050 è stimato fra 30 e 80 miliardi di euro».

C’è bisogno, quindi, di incentivi adeguati altrimenti alle condizioni attuali la decarbonizzazione rischia di essere una chimera. 

Il quadro normativo-regolatorio UE…

Cosa serve, quindi, per raggiungere la decarbonizzazione nei settori hard to abate? Come detto, è necessario contare su più opzioni tecnologiche e investimenti adeguati per poterli impiegare. Un altrettanto importante aspetto su cui lavorare è la necessità di un cambiamento profondo dei modelli di consumo.

Non solo: come specifica Energy&Strategy in una nota, si rende necessaria:

“la definizione di un quadro normativo-regolatorio chiaro e duraturo, in grado di fornire gli strumenti adeguati alle aziende e agli operatori per abbandonare processi e strumenti noti e radicati e iniziare una transizione di dimensioni epocali: vanno mitigate ed eliminate le barriere che oggi ostacolano il percorso”.

Come ha illustrato il direttore scientifico Vittorio Chiesa, a livello normativo, l’UE ha incrementato gli sforzi per raggiungere gli obiettivi 2030 e 2050 con l’istituzione del CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), un nuovo strumento per dare un prezzo alle emissioni di carbonio incorporate nelle merci importate, così da assicurare che i costi per i prodotti interni e per i prodotti extra-UE siano equivalenti, integrando il sistema di scambio delle emissioni (EU ETS).

Inoltre, ha esteso la rendicontazione di sostenibilità introdotta dalla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) a una platea più vasta di soggetti, quali le grandi imprese UE che attualmente non redigono la Dichiarazione Non Finanziaria, le PMI quotate e alcune categorie di imprese extra-UE che operano sul territorio europeo, in stretta connessione con la Tassonomia UE, e ha introdotto per la prima volta un sistema univoco di standard per la rendicontazione di sostenibilità (European Sustainability Reporting Standards – ESRS).

e i nodi da sciogliere

L’analisi del think tank milanese si è focalizzata, anche a questo proposito, sul contesto italiano. Per gli obiettivi di decarbonizzazione dei settori hard to abate e non solo, è possibile contare sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), rivisto e approvato dall’UE a novembre, e sul Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), la cui proposta di aggiornamento è stata sottoposta alla Commissione Europea nel giugno 2023. Il PNRR, in particolare, prevede investimenti e riforme su tre delle quattro direttrici tecnologiche analizzate nel presente Report (idrogeno, biocombustibili, ed elettrificazione che conquista il 21,2% delle risorse), mentre non include misure in materia di Carbon Capture and Storage (CCS). L’aggiornamento del PNIEC, che in generale contempla una revisione al rialzo dei target al 2030, prevede invece il ricorso alla CCS per i settori hard-to-abate e punta su rinnovabili elettriche, idrogeno e biometano.

Possono essere sufficienti? Dall’indagine condotta su più di 400 imprese dei settori hard-to-abate sono emersi c’è bisogno d’altro. La survey ha messo in luce elementi trainanti e ostacoli alla realizzazione degli obiettivi net zero. In entrambi i casi riguardano la sfera economico-finanziaria e quella normativa. Servono strumenti incentivanti che permettano di ottenere un risparmio sui costi operativi, a fronte di investimenti molto onerosi.

Ma serve anche una semplificazione del quadro normativo-regolatorio, attraverso una programmazione di lungo periodo che, spiega ancora Energy&Strategy:

“attribuisca agli obiettivi di decarbonizzazione un’importanza prioritaria e che preveda lo sviluppo di competenze green in azienda”.

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