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Il Politecnico di Torino è tra i partner del Progetto Europeo SoFiA che ha l’obiettivo di sviluppare la produzione di combustibile solare rinnovabile senza alcun impatto sull’effetto serra, grazie a delle membrane sottilissime Per rispondere in maniera efficiente e sostenibile alla domanda crescente di energia, che si prevede raddoppierà entro il 2050, abbiamo naturalmente bisogno di energia pulita, a partire da quella offerta dal sole, e di sistemi per immagazzinarla in grande quantità e per lunghi periodi di tempo. Una delle migliori opzioni per accumulare energia è offerta dai combustibili, grazie ad un’alta densità di energia che può superare di gran lunga anche le batterie più performanti. D’altra parte la loro natura fossile li rende poco sostenibili e pericolosi per l’ambiente soprattutto in fase estrattiva, inoltre le emissioni di anidride carbonica generate dal loro consumo aumentano l’effetto serra e i problemi di surriscaldamento. Da questi presupposti nasce nell’ambito del prestigioso programma H2020-FETOPEN il progetto europeo SoFiA, della durata di 4 anni che vede il politecnico di Torino tra i suoi partner, e che ha l’obiettivo di sviluppare tecnologie per la conversione dell’anidride carbonica in combustibili attraverso l’energia solare, in un processo del tutto simile a quello della fotosintesi delle piante. Una tecnologia del genere applicata su vasca scala, si legge nel comunicato del Politecnico di Torino, potrebbe annullare l’impatto ambientale dei processi di conversione energetica coinvolti avviando un virtuoso schema circolare del carbonio. La tecnologia alla base del progetto prevede la realizzazione di membrane fotosintetiche economiche capaci di convertite l’anidride carbonica in combustibile in maniera robusta e per lunghi periodi di tempo. Le membrane fino a ora utilizzate a stato solido sono piuttosto costose, e hanno evidenziato problemi di veloce degradazione rendendo quindi impossibile un’applicazione industriale su larga scala. Le membrane previste dal progetto SoFiA invece sono flessibili “fatte per la maggior parte di acqua e opportuni tensioattivi proprio come accade nelle comuni bolle di sapone. Si tratta di un rischio alto, spiega Eliodoro Chiavazzo, responsabile scientifico del progetto per il Politecnico di Torino perché “si rivoluziona completamente il paradigma corrente ma in caso di successo ci sarebbe un inestimabile ritorno scientifico e tecnologico”. Il Politecnico avrà un doppio ruolo: sarà responsabile dell’analisi economica e di mercato della tecnologia oggetto del progetto e dovrà produrre modelli computazionali che possano guidare la progettazione della nuova tecnologia nella giusta direzione. Oltre al Politecnico di Torino fanno parte del consorzio l’Università di Uppsala (coordinatrice del progetto), l’Università di Cambridge e L’Università di Leiden, nonché 2 centri di ricerca come ICTP di Trieste e NWO-AMOLF di Amsterdam. Concludono il consorzio 2 PMI, ovvero Teclis Scientific di Lione e Microfluidic ChipShop di Jena. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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