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L’idrogeno verde, quello prodotto grazie alle rinnovabili, potrebbe essere competitivo già dal 2030. I fattori che predispongono a pensare che “questa volta ci siamo” sono diversi. Investimenti in netta crescita, costi in calo sia per la produzione energetica da rinnovabili sia dei costi dei componenti, politiche sempre più attente alla decarbonizzazione, non ultima delle quali quella italiana col ministero della transizione ecologica sono elementi favorevoli per la crescita del green hydrogen. Idrogeno verde competitivo al 2030 I più recenti report indicano – chi più chi meno – questa possibilità, partendo dalle cifre. Secondo quello pubblicato da McKinsey da qui al 2030 sono stati annunciati investimenti per più di 300 miliardi di dollari sull’idrogeno. Sull’argomento si sono pronunciati anche Irena e Wood Mackenzie. In quest’ultimo caso, il report punta più l’attenzione sul 2050, ma il presidente e analista capo, Simon Flowers ha fatto sapere: “Riteniamo che l’idrogeno verde sarà competitivo con l’idrogeno da combustibili fossili in diversi mercati dal 2028 al 2033, assumendo un prezzo dell’energia di 30 dollari/MWh nel 2030. Questo è il momento in cui vediamo che il mercato inizierà davvero a decollare”. I dati McKinsey Più di 300 miliardi di dollari in investimenti H2 fino al 2030. Esordisce così il report “Hydrogen Insights” di McKinsey e Hydrogen Council. Anche se si tratta nel 75% dei casi di annunci, non di finanziamenti veri e propri, gli analisti sottolineano che assommano a 80 miliardi di dollari gli investimenti maturi da qui ai prossimi nove anni. “Questi includono 45 miliardi di dollari in fase di pianificazione, il che significa che le aziende stanno spendendo budget considerevoli per lo sviluppo di progetti. Altri 38 miliardi di dollari riguardano progetti impegnati o in costruzione, commissionati o già operativi”, aggiungono. In ogni caso la tendenza globale è di puntare a questa risorsa green, a partire dagli stessi governi che hanno piani per sostenere le strategie di transizione all’idrogeno, con 70 miliardi di dollari previsti. L’importanza è data dal fatto che tali strategie sono dei 75 paesi che esprimono la metà del PIL mondiale. Secondo lo stesso report, i costi di produzione dell’idrogeno rinnovabile continuano a scendere più rapidamente di quanto previsto in precedenza. Persino rispetto al report del 2020 “Path to hydrogen competitiveness: a cost perspective”. Sono tre i fattori trainanti di questa accelerazione: il primo è legato al calo dei costi infrastrutturali, a cominciare dagli elettrolizzatori: entro il 2030 si arriverà a circa 200-250 dollari/kW a livello di sistema. Si tratta di un costo inferiore di ben il 30-50% rispetto a quanto previsto solo l’anno scorso. Secondo elemento è la diminuzione del costo livellato dell’energia (LCOE), ovvero l’indice della competitività di diverse tecnologie di generazione di energia elettrica, diversificate per tipo di fonte energetica e per durata della vita media degli impianti. Per fare un esempio pratico: i costi delle energie rinnovabili sono inferiori del 15% di quanto previsto in precedenza. Tale diminuzione deriva dallo sviluppo delle energie rinnovabili su larga scala. Terzo, i livelli di utilizzo dell’idrogeno continuano ad aumentare. Le previsioni di Irena Il calo dei costi dell’energia rinnovabile e il miglioramento delle tecnologie degli elettrolizzatori potrebbero rendere l’idrogeno “verde” competitivo entro il 2030. A sostenerlo è Irena, il cui presidente Francesco La Camera sottolinea come gli investitori del settore prevedano almeno 25 GW di capacità di elettrolizzatori per l’idrogeno verde entro il 2026. “Tuttavia, è necessaria una crescita molto più forte – sia nell’energia rinnovabile che nella capacità di idrogeno verde – per soddisfare gli ambiziosi obiettivi climatici e mantenere l’aumento della temperatura media globale a 1,5°C”. Il basso costo dell’elettricità non è sufficiente da solo per una produzione competitiva di idrogeno verde, tuttavia, e sono necessarie anche riduzioni del costo degli impianti di elettrolisi. Questa è la seconda maggiore componente di costo della produzione di idrogeno verde ed è l’obiettivo di questo rapporto, che identifica le strategie chiave per ridurre i costi di investimento per gli impianti di elettrolisi dal 40% nel breve termine all’80% nel lungo termine. Per centrare il traguardo occorre lavorare su diversi fattori. Il primo riguarda gli elettrolizzatori: l’aumento delle dimensioni dell’impianto da 1 MW (tipico nel 2020) a 20 MW potrebbe ridurre i costi di oltre un terzo. I progetti di sistema ottimali massimizzano l’efficienza e la flessibilità. Un altro punto forte riguarda la necessità di aumentare la produzione di stack (il componente più oneroso, oggi pari al 45% del costo totale) con processi automatizzati in impianti di produzione su scala GW per ridurre i costi. L’approvvigionamento dei materiali può essere di ostacolo all’obiettivo, ma è possibile puntare su tecnologie alternative che non li richiedono. I dati Wood McKenzie Anche Wood McKenzie ha pubblicato un report dedicato a quello che è “l’argomento più caldo nell’energia” sottolinea, ricordando che solo nel 2020 sono state presentate ben 7 strategie nazionali sull’idrogeno, puntando a una capacità produttiva degli elettrolizzatori di 66 GW. Ricorda, inoltre, che sempre nel 2020 colossi del settore energy come Shell, BP, Enel, Engie, Orsted ed Equinor hanno avviato progetti, investimenti e partnership nell’idrogeno a basse emissioni di carbonio. La domanda che si pone è: chi vincerà la battaglia tra idrogeno blu e verde? Quali paesi saranno i mercati dell’idrogeno più critici nei prossimi trent’anni? Intanto prevede che fino al 2030, l’80% dello sviluppo dell’idrogeno low carbon sarà destinato a decarbonizzare gli usi finali dell’“idrogeno fossile”. Gli analisti si attendono una penetrazione significativa in nuovi settori di uso finale non prima della metà del 2030. “Saranno necessari quasi mille miliardi di dollari per produrre idrogeno a basso contenuto di carbonio”. Entro il 2050, l’idrogeno a basso contenuto di carbonio costituirà il 7% della domanda globale di energia finale. La domanda di idrogeno a basso contenuto di carbonio crescerà fino a 211 Mt entro il 2050, dalla quantità attuale che è “praticamente zero”. Lo stesso presidente Wood Mackenzie, già citato, nella propria analisi ha sì fornito indicazioni lusinghiere, ma anche illustrato uno scenario complesso, nel quale l’idrogeno verde non diventerà presto il ‘nuovo petrolio’. “Tuttavia pensiamo che giocherà un ruolo significativo nella transizione energetica, soddisfacendo il 7% della domanda globale di energia finale entro il 2050. I segni rivelatori emergeranno in questo decennio, mostrando se l’idrogeno è sulla buona strada per mantenere la sua enorme promessa”. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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