Geotermia e rinnovabili: perché sostenere la fonte più antica d’Italia

L’Italia è la culla della geotermia, fonte rinnovabile storica che può crescere molto. Ma è trascurata. Ecco cosa serve per il suo sviluppo: lo spiega la presidente UGI Adele Manzella

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Geotermia e rinnovabili in Italia

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La geotermia rischia di rimanere sullo sfondo della politica energetica italiana. Peccato, perché il nostro Paese vanta una storia esemplare per quanto riguarda questa fonte parte integrante delle rinnovabili.

È dall’inizio del XX secolo che il Belpaese sfrutta il calore della Terra per produrre energia elettrica. Il primo impianto geotermico al mondo è stato costruito in Italia. Vanta una conoscenza tecnologica notevole: per esempio, nel 2016 è stato avviato in Toscana il primo impianto al mondo che unisce due fonti rinnovabili, ovvero geotermia e biomasse.

Diverse città contano molto sull’apporto geotermico: senza citare le città toscane dell’area storica, Ferrara conta sull’energia distribuita dalla rete di teleriscaldamento cittadina, che per più del 40% è prodotta dall’impianto geotermico locale.

Adele Manzella presidente Unione Geotermica Italiana (UGI) e Primo Ricercatore al CNR
Adele Manzella

«Ancora oggi l’energia geotermica italiana, per produzione elettrica è al settimo posto mondiale dei Paesi produttori – malgrado non molti anni fa eravamo quarti – e nei primi venti per uso termico. Ma nella realtà italiana, il contributo è assai limitato, stante la grande richiesta di energia nazionale», afferma Adele Manzella presidente Unione Geotermica Italiana (UGI) e Primo Ricercatore al CNR.

 

Geotermia e rinnovabili: il peso della fonte energetica nel mix green

Con geotermia vengono comprese molte applicazioni che fanno capo alla produzione elettrica e termica. A livello nazionale il consumo da produzione geotermica rappresenta circa il 3,5% del mix totale da rinnovabili, incidendo per il 5,4% per la produzione elettrica e per il 2% di termica.

Rispetto al consumo totale lordo italiano di energia, la geotermia conta solo lo 0,62%. «Purtroppo, anziché aumentare diminuisce», sottolinea Manzella.

È paradossale che in Italia, patria natale della geotermia, una delle fonti rinnovabili più antiche sia trascurata. Quando invece si pensa a centrare obiettivi sempre più ambiziosi al 2030 in tema di produzione energetica rinnovabile. Come pensiamo di raggiungerli, puntando alla transizione energetica, tralasciando la risorsa geotermica?

Presidente Manzella, quali potenzialità ha la geotermia italiana?

La geotermia ha delle potenzialità di sviluppo notevoli e di gran lunga superiori a molti Paesi, soprattutto per gli usi termici. Il problema, anzi uno dei tanti, è che manca una valutazione puntuale del potenziale geotermico. Dalla stima fatta da UGI, possiamo sicuramente affermare che oggi in Italia è possibile produrre 10 volte di più della quota attuale.

Il nostro Paese ha una geologia particolarmente favorevole all’accumulo di acque calde nel sottosuolo a profondità relativamente basse. Questo è un fattore positivo, tanto che in teoria potremmo decuplicare ulteriormente questa stima, per lo più grazie alla geotermia ad alta entalpia, ideale tanto per la produzione elettrica sia per il teleriscaldamento. Va inoltre considerato il valore delle pompe di calore geotermiche, che sfruttano la differenza di temperatura ambiente e sotterranea: anche se difficilmente quantificabile, è molto interessante questa tecnologia e andrebbe sfruttata maggiormente come fonte di energia termica, tra l’altro contando sulla loro maggiore efficienza rispetto alle pompe di calore tradizionali.

Quali sono i fattori che ostacolano lo sviluppo della geotermia tra le rinnovabili italiane?

Sono diversi, alcuni dei quali ricollegabili alla poca conoscenza delle tecnologie geotermiche. Innanzitutto, permangono molti veti alle autorizzazioni agli impianti. Negli ultimi dieci anni sono stati richiesti più di 100 permessi: a oggi non c’è ancora il benestare su nessuno di questi per procedere allo scavo di un pozzo. Gli impianti attualmente in funzione sono ancora frutto delle concessioni della geotermia storica, ovvero quelli di Enel nelle zone di Larderello e del monte Amiata. Lascio immaginare quanto sia oggi elevato l’indice di recessione dal proposito di andare avanti da parte degli operatori che hanno fatto richiesta.

Anche coloro che hanno ottenuto le autorizzazioni tecniche a procedere si scontrano poi con la mancanza di benestare provenienti o dalla regione di riferimento o dalla sovrintendenza, malgrado spesso non sussistano criteri oggettivi. In poche parole, è troppo facile opporre un veto. Il problema è che spesso non c’è accettabilità verso queste e altre infrastrutture. Tuttavia in geotermia ad aggravare la situazione e il pregiudizio c’è anche la questione della perforazione dei pozzi, quando sono profondi. Sono spesso visti con timore malgrado in Italia esistano impianti pienamente attivi da oltre un secolo. Da più di cinquant’anni la produzione è intensa e malgrado questo non sono stati segnalati terremoti o problemi ambientali irrisolti.

Su cosa si basano i timori che bloccano di fatto diverse opere geotermiche?

Chi accusa la geotermia lo fa sulla base di sporadici episodi avvenuti in altre epoche e risolti completamente o riferiti ad altri contesti e tecnologie. Questo quadro ha portato la geotermia a non ricevere autorizzazioni per impianti di geotermia a media ed alta entalpia e a non godere più degli incentivi per la produzione elettrica. Rispetto alle altre fonti rinnovabili, la fonte geotermica e idroelettrica sono quelle che hanno beneficiato meno di sussidi.

Tra l’altro, la geotermia ha un costo di produzione complessivo (LCoE) più basso rispetto ad altre fonti rinnovabili, garantito da contenuti costi di sistema, a fronte di più elevati costi di esplorazione e di installazione: extra-rete elettrica, stoccaggio ecc. e dal valore aggiunto di un output elettrico sicuro e costante.

A proposito del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, quali aspettative avete come UGI?

La geotermia, a differenza di fotovoltaico ed eolico, non è una fonte energetica rinnovabile intermittente: infatti, produce 24 ore su 24. Inoltre è indipendente dalle condizioni atmosferiche. Quindi è di per sé una fonte energetica dotata di resilienza rispetto ai cambiamenti climatici e alle necessità variabili del fabbisogno energetico. Ma a differenza di altre rinnovabili, richiede diversi anni prima di poter realizzare una grande centrale. A parte i tempi lunghissimi per l’autorizzazione, per la realizzazione dei pozzi e la costruzione della centrale trascorrono anche tre anni.

D’altro canto la geotermia ha necessità di finanziamenti più alti all’inizio del progetto, proprio per questo maggiore costo iniziale.

L’Italia non ha mai tenuto conto di queste peculiarità nel sostenere questa fonte: i piccoli operatori fanno fatica in queste condizioni, con politiche incentivanti che, quando ci sono state, non hanno mai offerto garanzie di stabilità o hanno avuto caratteristiche poco premianti per il geotermico.

Per questo, ci auspichiamo che il PNRR tenga in debita considerazione anche la geotermia, ma occorre essere realistici. Non ci si può aspettare che in 7 anni si raggiungano 150 MW installati dai progetti geotermoelettrici già proposti, ma speriamo di vedere partire almeno 50 MW e soprattutto di vedere dei dimostratori di tecnologie sostenibili. Sul fabbisogno termico nazionale, il geotermico può contribuire molto, ma nei piani non c’è distinzione tra modalità di pompe di calore. Quelle geotermiche sono più efficienti e vanno sostenute in una programmazione di medio e lungo periodo. A questo riguardo, lo stesso Superbonus 110% può aiutare molto l’implementazione di queste soluzioni. Ma non si sa quanto durerà e se sarà prolungato.

Cosa può dire sul teleriscaldamento geotermico?

È una tecnologia interessante su cui in Europa si sta investendo molto specie in aree urbane. Spero che il governo decida di crederci, anche perché questo sistema in città è molto efficiente e oltretutto permette il riscaldamento e il raffrescamento.

IL PNRR potrebbe essere un volano per lo sviluppo delle reti di distribuzione, a cui poi affiancare tecnologie mature e di comprovata efficacia.

A proposito di ricerca sulla geotermia, quella svolta in Italia che peculiarità ha?

La ricerca sviluppata a livello nazionale sulla geotermia è basata essenzialmente con finanziamenti europei o mediante attività di ricerca industriali. Questa fonte rinnovabile può contare su una filiera industriale molto consolidata in Italia, ma si sta progressivamente disperdendo per vari motivi. Anche in questo caso stiamo perdendo un primato. Non ci sono fondi pubblici per la geotermia.

Grazie ai finanziamenti UE ci dedichiamo alla esplorazione delle risorse, ma anche a nuovi modi per il loro impiego. C’è una grande attenzione alle implicazioni ambientali e di sostenibilità.

Cosa serve quindi perché si affermi la geotermia in Italia? 

Occorrono incentivi innanzitutto, in quantità e mirati per specificità tecnologiche. Servono, ma stabili e sul lungo periodo.

Serve, inoltre, lo sblocco dei decreti da tempo fermi da anni: uno è il FER 2, visto che nel FER 1 geotermia non è stata considerata incentivabile in quanto definita “matura”. Questo criterio non è considerato nel nuovo decreto in quanto disciplinerà gli incentivi alle rinnovabili innovative.

L’altro decreto, fermo anch’esso da anni senza alcuna motivazione logica, è il cosiddetto “posa sonde” ovvero il D.lgs. 28/2011. Entro tre mesi dalla sua entrata in vigore, doveva essere approvato un decreto ministeriale per regolare la posa in opera delle sonde geotermiche e le procedure abilitative. Senza l’ok, non solo c’è una difformità nelle procedure autorizzative, ma mancano dati sugli impianti in Italia.

Servono anche iter autorizzativi più snelli. Personalmente sto lavorando a un progetto UE a documenti per curare gli aspetti ambientali della geotermia su cui circolano informazioni errate e incontrollabili.

Occorre mettere in evidenza che non c’è una fonte rinnovabile migliore delle altre, ma tutte possono concorrere al raggiungimento della transizione energetica e degli obiettivi 2030.

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