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Indice degli argomenti Toggle Cosa sta accadendo alla neve?Il difficile anno delle Alpi Le montagne italiane, dalle Dolomiti al Gran Sasso, dal Monte Bianco al Cervino, offrono alcuni degli scenari innevati più spettacolari d’Europa. Un patrimonio naturale dove lo sport si fonde con la contemplazione della natura, dove gli appassionati di sci si alternano agli escursionisti con le ciaspole, tutti accomunati dal desiderio di immergersi in incantevoli paesaggi mozzafiato. Non c’è occasione migliore per celebrare questo incredibile patrimonio della Giornata Mondiale della Neve: l’appuntamento, che quest’anno cadrà nella data del 19 gennaio 2025, ci permetterà di ammirare questo elemento tanto prezioso quanto fragile. L’iniziativa, nata dalla Federazione Internazionale Sci e Snowboard (FIS), nasce per promuovere gli sport invernali tra i giovani, ma oggi assume una connotazione diversa che ci fa riflettere sull’importanza della neve per l’equilibrio degli ecosistemi montani. La magia dell’inverno e del suo manto nevoso rischia di svanire. Una ricerca pubblicata su Nature ha documentato una significativa riduzione del manto nevoso nell’emisfero settentrionale negli ultimi quattro decenni, con cali particolarmente marcati (10-20%) negli Stati Uniti sudoccidentali e nordorientali, così come nell’Europa centrale e orientale. Passando allo scenario prettamente alpino, lo studio Eurac pubblicato sull’International Journal of Climatology, rivela un drastico declino delle nevicate: tra il 1920 e il 2020, la diminuzione media si attesta al 34%, con picchi ancora più severi sulle Alpi settentrionali (-23%) e valori quasi dimezzati sul versante sudoccidentale. Il paradosso è che, nonostante l’aumento delle precipitazioni invernali, l’innalzamento delle temperature sta trasformando quella che un tempo era neve in semplice pioggia, specialmente alle quote più basse. Cosa sta accadendo alla neve? Il report Nevediversa 2024 di Legambiente ha lanciato l’allarme: il manto nevoso sulle Alpi e sugli Appennini sta diventando sempre più “effimero”. Gli impianti sciistici affrontano difficoltà crescenti, alternando chiusure e aperture irregolari, mentre i finanziamenti per l’innevamento artificiale continuano a fluire copiosamente, in un tentativo sempre più dispendioso di compensare le carenze naturali. Lo sconvolgimento dei ritmi naturali non minaccia solo il turismo invernale: la neve rappresenta infatti una fondamentale riserva idrica che, sciogliendosi gradualmente in primavera, alimenta ghiacciai, corsi d’acqua montani e garantisce l’approvvigionamento idrico di vaste aree. La sua diminuzione sta quindi innescando una reazione a catena che coinvolge l’intero ecosistema montano e le attività umane che da esso dipendono. I dati raccolti dalla CIMA Foundation ci parlano di una stagione della neve che inizia a rilento. Novembre 2024 ha presentato una situazione paradossale: temperature inferiori alla media dell’ultimo decennio, teoricamente favorevoli all’accumulo nevoso, ma accompagnate da una preoccupante scarsità di precipitazioni. Le Alpi, vero e proprio “castello d’acqua” dell’Italia, mostrano segni di sofferenza, nonostante un lieve miglioramento dovuto alle nevicate di fine novembre. Negli Appennini le precipitazioni nevose hanno garantito accumuli nella norma, con picchi superiori alla media in alcune zone come l’Appennino Tosco-Emiliano e la Sicilia. L’articolo redatto dagli esperti della CIMA Foundation sottolinea come la diminuzione della neve comporti conseguenze a cascata sull’ambiente: dalla riduzione dell’albedo, che accelera il riscaldamento globale, alla compromissione dell’approvvigionamento idrico estivo, fino all’impatto sulla fertilità del suolo. Il manto nevoso, estremamente sensibile alle variazioni termiche, subisce alterazioni sia nell’estensione che nella densità, modificando profondamente gli equilibri degli ecosistemi montani. Il difficile anno delle Alpi Il drammatico scenario dei ghiacciai alpini continua a peggiorare, come evidenzia l’ultimo report della Carovana dei Ghiacciai di Legambiente. Nonostante le abbondanti nevicate primaverili del 2024 avessero inizialmente fatto sperare in un miglioramento, le elevate temperature estive hanno rapidamente vanificato questi benefici, portando a un’ulteriore significativa perdita di massa glaciale. Come ha dichiarato in una nota Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente: “Ignorare quanto sta accadendo in alta quota significa esporre il nostro pianeta a rischi insostenibili perché questi fenomeni hanno ripercussioni anche a valle. È necessario e urgente lavorare sulle politiche di mitigazione e di adattamento alla crisi climatica. Facendo rete con ricercatori ed esperti, e questo è anche l’obiettivo principale del protocollo d’intesa che l’associazione ha firmato con il Comitato glaciologico italiano, e le comunità locali. Da qui anche la necessità di definire al più presto una road map europea, di cui ci facciamo portavoce, per promuovere una gestione efficace e una protezione adeguata delle aree montane fragili ma importanti e degli ecosistemi”. L’Adamello, il più grande ghiacciaio delle Alpi italiane, rappresenta emblematicamente questa crisi, registrando una perdita di spessore di 3 metri nel settore frontale. La situazione non è migliore per altri ghiacciai monitorati: il Careser ha perso in media 190 centimetri di spessore, mentre le Vedrette Lunga e di Ries hanno subito una riduzione tra 1,5 e 2 metri. Un fattore aggravante è stato il deposito di sabbia sahariana durante le perturbazioni primaverili, che ha accelerato il processo di fusione riducendo la capacità riflettente della neve. Il fenomeno si inserisce in un quadro più ampio di eventi meteorologici estremi, con ben 146 episodi registrati sull’arco alpino nel 2024, concentrati principalmente in Lombardia (49 eventi), Veneto (41) e Piemonte (22). Il cambiamento climatico sta ridisegnando profondamente il volto delle Alpi, con impatti che vanno ben oltre la sola fusione dei ghiacciai. Secondo il report di Legambiente, l’intero ecosistema montano sta attraversando una fase di estrema trasformazione che minaccia l’equilibrio secolare di praterie, boschi e fiumi alpini. La fauna alpina sta mostrando segni evidenti di difficoltà nell’adattamento a questi rapidi cambiamenti. Particolarmente colpiti sono gli ungulati come il camoscio, ma ancora più preoccupante è la situazione di specie come la pernice bianca, la lepre variabile e l’ermellino, la cui sopravvivenza è strettamente legata alla presenza del manto nevoso. Un fenomeno particolarmente interessante è l’emergere di nuovi ecosistemi nelle aree proglaciali, ovvero quelle zone che si liberano progressivamente dai ghiacci. Il progetto Ice&Life stima che entro il 2100 il ritiro dei ghiacciai (escluse le calotte polari) potrebbe liberare tra i 147.000 e i 338.000 km² di nuove superfici, un’area paragonabile alle dimensioni della Finlandia. Questi nuovi ecosistemi, potenzialmente adatti ad ospitare specie adattate al freddo, rappresentano una sfida importante per la conservazione. Attualmente, meno della metà delle aree glacializzate rientra in zone protette, evidenziando una lacuna significativa nelle politiche di tutela ambientale. Il report sottolinea infine l’urgenza di istituire nuove aree protette specifiche per gli ecosistemi glaciali e periglaciali. È inoltre fondamentale che le raccomandazioni dell’IPCC vengano tradotte in azioni concrete, promuovendo un dialogo efficace tra comunità scientifica e decisori politici per integrare la tutela di questi habitat nelle strategie globali di adattamento ai cambiamenti climatici. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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