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Indice degli argomenti: In che modo va ripensata la mobilità in città e in provincia? In tema di mobilità attiva cosa si può fare? Quali sono i punti critici del PNRR e quali gli aspetti positivi? Come si può creare un’Italia davvero resiliente, dal punto di vista della mobilità? Serve puntare sulla mobilità sostenibile per città resilienti, ma anche creare i presupposti per collegare ambito urbano ed extraurbano. Occorre pensare a realizzare infrastrutture viarie capaci di rendere sicuri gli spostamenti: sulle nostre strade ci sono ancora oltre 3.300 morti ogni anno e 250.000 feriti. Lo ricorda il Rapporto MobilitAria 2021, aggiungendo che metà delle città italiane supera i limiti per la qualità dell’aria. Cosa serve davvero per cambiare le cose? Nello stesso report, coordinato da Anna Donati, quale responsabile per Kyoto Club del Gruppo Mobilità Sostenibile, insieme a Francesco Petracchini, Direttore CNR Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, si sono fatte proposte. Nello specifico è stato elaborato un documento di approfondimento per un “Un Piano di Ripresa e Resilienza per la mobilità sostenibile”, per orientare le scelte pubbliche sul PNRR italiano. In cifre si traduce in una proposta pari a 41,15 miliardi di euro, da ripartire tra la spesa “climatica” e la spesa “Infrastrutture per la mobilità” del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, da investire su tre ambiti prioritari: mobilità urbana e regionale (29,7 miliardi), elettrificazione (7,95 mld), messa in sicurezza delle infrastrutture stradali (3,5 mld). Anna Donati Anna Donati, quale portavoce Amodo (Associazione mobilità dolce), ma anche forte dell’esperienza e competenza in veste istituzionale – ha ricoperto vari incarichi amministrativi e politici e anche a livello di PA locale – e non solo, può dire la sua. E lo fa in modo chiaro, a cominciare dal momento che viviamo: «la pandemia ci ha insegnato a muoverci di più a piedi e in bici. Ma in questo senso sono molto preoccupata su due fattori: uno a livello urbano, dove occorre dare impulso con forza sulle ciclovie e aree pedonali. Altrimenti questa vocazione è destinata a spegnersi». Si riferisce al PNRR appena inviato a Bruxelles, che potrebbe cambiare le cose in meglio anche sotto l’aspetto della mobilità. La pandemia ha innescato un desiderio di muoversi in modo diverso: bici e monopattini hanno cominciato a prevalere sulle auto. Oggi, in che modo va ripensata la mobilità in città e in provincia? Il rapporto MobilitAria, che ha voluto fornire uno stato reale della situazione della mobilità urbana e della qualità dell’aria nelle 14 città metropolitane nel 2020, anno della pandemia, ha messo in luce diversi aspetti. Dopo il crollo degli spostamenti durante il lockdown, si è tornati a muoversi. Da qui, con i vari momenti vissuti in estate, autunno e inverno si possono sottolineare alcuni aspetti: la mobilità attiva (piedi, bici, monopattini) è ormai un elemento importante, il trasporto collettivo è entrato definitivamente in crisi, l’auto è il mezzo prevalente, pur con un decremento della mobilità. Resta da comprendere ora cosa accadrà dopo la pandemia. La pandemia ha mostrato i punti deboli, in primis il TPL. Quindi al primo punto occorre puntare a promuovere una ripresa del trasporto collettivo, su ferro e gomma, urbana ed extraurbana. Secondo: occorre accelerare tutti gli investimenti per tramvie (per le città), metropolitane (dove necessario), treni. Il PNRR in questo senso ha previsto meno risorse rispetto a quanto ci saremmo aspettati e che sarebbero state necessarie. Pur lodando la decisione di allocare 27 miliardi complessivi (tra Piano vero e proprio e fondo complementare) alle ferrovie, solo 9 sono dedicati a ferrovie regionali, nodi metropolitani ecc. Sono una risorsa esigua pensando a quanto terreno si debba recuperare. E in tema di mobilità attiva cosa si può fare? La pandemia ci ha insegnato a muoverci di più a piedi e in bici. Ma in questo senso sono molto preoccupata su due fattori: uno a livello urbano, dove occorre dare impulso con forza sulle ciclovie e aree pedonali. Altrimenti questa vocazione è destinata a spegnersi. A livello extraurbano, ci sono due fenomeni: le ciclovie turistiche e le reti urbane ed extraurbane. Sulle prime, contiamo 10 grandi ciclovie con 6600 km di rete programmata, più o meno in stato di avanzamento. Il PNRR dice che ne dovremmo farne solo mille perché non ci sono risorse. Ci pare assai poco, in ogni caso i fondi sono ampiamente insufficienti a dare una svolta nei prossimi cinque anni alla bicicletta, in senso turistico e lavorativo. Ed è un peccato perché città e territori sarebbero pronti e ne avrebbero un grande bisogno. Il problema è che non si è mai curato il collegamento con paesi e frazioni, demandato in gran parte all’auto e – meno – al trasporto pubblico. Solo oggi si comincia a parlare di intermodalità treno-bici o autobus-bici e a livello di infrastrutture. Ci sono esempi virtuosi di collegamenti urbani/extraurbani che coinvolgono le bici? Pochi. Bologna ha presentato lo scorso settembre la Bicipolitana, la rete ciclabile metropolitana (600 km circa) che a partire dalla città capoluogo connetterà tutti i principali centri abitati, poli produttivi e funzionali del territorio metropolitano. Posso citare poi il recente progetto di super-ciclabile tra Firenze e Prato (12 km), ovvero una ciclabile dedicata, urbana ed extraurbana, pensata non solo per il tempo libero. A Reggio Emilia si sta lavorando per rafforzare i collegamenti in sicurezza tra provincia e città.</a Ma siamo ancora a esempi, macchie di leopardo: serve invece una pianificazione ad ampio raggio. Non sono certo sufficienti i 600 milioni del PNRR per la bicicletta. Quali sono gli altri punti critici del PNRR? Sono stati immaginati grandi cantieri da realizzare in 5 anni: siamo molto perplessi a riguardo. Si è fatta una gran fatica a realizzare parti della infrastruttura Alta Velocità nei 20 anni precedenti… In ogni caso, sarebbe stato agevole portare avanti in contemporanea cantieri di grandi ciclabili e cantieri in ogni città per le ciclovie, oltre che quelle di collegamento tra borghi e paesi. Il valore aggiunto del cantiere della ciclabilità non è solo di “riprogettare la lentezza”, ma permette di dare qualità ai territori e di valorizzare il turismo sostenibile oltre a rafforzare la mobilità attiva. Inoltre contribuisce anche alla necessità di decarbonizzazione e di riduzione delle emissioni, cui si collega anche il tema della elettrificazione dei trasporti, dal TPL al trasporto merci fino all’auto privata, il cui impatto deve essere comunque ridotto. Cosa invece va messo in luce sul Piano? Certamente lo stanziamento di 1 miliardo di euro ai borghi più i fondi alle aree interne – sperando che si arrivi a un coordinamento tra le due parti – fa ben sperare. Anche lo stanziamento sulle ferrovie è importante, ma ribadisco: c’è molta preoccupazione sui 9 miliardi per il TPL, davvero esigua rispetto alla fame di trasporto locale e pendolare. Se consideriamo gli investimenti normalmente allocati per opere ferroviarie, diventa difficile pensare a quanto rimarrà per il resto. Forse sbaglio, ma in tempi normali per le ferrovie si è investiva analoghe cifre per l’ambito locale. Sul PNRR si ragiona molto sulle grandi opere, ma non di collegamenti sul territorio circostante. Quello che manca è un disegno strategico che vede combinate le azioni di acquisto treni, avvio infrastrutture e acquisto di contratti di servizio fondamentali per far andare i mezzi. Nel PNRR un termine fondamentale è la resilienza. Come si può creare un’Italia davvero resiliente, dal punto di vista della mobilità? Su questo punto è fondamentale la qualità dei progetti, capaci di comprendere tutti gli aspetti utili e le rispettive esigenze. Pensiamo alle infrastrutture di rigenerazione urbana: esse devono tenere conto della necessaria opera di riqualificazione dei quartieri, ma anche della necessità di collegamento con le aree circostanti; le stesse infrastrutture devono considerare l’impiego della bioedilizia e di opere di ingegneria naturalistica. Per fare un esempio: la città di Portland (in Oregon) ha stilato un piano di resilienza e adattamento basato sui “giardini della pioggia”, sulle piste ciclabili e pedonali, sul coinvolgimento della popolazione, sulle Green street senza usare asfalto ma utilizzando materiali porosi e drenanti. Occorre partire dalla capacità di pensare – o ripensare – gli interventi in base alle necessità reali, comprendendo varie competenze per la progettualità e guardando in prospettiva. Chi è Anna Donati Esperta di tutela del territorio, mobilità sostenibile ed infrastrutture di trasporto, Anna Donati collabora con Kyoto Club, di cui è coordinatrice del Gruppo Mobilità. Inoltre è portavoce di AMoDo – Alleanza per la Mobilità Dolce, che mette insieme le principali associazioni e punta alla salvaguardia del patrimonio ferroviario locale, allo sviluppo delle greenways, dei cammini e dei percorsi turistici a tutela del paesaggio e della mobilità dolce. Fa parte dell’Osservatorio Nazionale sulla Sharing Mobility promosso dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile e Ministero per l’Ambiente. Dal 1995 al 2001 ha lavorato come Responsabile nazionale Trasporti del WWF Italia. Per quanto riguarda i suoi incarichi istituzionali: è stata Assessore alla mobilità ed infrastrutture a Napoli, nonché Assessore alla Mobilità del Comune di Bologna (dal 1993 al 1995) dove ha portato a soluzione il progetto per la nuova ferrovia veloce. È stata parlamentare dal 1987 al 1992, eletta alla Camera dei Deputati in Emilia-Romagna con il primo Gruppo dei Verdi in Parlamento. Nel 2001, eletta al Senato della Repubblica, si è impegnata in Parlamento e nelle città per migliorare i servizi di trasporti collettivi e la mobilità sostenibile. Nel 2006, rieletta, stata presidente della commissione lavori Pubblici e Comunicazioni del Senato nella XV Legislatura. Ha promosso la revisione del codice in materia di appalti, la riforma delle concessionarie autostradali, il sostegno agli investimenti ferroviari e per i pendolari, la riqualificazione del trasporto pubblico locale. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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