I problemi dell’eolico offshore italiano

Il potenziale dell’eolico offshore italiano c’è, ma la realtà dice che siamo indietro, tra burocrazia, panorama normativo incerto e infrastrutture industriali ancora da realizzare

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I problemi dell’eolico offshore italiano

I problemi dell’eolico offshore italiano non li nasconde certo uno dei massimi esperti del settore: «Come definire il sistema Italia dell’eolico offshore? È una palude». Luigi Severini, ingegnere artefice del primo – e tuttora unico – impianto eolico offshore nazionale esprime senza giri di parole la situazione nazionale odierna relativamente a un comparto che potrebbe regalare grandi soddisfazioni al nostro Paese e di cui lo stesso Severini ne è un convinto assertore.

In occasione del convegno intitolato “Eolico galleggiante e tecnologia: una possibile filiera italiana”, ha volutamente fatto aggiungere un punto interrogativo al titolo, per sottolineare i dubbi legati a uno scenario con troppe incertezze e poche sicurezze.

È vero: l’Italia può contare su eccellenze di livello europeo nel settore manifatturiero utili a costruire piattaforme e altre parti utili a costruire gli impianti eolici offshore galleggianti.

Sebbene i dati parlino di un potenziale italiano nell’eolico floating offshore superiore a 200 GW, «a tutt’oggi, a differenza di altri Paesi, l’Italia ha soltanto 30 MW installati». Lo afferma con cognizione di causa, dato che – tra l’altro – è stato l’ideatore, il progettista e il direttore dei lavori dell’impianto di Taranto che per dimensioni risulta essere di fatto un esperimento di laboratorio ma a oggi è l’unico impianto offshore realizzato.

«Il dato positivo è che è stato avviato in maniera esemplare», nonostante si siano dovute costruire competenze in un contesto difficile.

Seppure ci siano promettenti previsioni sul potenziale italiano nell’eolico offshore, esistono «diverse problematiche da affrontare in maniera consapevolmente adeguata. In alcuni casi permane una mancanza di informazione; in altri le informazioni ci sono, ma vi è una sottovalutazione molto pericolosa del problema», ha ricordato l’esperto e presidente di un noto studio di Ingegneria industriale, civile e ambientale, da tempo impegnato nell’eolico offshore. 

I problemi dell’eolico offshore italiano: mancano i piani e servono accordi internazionali

Secondo l’Osservatorio Permitting di ANIE Federazione, alla data del 30 giugno 2023 erano depositate presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica istanze per complessivi 108 GW di progetti di impianti a fonte rinnovabile per la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). L’interesse e il dinamismo non mancano, quindi, ma ci si scontra con problemi burocratici estenuanti. Va ricordato, a tale proposito, che ci sono voluti ben 14 anni per portare il progetto eolico offshore di Taranto al traguardo.

I problemi dell’eolico offshore italiano

Cosetta Viganò, responsabile degli Affari normativi e regolatori di Elettricità Futura ha segnalato che l’Italia può sì giocare un ruolo di leader nel settore eolico, ma ha messo in luce i diversi problemi, a carattere burocratico e normativo, di cui soffre.

«L’iter per la realizzazioni degli impianti è lungo e complesso, coinvolge le amministrazioni centrali e i territori, e i costi di investimento ed esercizio sono molto elevati», ha riportato nel suo intervento.

Il quadro di riferimento per lo sviluppo di questo settore, l’integrazione nella rete e il sostegno alle iniziative è ancora molto incerto.

Illuminante la situazione riguardante il Piano di gestione dello spazio marittimo. A ottobre 2022 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha aperto la consultazione sul PGSM, alla quale Elettricità Futura ha partecipato.

Ad aprile 2023 la Commissione europea ha comunicato all’Italia l’attivazione della seconda fase della procedura di infrazione, in merito alla mancata approvazione del Piano. Il parere motivato oltre all’Italia è stato inviato anche a Bulgaria, Grecia, Cipro e Romania. Ai 5 paesi è stato richiesto di adottare entro 2 mesi le misure necessarie per evitare il deferimento della procedura alla Corte di Giustizia europea.

Nel corso dell’estate sono circolate bozze del Piano di gestione, ma si è ancora in attesa dell’iter di adozione.

C’è poi il DM “FER 2”, la cui proposta è stata trasmessa a fine 2022 alla Conferenza Unificata che ha espresso il suo parere. «A inizio 2023 il testo è stato inviato alla Commissione europea per la verifica di compatibilità con la disciplina degli aiuti di stato.

Nel corso del 2023 sono circolate ulteriori bozze, ma non sono tutt’ora disponibili informazioni chiare sulla definitiva adozione del decreto», ha ricordato Viganò.

La stessa ha ricordato anche il nodo delle connessioni e dello sviluppo della rete: in totale ci sono richieste di connessione per quasi 97 GW.

A proposito della mancanza di un piano di gestione dello spazio marittimo, lo stesso Severini ha segnalato che «c’è un grande assente di cui ancora non si parla: il Ministero degli esteri. Dato che tutte le previsioni del floating sono oltre le dodici miglia, l’Italia non ha ratificato nessun patto bilaterale con i Paesi frontalieri. Non solo: ha subito un’aggressione unilaterale da Tunisia e Algeria: essi hanno dichiarato che le loro zone economiche di interesse arrivano fino alle nostre 12 miglia. Cosa facciamo allora nel piano della pianificazione degli spazi marittimi?»

L’auspicio è di non fare a nostra volta «l’errore di generare un arbitrio in acque internazionali non ancora definite in termini amministrativi e in termini di diritto allo sfruttamento economico-commerciale». Quindi si profila un vulnus sui piani che rischia di avere contraccolpi pesanti sullo sviluppo dell’eolico offshore. Occorre, quindi, «fare parecchia strada nelle stabilire con i Paesi fronte Mar Mediterraneo gli accordi necessari».

 Altri nodi: l’ottimizzazione dei porti e la sfida dei nuovi poli industriali

A questa dose di incertezza, si aggiunge ai problemi dell’eolico offshore italiano la necessità di un adeguamento normativo sui porti.

La stessa responsabile di Elettricità Futura lo ha ricordato tra le azioni necessarie per lo sviluppo dell’eolico offshore: c’è bisogno di adeguare/ammodernare lo stato delle infrastrutture, in particolare di quelle portuali, che necessitano di investimenti strutturali importanti e concertati.

Severini, a tal proposito, ha ricordato che quelli «governati amministrativamente dalle autorità portuali non possono ospitare cantieri, o meglio possono contemplare solo quelli che riguardano lo sviluppo del porto stesso». L’ingegnere ha citato a riguardo la legge 84/1994 che disciplina l’ordinamento e le attività portuali per adeguarli agli obiettivi del piano generale dei trasporti.

Ottimizzazione dei porti per lo sviluppo dell'eolico offshore

Si richiede una riforma di legge tale da poter effettuare lavori come quelli riguardanti lo sviluppo dell’eolico offshore e delle componenti necessarie, come già accade in vari altri Paesi. «Pur considerando il nostro sistema industriale metalmeccanico il migliore al mondo in assoluto, è localizzato male. Gli operatori di questo settore che hanno la fortuna di avere i loro impianti in porto si contano sulle dita di una mano; gli altri sono ubicati nell’entroterra».

Questo è un grave problema, dato che solo per realizzare parti voluminose come basamenti e altre parti d’impianti eolici occorre considerare spazi adeguati e necessità di produrli in maniera snella e automatizzata. Tanto per far capire l’entità del problema basti dire che la sola componente flottante occuperebbe uno spazio ampio la piazza principale di Copenhagen. Ed è solo una parte.

«Vanno creati, quindi, siti industriali in aree portuali», adeguati a gestire una produzione metalmeccanica di questa capacità. «Occorre passare a una organizzazione molto simile a quella che ha generato la costruzione in serie nel mondo automotive – chiarisce l’ingegnere – Stiamo parlando di piastre logistiche portuali fortemente attrezzate per la movimentazione e di piani di movimentazione di carico che consentano la traslazione orizzontale di tipo robotizzato». L’esperto ha elencato altre necessità per creare poli industriali in grado di soddisfare la necessità di raggiungere il target 2030 che richiede di installare 6000 turbine l’anno. Tanto per comprendere il lavoro immane che ci attende, oggi in Europa sono poco più di seimila turbine installate…

Questo è quanto si richiede: una autentica rivoluzione copernicana degli ambiti industriali portuali, per affrontare una sfida ciclopica ma necessaria a recuperare il terreno e raggiungere i traguardi fissati. «O acceleriamo e il sistema industriale italiano si dice disponibile a competere oppure saremo clienti di tecnologie e forniture estere in primis clienti della Cina».

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