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Approfondimento realizzato in collaborazione con Architettura>Energia, centro ricerche del Dipartimento Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara. Il Novecento si è distinto per l’ininterrotta crescita urbana e lo sviluppo di quartieri residenziali periferici a basso costo destinati alle classi più in difficoltà. Questi quartieri si sono sviluppati in maniera irregolare, con l’alternarsi di zone residenziali ad alta densità, aree industriali e residui rurali. Contestualmente, il crescente aumento del costo della vita in città ha obbligato – e obbliga tutt’ora – molte famiglie a cercare sicurezza economica e psicologica nelle periferie, erroneamente ritenute luoghi più affidabili e tranquilli; al contrario, il tessuto residenziale della periferia urbana è dotato di spazio pubblico estremamente rarefatto e polverizzato, caratterizzato dall’assenza di luoghi per la socialità e l’incontro, con conseguente perdita di quella importante dimensione locale che consolida i rapporti e le relazioni interpersonali. È all’interno di un contesto come quello appena descritto che si colloca l’area oggetto di riqualificazione: il quartiere di edilizia residenziale popolare di Rovezzano, nella periferia est di Firenze. La storia del quartiere ha origine negli anni Cinquanta quando, nel periodo di maggior operosità del piano Ina-casa, vennero costruite le prime case popolari tra la ferrovia, via della Ripa, il Mensola e Via di Rocca Tedalda. Il progetto realizzato a metà del secolo scorso, prevedeva alloggi provvisori realizzati con materiali di poco pregio, nati per rispondere all’emergenza abitativa diffusa, tipica della situazione italiana nel dopoguerra. A causa dell’inerzia delle amministrazioni pubbliche di gestione del patrimonio edilizio sociale, dopo più di cinquant’anni, la maggior parte degli edifici in linea del quartiere, non sono stati oggetto né di riqualificazione, né di sostituzione. L’ultimo progetto realizzato per l’area, risulta quello di Gianfranco di Pietro, il quale si è occupato nel 1984 di progettare la sostituzione delle case minime del 1954 con edifici a ballatoio che tutt’ora occupano l’area centrale del comparto. Dalla storia delle trasformazioni edilizie si evince come il degrado sociale dell’area sia legato alla scarsa qualità dell’edificato, sfruttato per un periodo ben più lungo di quello previsto e che risponde alle esigenze di nuclei familiari ormai fortemente mutati e quindi divergenti rispetto a quelli che regolarono le logiche progettuali delle realizzazioni. Le riflessioni espresse, conducono alla scelta di operare nel quartiere popolare con un progetto di riqualificazione generale di tutto lo spazio pubblico presente nel comparto e con la demolizione e ricostruzione degli edifici in linea dell’area ovest, in quanto i più compromessi sia dal punto di vista strutturale che energetico. Il modello abitativo di cohousing – elaborato attraverso all’esperienza di progettazione partecipata, per approdare ad un approfondimento progettuale sotto il profilo tipologico, tecnologico ed energetico dei nuovi interventi edilizi – è parso quello più versatile, inclusivo e innovativo tra le possibili alternative progettuali applicabili. Interessante in ultimo porre in evidenza il potenziale dell’area: la posizione strategica in adiacenza alle grandi infrastrutture della linea ferroviaria Roma-Firenze e dell’Autostrada del Sole, adiacenza alle limitrofe estese aree verdi, vicinanza dell’Arno e alle scuole e servizi. Il COHOUSING come rigenerazione urbana Questa proposta progettuale si connota come la volontà di offrire nuove prospettive per un quartiere che rispecchia le problematiche di molte periferie italiane, attraverso un modello abitativo alternativo: il cohousing. Vero e proprio stile di vita della cultura postmoderna, il cohousing è la risposta alla ricerca di una maggiore sostenibilità economica ed ambientale volta a ristabilire i legami che connettono il singolo alla comunità che lo circonda. Il fenomeno affonda le radici nel contesto scandinavo degli anni Settanta del secolo scorso, ponendosi come soluzione alternativa alle contemporanee problematiche sociali, quali la precarietà del lavoro, la polverizzazione del tradizionale assetto familiare e la contrapposta impennata dei nuclei mono-genitoriali. Le strategie proposte da questo modello altro non facevano che ritracciare quelle situazioni di socialità precedentemente affidate proprio al tipo di famiglia “tradizionale” che si stava in quel momento sgretolando. Ecco allora che, in un’ottica lungimirante, il cohousing si configura come possibile soluzione alla criticità in cui si trova l’edilizia residenziale pubblica oggi, degradata e ghettizzata: nuclei abitativi differenti associati a spazi ricreativi e funzionali possono essere la chiave per invertire questa infelice tendenza. E’ interessante notare che, ove già applicato, questo modello residenziale in contesti di edilizia pubblica ha portato alla nascita di tipologie abitative ad hoc per nuovi fruitori, insieme ad innovative modalità di gestione del patrimonio immobiliare, nella comunicazione tra soggetto pubblico e privato, in un sistema misto di burocrazia e autogestione. Infatti, il processo che porta alla realizzazione del progetto stesso di coabitazione prevede, per definizione, un percorso di avvicinamento e sensibilizzazione che coinvolge enti interessati e futuri abitanti. Nello specifico la formula cohousing richiede l’organizzazione di incontri di progettazione partecipata con la cittadinanza, in quanto si ritiene che siano i residenti stessi i migliori interlocutori in grado di fornire risposte qualitative ed efficaci per lo spazio in cui essi vivono, pertanto, anche nel caso di Rovezzano, il primo passo è stato organizzare questa fase preliminare. Si sono tenuti due incontri con gli attuali residenti del quartiere: il primo, mirato alla raccolta dati per mezzo di un questionario distribuito porta a porta, ed il secondo per sondare la disponibilità alla condivisione, in termini di spazio e di tempo. Successivamente, sulla base dei punti chiave emersi dal confronto, è stato elaborato un progetto di massima che è stato poi presentato, discusso e rielaborato insieme ai residenti stessi, che hanno evidenziato puntualmente le criticità ed espresso preferenze progettuali attraverso l’utilizzo di stickers colorati su mappe cartacee di grande formato. A partire dalle informazioni raccolte durante gli incontri di progettazione partecipata e in seguito alle analisi energetiche e strutturali dei vari edifici, è stato elaborato un progetto di riqualificazione dell’intero quartiere. Il punto fondante della strategia è stato l’individuazione e la connessione delle polarità e dei principali luoghi di pregio di Rovezzano. Per questo scopo viene progettato un percorso ciclo-pedonale attrezzato per l’attività sportiva; un vero e proprio fil rouge fra il nuovo edificio (in sostituzione delle tre “H” nel comparto ovest) ed il resto del quartiere ERP. Il percorso si connota infatti come attraversamento interno di ogni edificio a ballatoio, congiungendosi con il nuovo polo sportivo (da realizzare nel parco attualmente incolto collocato a nord-ovest del comparto), per proseguire sulla nuova piazza (ricavata dalla demolizione selettiva di parte dell’edificio centrale, che a sua volta verrà destinato a funzioni commerciali di vicinato) e per confluire infine nel nuovo sottopassaggio della Stazione ferroviaria, anch’essa riqualificata. A completamento dell’impianto strategico progettuale non poteva tuttavia mancare una rivisitazione della circolazione veicolare interna del quartiere. Quest’ultima ripensata in modo da pedonalizzare due aree e realizzare nuovi spazi verdi alberati destinati al tempo libero. La corte come tipologia edilizia e strategia insediativa La strategia che connota l’intervento si basa su logiche essenziali e pragmatiche – o dualismi operativi se si vuole – evidenziatesi durante le prime fasi progettuali: sostenibilità e autonomia, tecnologia e innovazione, economicità e risparmio. In seguito ai vari sopralluoghi, il dato più evidente è risultato essere quello relativo alla qualità dello spazio pubblico, rarefatto e polverizzato, di risulta fra i vuoti sconnessi del fitto tessuto residenziale. E’ pertanto evidente che per superare queste incoerenze spaziali, non sia sufficiente la mera “organizzazione di attività”, ma si debba fisicamente provvedere alla realizzazione di consoni luoghi di relazione. La tipologia della corte, per sua stessa definizione, si presta meglio di altre soluzioni a ricreare la mediazione perduta tra spazio pubblico e privato, chiuso e aperto, interno ed esterno tra l’abitazione e la città. La progettazione dei luoghi di aggregazione sociale Il nuovo edificio a corte, a destinazione residenziale, è stato inteso come unico compenetrato da vuoti (come grandi finestre sulla città) e spazi di relazione per il tempo libero e per la condivisione di attività tra gli insediati e i cittadini. Tali spazi, collocati al piano terra, sono stati definiti durante la fase di progettazione partecipata, e pertanto sono frutto di specifiche esigenze espresse dagli abitanti: una nuova sede per il bar “Hard Rocca Tedalda” attualmente sottodimensionato e inaccessibile ai disabili; una sala polivalente; una palestra; un asilo autogestito; un negozio Gruppo Acquisto Solidale per la vendita di prodotti a Km 0; una falegnameria; due depositi per le biciclette e cantine condominiali. Questo primo “layer comunitario” ambisce a divenire luogo di riferimento ben riconoscibile per la comunità: costruito in cemento armato a vista, si ripromette di marcare la separazione tra pubblico e privato rispondendo al contempo ad una precisa esigenza di sicurezza in caso di esondazioni, data la rilevata pericolosità idraulica del sito. La progettazione degli alloggi La tipologia a ballatoio consente una disposizione seriale degli alloggi, in un’aggregazione molto semplificata di unità abitative compatte. Il ballatoio assume un ruolo attivo nella vita sociale dell’edificio ospitando funzioni collettive e in un certo senso, ordinando le attività di cohousing. Ecco così che, secondo le logiche e il modello tipologico adottato, al piano terreno trovano collocazione i macro-servizi sfruttati da tutto il nuovo complesso edilizio, mentre sono distribuite ai vari piani aree semi-private per il tempo libero e micro-servizi. Questi spazi costituisco delle “eccezioni” nello sviluppo seriale degli alloggi e frantumano l’uniformità dei prospetti in modo immediatamente riconoscibile. Visti dall’esterno si presentano come volumi vuoti, lasciando percepire scorci di vita comunitaria mentre dall’interno – giocando con i disallineamenti del policarbonato – tendono a protrarsi verso la corte, il fulcro del cohousing. Merita infine un cenno anche la soluzione prescelta per la copertura dell’edificio. Volutamente quest’ultima non è stata concepita come mera chiusura dell’edificio, ma come parte “vivente, partecipata e inclusiva” del tutto, ospitando l’orto comune. La flessibilità è la possibilità di adattamento dello spazio in funzione delle esigenze che si presentano in un determinato momento. Un ampio parco di possibilità spaziali per la residenza costituisce la risposta alla necessità di comportamento flessibile tipica dell’abitare contemporaneo, assottigliando il confine sempre meno netto fra spazio abitativo, spazio del lavoro, spazio privato e spazio delle relazioni. Gli alloggi progettati sono di quattro differenti tipi: per nucleo unipersonale o coppia; per tre persone; per quattro persone, e per cinque persone o convivenze di studenti e /o lavoratori. La tecnologia costruttiva prescelta è stata quella lignea ed in particolare un sistema costruttivo del tipo X-lam, per i numerosi vantaggi offerti in relazione alla tipologia d’intervento prevista. Tale opzione tecnologica infatti consente di avvalersi di fornitori e risorse locali (e ridurre al minimo le emissioni di CO2 causate dal trasporto di materiali), di completare il fabbricato grazie a tempi rapidi e predeterminati di assemblaggio e finitura, costi molto competitivi rispetto alle tecnologie tradizionali oltre che rispettare facilmente la vigente normativa antisismica. Per assecondare la massima serialità in fase di produzione, gli alloggi sono stati progettati come multipli di un modulo base di 55 cm, misura che ha permesso di ridurre l’abaco di elementi costruttivi in X-lam (circa 20 tipi distinti) e dei pannelli di rivestimento esterno della facciata in policarbonato, ottimizzando al massimo i costi di produzione e costruzione. Altro punto ritenuto di forza del progetto risulta la possibile [e facile] aggregabilità degli alloggi attigui: l’ente proprietario infatti prevedeva tra i suoi desiderata iniziali avere la possibilità di adattare il parco delle residenze a seconda degli sviluppi futuri. Il sistema strutturale progettato è stato già predisposto per eventuali aggregazioni/disaggregazioni senza rilevanti e invasive variazioni strutturali. Nelle intenzioni le aggregazioni saranno potenzialmente bidirezionali: da un lato si deve permettere ad un nucleo familiare di espandersi attraverso l’accorpamento con una abitazione adiacente e dall’altro è necessario consentire agli alloggi di separarsi in caso di disgregazione o polverizzazione di un nucleo. Efficienza energetica: involucro e impianti Le scelte relative ai materiali costruttivi e all’impiantistica dell’edificio sono state prese in funzione delle linee guida emerse durante la Covenant of Mayors – Patto dei Sindaci (Febbraio 210), in cui il Comune di Firenze si impegna a partecipare al Piano 20-20-20 per la diminuzione di emissioni di CO2 del 20% entro il 2020. In particolare, i materiali utilizzati sono stati scelti per le prestazioni offerte negli ambiti dell’isolamento acustico, della trasmittanza termica, dell’inerzia termica, del tempo di sfasamento e di smorzamento e per il loro ciclo di vita. Nello specifico, il rivestimento in policarbonato della facciata è differenziato a seconda dell’orientamento: a sud una serra solare con ampi elementi finestrati apribili per una buona ventilazione durante la stagione estiva e la captazione di radiazione solare durante l’inverno; a nord, verso la linea ferroviaria, un policarbonato che assicura migliori prestazioni di isolamento acustico; sui lati est e ovest pareti ventilate. A nord del quartiere il Parco del Mensola (29 ettari), gli orti urbani di Villa Bracci e altri territori boschivi incolti e non manutenuti, rappresentano una grande potenzialità per la raccolta di biomassa lignea da utilizzare in una centrale di cogenerazione, con la possibilità di dare il via ad un circolo virtuoso, per l’ambiente e per la comunità. Attraverso lo studio dei fabbisogni termici ed elettrici del nuovo edificio, si è potuto stimare il fabbisogno annuo di biomassa da fornire alla centrale per rispondere in maniera adeguata alle esigenze dei residenti. Per il cogeneratore si è previsto un funzionamento di 120 giorni all’anno, con soddisfacimento dello 0,5 Fc (fattore di carico) corrispondente a 65 kWhp/m2anno, mentre per i picchi di domanda invernale e i restanti giorni dell’anno sarà utilizzata una caldaia a metano, in quanto il surplus di energia termica prodotta dal cogeneratore funzionante i 365 giorni sarebbe da considerarsi uno spreco eccessivo. Per l’utilizzo della cogenerazione in questi 120 giorni, saranno necessarie 86.4 tonnellate annue di legna al 15% di umidità, corrispondenti a 73.4 tonnellate anidre; al momento della raccolta però la biomassa si presenta al 45% di umidità, perciò quelle dovranno essere effettivamente raccolte sono 220 tonnellate. Infine, per le imposizioni delle nuove normative in materia ambientale, sarà integrato in copertura un impianto fotovoltaico con moduli di silicio amorfo prodotto in strisce di 440 mm di lunghezza e spessore 4.8 mm, in grado di fornire una potenza complessiva 26.3 kW e quindi (considerando un irraggiamento di 1000 kWh/kWanno) una produzione annua di 26.300 kWhe/anno. Alcune conclusioni All’interno del panorama multiforme, ibrido e iniquo della città contemporanea occorre individuare nuovi catalizzatori di energie; idee innovative che siano in grado di ricomporre la frammentarietà e la diversificazione. Il modello abitativo del cohousing, fondato sui rapporti e i legami tra lo spazio costruito, gli individui che lo abitano e gli individui stessi, mostra come l’architettura – lontana da una sterile logica autoreferenziale – possa e debba correre fianco a fianco con le inevitabili rapide mutazioni sociali e culturali. RIFERIMENTI TESI DI LAUREA *Laureande: Arch. Miriam Ravaldi, Arch. Maria Laura Zanarini Anno accademico: 2012/2013 Relatore: Prof. Zaffagnini Theo Secondo relatore: Prof.ssa Brunoro Silvia Correlatori: Prof. Bizzarri Giacomo e Prof. Belatti Luca Tesi di laurea elaborata all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale di Tecnologia dell’architettura, del Prof. Roberto Di Giulio. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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