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Indice degli argomenti Toggle Quali sono le potenzialità e i limiti dei boschi e delle foreste italiane?Come fare delle foreste italiane luoghi di gestione e di sviluppo sostenibileLe opportunità offerte da TUFF e Strategia nazionale forestaleIl ruolo del CONAFIl 2024 come si caratterizzerà per le foreste italiane e per le attività dedicate? Le foreste italiane ricoprono più di un terzo del territorio nazionale. Per la precisione il 36,7% costituendo un patrimonio forestale di oltre 9 milioni di ettari di foreste e da quasi due milioni di ettari di altre terre boscate. Sono un patrimonio innanzitutto in ordine ambientale, ricche di biodiversità: la diversità biologica custodita dalle foreste italiane “non trova eguali in Europa”, evidenzia la Strategia Forestale Nazionale. La stessa segnala che alle foreste e alle attività forestali è “ampiamente riconosciuto un ruolo strategico nella lotta al cambiamento climatico globale”. Ma le foreste sono anche un’opportunità economica da non trascurare. Rappresentano da secoli una fonte primaria di risorse rinnovabili, utili per l’energia, per prodotti disparati in molteplici settori, dalla carta all’edilizia fino all’arredo. «La foresta ha questo valore multifunzionale, ma prima di tutto è un organismo vivente che va tutelato al di là della sua utilità per fare difesa del suolo, per la produzione di legname o per le esigenze turistiche», premette Daniele Gambetti, consigliere CONAF – Consiglio dell’Ordine Nazionale dei dottori Agronomi e dei dottori Forestali, ricoprendo il ruolo di coordinatore per lo stesso Consiglio del Dipartimento foreste, selvicoltura ed economia montana. Con lui abbiamo messo in luce la situazione che vivono le foreste italiane, che sono tra le più tutelate d’Europa (forse anche del mondo). Quali sono le potenzialità e i limiti dei boschi e delle foreste italiane? Partiamo dai limiti, legati a diversi aspetti e ai contesti territoriali specifici in cui i boschi si sono sviluppati. Si pensi, per esempio, alla grande differenza che c’è tra l’area alpina e quella dell’Appennino. In quest’ultima crescono boschi cedui la cui origine non è legata alla natura dei suoli ma anche alla storia di quei luoghi. Nelle aree appenniniche troviamo più proprietà private frazionate; nell’arco alpino c’è una cultura forestale più radicata, dovuta al fatto che il territorio si prestava soprattutto per lo sviluppo delle foreste. Le eccezioni non mancano negli Appennini: si pensi alla foresta di Camaldoli o quella di Vallombrosa, dove si è sviluppata una cultura forestale plurisecolare. Sono esempi di proprietà vasta, che è una condizione necessaria per sviluppare la silvicoltura e impostare un ciclo e ragionare su tempi di almeno 60-70 anni, contando già su un territorio che possa consentire di fare un raccolto e su superfici minime di centinaia di ettari per garantire una continuità di gestione selvicolturale adeguata. Questo è un altro limite poco considerato, ma basilare per avviare qualsiasi gestione sostenibile, non solo da un punto di vista ambientale ma anche economico. Perché va sempre ricordato che dietro alla coltivazione del bosco ci sono persone e comunità con le loro esigenze. Ecco, allora che ci ritroviamo dinanzi a un altro limite, rappresentato dalle proprietà frazionate, soprattutto nell’area appenninica. Molto spesso la situazione dei terreni dove si è sviluppato il bosco è caratterizzata dall’abbandono, da proprietà parcellizzate, sconosciute o intestate a molteplici eredi proprietari. Questi problemi si stanno affrontando progressivamente. Cosa differenzia l’Italia da Paesi anche vicini come Austria, Francia o Germania da cui arriva parte del legno che importiamo? Rispetto all’Italia hanno maturato una cultura forestale radicata nei secoli, abbinata a una passione che nel nostro Paese si ritrova solo parzialmente. Laddove è presente la cultura forestale c’è un rigoroso controllo della gestione che pure non impedisce tagli, piantagioni, diradamento e tutti gli interventi selvicolturali che consentono la conservazione di boschi in salute. I Paesi europei citati praticano una gestione sostenibile delle foreste, che significa praticare prelievi in modo che però continuino a perpetuarsi, mantenendole in salute. Come e su che cosa si sta lavorando oggi per affrontare questa situazione e fare delle foreste italiane luoghi di gestione e di sviluppo sostenibile? Si parte dal Testo unico in materia di foreste e filiere forestali (TUFF) per arrivare e contare anche sulla Strategia Forestale Nazionale e su altri strumenti emergenti in questi anni. Ma per superare il problema della parcellizzazione, l’associazionismo è un tema chiave. Solo mettendo insieme i proprietari si può comporre un quadro più ampio di proprietà su cui impostare una gestione sostenibile anche nel tempo. Penso, per esempio, alle proprietà collettive di memoria antica, come le Regole cadorine o le Regole d’Ampezzo (forme di auto-determinazione democratica che hanno origini nel Medioevo – nda), che hanno permesso di gestire proprietà collettive di boschi grazie a statuti che hanno impedito la separazione della proprietà. Oggi è possibile contare su strumenti concreti che cercano di superare visioni frammentarie, che trovano il sostegno dei membri CONAF proprio per sviluppare una politica forestale che per anni è interessata davvero poco, non potendo contare né su programmi né strumenti. Il segnale più incoraggiante è, oltre al TUFF, la Strategia forestale nazionale. Essa si rivela come una sorta di patto sociale che coinvolge molte realtà che ruotano attorno alla risorsa forestale pensato per occuparsi delle foreste ai fini del loro corretto sviluppo e dei benefici ambientali, economici e per la salute che esse possono garantire. TUFF e Strategia nazionale forestale che opportunità offrono per cercare di migliorare la situazione italiana? Essi forniscono gli strumenti per pianificare una valorizzazione e uno sfruttamento consapevole delle foreste. Il primo dà una serie di regole da cui partire per riproporre una gestione delle risorse forestali in maniera razionale, consapevole e attiva. La seconda fornisce un’indicazione strategica per la gestione delle risorse forestali senza depauperare le foreste italiane, il loro contenuto, la loro biodiversità e funzionalità, cercando però di raggiungere gli obiettivi che le risorse forestali possono esprimere, le diverse finalità, produttive e di rigenerazione delle risorse naturali. Regole e strategie portano così alla possibilità di fare una pianificazione forestale. Come entra in gioco il CONAF in tutto questo percorso virtuoso? In questo percorso il Conaf entra in gioco con le competenze professionali dei propri iscritti che, è bene precisarlo, altre categorie non hanno, e con le relazioni istituzionali e professionali che il Consiglio Nazionale conduce con tutti i soggetti coinvolti. A partire dal MASAF, dal quale si è generata la Strategia Forestale Nazionale con il contributo determinante del Conaf. Senza tuttavia trascurare il lavoro con gli altri Ministeri (in particolare il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica) e i vari Enti di ricerca, le Università e le Associazioni di protezione ambientale, le Associazioni Agricole che sarebbe dispersivo citare in modo esaustivo. Ma il Conaf entra in campo anche con le proprie articolazioni territoriali, in primo luogo le Federazioni Regionali degli Ordini provinciali, in quanto la politica e la programmazione forestale è di competenza delle Regioni. Perché, se si vuole che la Strategia Forestale Nazionale arrivi a raggiungere i propri obiettivi, le Regioni rappresentano un passaggio chiave. Anche in questo caso siamo impegnati in prima persona e a tutti i livelli a collaborare affinché la politica forestale delineata a livello nazionale, trovi applicazione sino alle sue espressioni più locali e operative. Il Conaf poi svolge un ulteriore ruolo a favore della foresta e del sistema forestale: ovvero quello di dare il proprio contributo nel mettere in evidenza i servizi ambientali o, meglio, “ecosistemici” come la rigenerazione dell’aria e dell’acqua, la conservazione della biodiversità, che vengono svolti dalle superfici forestali dal momento stesso che esistono. Questo è importante perché, se un bene non ha valore, non merita attenzione; viceversa, se un bene ha valore, merita una politica fatta su misura per la sua valorizzazione, una programmazione e la destinazione di risorse economiche e umane per la sua conservazione. Dopodiché si gioca il ruolo “in foresta” ovvero tutte quelle attività che ogni singolo iscritto che opera nel settore forestale svolge quotidianamente, dalla progettazione delle nuove aree forestali, all’esecuzione degli interventi per gestione e la conservazione del paesaggio e delle aree naturali, al taglio del bosco nel rispetto degli equilibri della foresta e al monitoraggio e la tracciabilità delle partite di legname, a tutela dei complessi forestali italiani e stranieri. Ed anche in questo caso il Conaf entra in campo, accompagnando i propri professionisti nella formazione e nella “traduzione” degli strumenti normativi, sempre più complessi e che necessitano in maniera pressante di un occhio di controllo affinché le norme possano essere applicate e non siano solo il frutto di un lavoro “a tavolino”. Il 2024 come si caratterizzerà per le foreste italiane e per le attività dedicate? Ho la sensazione che quest’anno sarà dedicato al tema della pianificazione forestale. Un altro tema chiave riguarderà la focalizzazione del vincolo paesaggistico perché ancora non è ancora stato assimilato. Proprio in questi giorni è stato convertito in legge (136/2023) il “Decreto Asset” 104/2023: un emendamento approvato e inserito in esso ha creato molto subbuglio. È quello riguardante il “doppio vincolo paesaggistico” (esistente per alcune aree boschive italiane). Sarà necessario far comprendere che prima di entrare in un bosco i dottori forestali si preoccupano della vita di quel bosco, della sua tutela e della sua storia peculiare, per garantirne la sua conservazione. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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