Gestione dei rifiuti: termovalorizzatore & C. Qual è la scelta giusta?

Per gestire i rifiuti non riciclabili evitando la discarica ci sono varie opzioni: ognuna presenta pregi e difetti, dalla termovalorizzazione all’ossicombustione fino alla gassificazione. Cosa c’è da sapere

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Gestione dei rifiuti: termovalorizzatore & C. Qual è la scelta giusta?

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La gestione dei rifiuti tiene sempre banco in Italia, termovalorizzatore di Roma a parte. Ognuno di noi produce 488 chilogrammi di rifiuti l’anno. Non va meglio in Europa dove – ricorda Eurostat – ogni cittadino UE ha prodotto nel 2020, in media, 505 chilogrammi di rifiuti, 4 in più del 2019 e 38 in più rispetto al 1995.

C’è poi la questione dello smaltimento, del riciclo e del recupero energetico. In quest’ultimo caso si parla di termovalorizzatori. Ma ci sono altre opportunità? «Per quanto riguarda la frazione organica (FORSU) la tendenza preferibile, prima di fare compostaggio, è produrre biometano, valorizzando il contenuto energetico. Abbiamo già l’infrastruttura per la raccolta e distribuzione di questo gas combustibile utilizzabile per decarbonizzare vari settori, dall’energia (produzione di elettricità) ai trasporti, dal riscaldamento edilizio all’industria. Inoltre l’Europa può contare su un’infrastruttura per lo stoccaggio già pronta per accogliere riserve utili per tre mesi», spiega Alessandro Agostini, scienziato ambientale e ricercatore ENEA.

Gestione dei rifiuti: le opportunità del biometano e le potenzialità della rigassificazione

Torniamo alla gestione dei rifiuti e alla matrice organica. Lo stesso esperto ambientale illustra come il biometano avanzato, quello prodotto da residui e rifiuti, oggi può arrivare a coprire l’8% del fabbisogno di gas naturale. Inoltre, se si effettua la metanazione della CO2 contenuta nel biogas (solitamente composto dal 60% di metano e 40 % CO2), trasformandola in metano grazie all’apporto di idrogeno verde, prodotto mediante elettrolizzatore alimentato con fonti rinnovabili, la produzione di biometano potrebbe aumentare del 60%. «I processi biologici, come la digestione anaerobica, sono più stabili, affidabili ed economici per smaltire la parte organica dei rifiuti rispetto ai processi termochimici».

Inoltre, il processo di metanazione della CO2 con idrogeno verde prodotto mediante elettrolisi permette di collegare la rete elettrica a quella del gas naturale, rendendo possibile accumulare un eventuale eccesso di rinnovabili non programmabili (fotovoltaico, eolico) sotto forma di metano.

Un’altra possibilità al vaglio della ricerca ed è quella della gassificazione. Lo stesso Agostini ha partecipato – quale rappresentante ENEA – al progetto europeo Waste2GridS – W2G, Rifiuti per le Reti (elettriche e gas), conclusosi nel 2020. Oltre all’Agenzia Nazionale hanno fatto parte del progetto anche l’EPFL (École Polytechnique Fédérale de Lausanne), la Technical University of Denmark e il gruppo industriale SOLIDpower. Obiettivo di W2G è stato mettere a punto un innovativo processo di gassificazione per produrre energia elettrica o metano da rifiuti organici. Per riuscirci hanno adottato la tecnologia rSOC (Reversible Solid Oxide Cell), basata su celle a combustibile a ossidi solidi reversibili. Oltre a produrre energia elettrica da rifiuti, la tecnologia di W2G permette di utilizzare l’elettricità in eccesso da fonti rinnovabili per produrre combustibile gassoso da utilizzare nei trasporti o da immettere nella rete di distribuzione del gas naturale. ENEA ha motivato l’interesse per questa soluzione:

“In un contesto di crescente penetrazione di fonti rinnovabili non programmabili, la tecnologia rSOC consente di valorizzare l’eccesso di produzione e di migliorare la gestione e la stabilità del sistema elettrico, favorendo l’integrazione tra la rete gas e la rete elettrica”.

Il progetto, che si limitava allo studio di fattibilità della tecnologia basato sulla disponibilità di eccesso di rinnovabili e rifiuti organici al 2030 nel sud Italia e alle potenziali configurazioni del sistema, ha concluso che «è possibile un ritorno dell’investimento tale da rendere economicamente vantaggiosa la sua realizzazione, calcolando anche quanto viene speso per smaltire rifiuti», rileva lo scienziato ENEA.

Ossicombustione e termovalorizzazione: la tecnologia e i tempi di realizzazione

Sulla questione di puntare sul termovalorizzatore a Roma, c’è anche chi sostiene l’alternativa dell’ossicombustione, il cui processo contempla la rimozione dell’azoto dal comburente per raggiungere una percentuale di ossigeno più elevata rispetto a quella dell’aria, fino a quasi il 100% di ossigeno. In generale, prevede una combustione in difetto d’ossigeno, con conseguente trasformazione del rifiuto in un gas combustibile la cui combustione avverrà in uno stadio successivo, in modo più “pulito” e controllato; tale caratteristica rende l’ossicombustione più efficiente rispetto ai processi di termovalorizzazione tradizionali dove il rifiuto viene bruciato tal quale in eccesso d’aria.

Applicata nell’industria del vetro e nell’industria metallurgica, può trovare spazio anche per la gestione dei rifiuti.

Anche in questo caso, rileva sempre Agostini «ci sono numerosi progetti, è fattibile, ma è costosa e personalmente non la vedo una soluzione nel breve periodo, quanto nel lungo».

Ma l’ossicombustione può essere un’alternativa alla termovalorizzazione? «A livello tecnologico, sono analoghe: si tratta, infatti, di processi ossidativi termochimici. L’ossicombustione, eliminando l’azoto dal comburente, ha il vantaggio di produrre un flusso di CO2 relativamente puro (a parte impurezze in tracce), per questo viene studiata maggiormente ultimamente, per poter catturare e stoccare l’anidride carbonica. Il problema è la praticabilità dello stoccaggio della CO2 che avviene con l’ossicombustione. Potrebbe tuttavia avere anche altri impieghi, ma dovrà essere purificata, ed è difficile che economicamente sia meno costosa di quella utilizzata ora, che è uno scarto del processo di produzione di fertilizzanti. A livello di tempi, per realizzare un termovalorizzatore ci vogliono diversi anni, tra scelta del luogo, iter autorizzativi e cantiere. Per un impianto di ossicombustione con cattura e sequestro di anidride carbonica si va ben più in là: nonostante la tecnologia sia conosciuta, non è ancora commerciale, ma si stanno realizzando alcuni dimostrativi».

Quindi, lo smaltimento dei rifiuti attraverso l’ossicombustione è possibile, sulla carta, ma pare difficile da realizzare in tempi brevi. Se i progetti dimostrativi dovessero in tempi brevi fornire risultati interessanti, soprattutto in termini di affidabilità e costi, sicuramente si tratterà di una tecnologia altamente competitiva con la termovalorizzazione tradizionale, anche in considerazione della possibilità di realizzare impianti di taglia medio-piccola di generazione e co-generazione distribuita sul territorio, oltre alla produzione di gas pulito per diversi utilizzi.

I problemi sul campo e le soluzioni su cui puntare

In chimica organica è possibile trasformare praticamente ogni cosa in un’altra. Poi entrano in gioco altre variabili quali i costi, l’efficienza dell’impianto, la purezza dei materiali conferiti. Per questo le varie soluzioni tecnologiche innovative per la gestione dei rifiuti sono poche sul mercato. «Questo vale anche le tecnologie di gassificazione: i problemi su scala reale sono legati al grado di purezza del materiale da trattare. Le impurità presto o tardi creano problemi e, a lungo andare, bloccano l’impianto», segnala Agostini.

Quindi se si vuole puntare a una soluzione in tempi sostanzialmente brevi per i rifiuti solidi è bene puntare sulla termovalorizzazione della frazione indifferenziata/indifferenziabile, e digestione anaerobica dei rifiuti organici. Sicuramente il dimensionamento è fondamentale a evitare che impianti sovradimensionati creino un effetto di lock-in tecnologico per cui non si lascia libera la strada a nuove tecnologie nel futuro (come la gassificazione integrata alle rSOC o la ossicombustione).

Occorre però partire dall’attenta cura della raccolta differenziata per il migliore trattamento. «in ogni caso, la migliore soluzione per la Forsu resta il biodigestore, con cui si produce anche compost di ottima qualità senza emanazioni odorigene, dopo aver fatto digestione anaerobica e compostaggio nelle biocelle, con aerazione forzata e temperatura controllata», specifica il ricercatore ENEA.

Quanto al termovalorizzatore e al supposto rischio di emissioni di diossina, il pericolo è assai basso. Sono molto più rischiosi gli incendi che divampano nelle varie discariche, a bordo strada, o in altri siti con presenza di rifiuti industriali. L’esempio del rogo di Centocelle, avvenuto lo scorso 9 luglio in un deposito di rottami d’auto, è illuminante: i valori di diossina sono stati 35 volte superiori ai limiti fissati dall’Organizzazione mondiale della Sanità. «Sono decisamente più impattanti i roghi, specie quando si riduce la temperatura (sotto gli 800 °C), rispetto ai termovalorizzatori, che sono molto controllati e agiscono con temperature elevate (850 °C)», conclude Agostini.

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