Agenda 2030: a che punto è l’Italia?

Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i relativi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese), articolati in 169 Target da raggiungere entro il 2030. È un evento storico al quale va data la massima importanza. Purtroppo, la pandemia ci ha allontanato da un futuro sostenibile, bisogna quindi attivarsi subito e arrivare in tempo al traguardo previsto. Nell’articolo l’intervista a Ivan Manzo, Segretariato ASviS e referente del Gruppo di Lavoro sui Goal 6-14-15 dell’Agenda 2030.

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L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, a che punto siamo in Italia

Indice degli argomenti:

Non viviamo in un mondo con risorse infinite. Molti fattori, non ultimo il Covid-19, ci hanno insegnato che se non facciamo qualcosa per arrestare il cambiamento climatico, presto si potrebbero verificare altre nuove catastrofi e pandemie. Occorre quindi agire subito anche attraverso un’educazione allo sviluppo sostenibile a cominciare proprio dai giovanissimi fino ad arrivare alle famiglie e alle intere comunità, italiane e mondiali.

Occorre quindi adottare un approccio integrato e misure concrete per affrontare un complesso, ma importante cambio di paradigma socio-economico. Le complesse sfide ambientali e istituzionali, devono riguardare tutti, società civile, mondo delle imprese, Governo nazionale, Amministrazioni e opinione pubblica.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto formato da 169 target o traguardi, ad essi associati, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.

Questo programma non risolve tutti i problemi, ma rappresenta una buona base comune da cui partire per costruire un mondo diverso e dare a tutti la possibilità di vivere in un mondo sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale, economico.

Gli obiettivi fissati per lo sviluppo sostenibile hanno una validità globale, riguardano e coinvolgono tutti i Paesi e le componenti della società, dalle imprese private al settore pubblico, dalla società civile agli operatori dell’informazione e cultura.

I 17 Goals fanno riferimento a un insieme di questioni importanti per lo sviluppo, che prendono in considerazione in maniera equilibrata le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica, sociale ed ecologica – e mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l’ineguaglianza, ad affrontare i cambiamenti climatici, a costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani.

I 17 GOALS

  • Goal 1: Sconfiggere la povertà
  • Goal 2: Sconfiggere la fame
  • Goal 3: Salute e benessere
  • Goal 4: Istruzione di qualità
  • Goal 5: Parità di genere
  • Goal 6: Acqua pulita e servizi igienico-sanitari
  • Goal 7: Energia pulita e accessibile
  • Goal 8: Lavoro dignitoso e crescita economica
  • Goal 9: Imprese, innovazione e infrastrutture
  • Goal 10: Ridurre le disuguaglianze
  • Goal 11: Città e comunità sostenibili
  • Goal 12: Consumo e produzione responsabili
  • Goal 13: Lotta contro il cambiamento climatico
  • Goal 14: Vita sott’acqua
  • Goal 15: Vita sulla Terra
  • Goal 16: Pace, giustizia e istituzioni solide
  • Goal 17: Partnership per gli obiettivi  (1/2 – 2/2)

I 17 goals dell'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

La Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile (SNSvS) e le 5 aree di intervento

A livello nazionale lo strumento di coordinamento dell’attuazione dell’Agenda 2030 è rappresentato dalla Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile (SNSvS), approvata dal CIPE con Delibera n. 108/2017. Si tratta di un provvedimento che prevede un aggiornamento triennale e “che definisce il quadro di riferimento nazionale per i processi di pianificazione, programmazione e valutazione di tipo ambientale e territoriale per dare attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite”.La Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile (SNSvS) e le 5 aree di interventoL’attuazione della Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile deve raccordarsi con i documenti programmatici esistenti, in particolare con il Programma Nazionale di Riforma (PNR) e più in generale il Documento di Economia e Finanza (DEF). Le azioni proposte e gli strumenti operativi devono conciliarsi, inoltre, con gli obiettivi già esistenti e vincolanti a livello comunitario.

La SNSvS 2017-2030 si configura come lo strumento principale per la creazione di un nuovo modello economico circolare, a basse emissioni di CO2, resiliente ai cambiamenti climatici e agli altri cambiamenti globali causa di crisi locali, come, ad esempio, la perdita di biodiversità, la modificazione dei cicli biogeochimici fondamentali (carbonio, azoto, fosforo) e i cambiamenti nell’utilizzo del suolo.

Un aspetto innovativo dell’Agenda 2030 è l’attenzione rivolta al fenomeno delle disuguaglianze. In assenza di un’adeguata strategia di intervento, diversi fattori possono contribuire ad alimentare una polarizzazione tra diverse situazioni. Per questo motivo è necessario individuare e condividere le politiche che possono rilanciare la crescita e renderla sostenibile nel lungo periodo.

La SNSvS si basa, infatti, su un approccio multidimensionale per superare le disuguaglianze economiche, ambientali e sociali e perseguire così uno sviluppo sostenibile, equilibrato e inclusivo. Tale approccio implica l’utilizzo di un’ampia gamma di strumenti, comprese le politiche di bilancio e le riforme strutturali.

Il piano aggiorna la precedente “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia 2002-2010″, ma ne amplia il raggio d’azione, integrando gli obiettivi contenuti nella Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

È strutturata in cinque aree di intervento, corrispondenti alle “5P” dello sviluppo sostenibile proposte dall’Agenda 2030, ciascuna delle quali contiene Scelte Strategiche e Obiettivi Strategici per l’Italia, correlati agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e richiama alla profonda interrelazione tra dinamiche economiche, crescita sociale e qualità ambientale, aspetti conosciuti anche come i tre pilastri dello sviluppo sostenibile.

  • Persone: contrastare povertà ed esclusione sociale e promuovere salute e benessere per garantire le condizioni per lo sviluppo del capitale umano;
  • Pianeta: garantire una gestione sostenibile delle risorse naturali, contrastando la perdita di biodiversità e tutelando i beni ambientali e colturali;
  • Prosperità: affermare modelli sostenibili di produzione e consumo, garantendo occupazione e formazione di qualità;
  • Pace: promuovere una società non violenta e inclusiva, senza forme di discriminazione. Contrastare l’illegalità;
  • Partnership: intervenire nelle varie aree in maniera integrata.

Un passo importante per l’attuazione di Agenda 2030 in Italia è rappresentato dalla Legge di bilancio 2017.

Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile – ASVIS

L’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) è un’organizzazione creata nel 2016 su iniziativa della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma “Tor Vergata”, che ha come scopo la diffusione, a livello sociale e istituzionale, della conoscenza e della consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

L’ASviS redige annualmente un rapporto dove vengono presentate sia un’analisi dello stato di avanzamento dell’Italia rispetto all’Agenda 2030 e agli Obiettivi di Sviluppo sostenibile, sia proposte per l’elaborazione di strategie che possano assicurare lo sviluppo economico e sociale del paese.

Ivan Manzo, Segretariato ASviSRivolgiamo qualche domanda a Ivan Manzo, Segretariato ASviS e referente del Gruppo di Lavoro sui Goal 6-14-15 dell’Agenda 2030 cercando di capire meglio la situazione italiana e cosa si sta facendo per arrivare al 2030 preparati e più consapevoli.

Il nostro Pianeta ci sta comunicando in tutti i modi che lo sfruttamento ambientale e quindi l’inquinamento stanno raggiungendo livelli importanti e dannosi. Qual è lo stato attuale dell’Italia e dell’Europa?

Se diamo un’occhiata a tutti gli studi sul tema realizzati nel mondo, appare chiaro che la situazione in cui versano gli ecosistemi non è delle migliori, anzi spesso assume toni drammatici. Tanto per dare qualche dato: la media della temperatura terrestre è già aumentata di circa 1,2°C rispetto al periodo preindustriale, e ricordo che non dobbiamo andare oltre 1.5°C per evitare i peggiori disastri causati dalla crisi climatica; un milione di specie è oggi a rischio estinzione; senza strategie efficaci, nel 2050 gli oceani conterranno più tonnellate di plastica che di pesci; l’uomo ha già modificato significativamente il 75% della superficie terrestre e il 66% degli ambienti marini. Purtroppo, l’Europa e l’Italia partecipano attivamente al processo di impoverimento delle risorse naturali e alle diverse forme d’inquinamento. Per esempio, il nostro è il Paese che registra più morti premature in Europa per via dell’inquinamento atmosferico: oltre 70mila persone perdono infatti la vita ogni anno a causa dello smog. Pur vivendo dunque nel luogo con la miglior legislazione ambientale, possiamo dire che l’Europa non è ancora su un sentiero di sviluppo sostenibile: molto resta da fare e il tempo stringe. Ci restano solo pochi anni per agire su questi temi, la comunità scientifica è stata chiara: la finestra dell’azione si sta chiudendo e non potremo riaprirla in futuro. Rischiamo di modificare per centinaia di anni l’equilibrio terrestre, di stravolgere il mondo per come lo conosciamo oggi, con gravi impatti sul benessere umano. Un’ottima panoramica sullo stato di conservazione degli ecosistemi italiani è data dal Rapporto sul capitale Naturale pubblicato dal ministero della Transizione ecologica. Nel quarto rapporto, reso noto ad aprile, vengono spiegati fattori d’impatto, minacce e misure da mettere in campo per arrestare la perdita di biodiversità nel nostro Paese.

Siamo un Paese lento e oggi ancora forse troppo in ritardo sui temi della sostenibilità?

Di sicuro troppo in ritardo. Il Paese risente di decenni in cui nelle politiche è mancata una particolare attenzione allo sviluppo sostenibile, e non mi riferisco solo alla componente ambientale, ma anche a quella economica e sociale. La logica dell’immediato e dei risultati di breve termine, che si è sempre privilegiata anche per via dell’attuale modello economico, è in contrasto con la sostenibilità che, invece, richiede una programmazione di medio e lungo periodo e uno sforzo di tipo sistemico. Per esempio, una questione mai risolta è quella del consumo di suolo, che cresce in Italia a ritmi maggiori che nel resto d’Europa, mettendo così a rischio la qualità dei nostri territori. E dire che sulla ‘cementificazione selvaggia’ una legge l’avremmo, ma è ferma da troppo tempo in Parlamento. In generale, l’andamento della situazione italiana sui 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs nell’acronimo inglese) viene descritta dal Rapporto ASviS che, ogni anno, fa il punto della situazione in relazione all’adozione dell’Agenda 2030. L’ultimo lavoro dell’Alleanza ha ribadito come la pandemia non abbia fatto per nulla bene allo sviluppo sostenibile, allontanandoci ancor di più da un futuro sostenibile. La diffusione del virus ha infatti colpito duramente il capitale economico del Paese; ha impattato duramente sul capitale umano, provocando la perdita di un milione di posti di lavoro e la crescita di oltre 700mila inattivi; ha interessato infine il capitale sociale, con la riduzione delle interazioni, e quello naturale. Sebbene le emissioni gas serra si siano ridotte lo scorso anno, non dobbiamo infatti dimenticare che sono già in forte ripresa e che dobbiamo occuparci di ulteriori problemi, come la gestione e lo smaltimento delle mascherine e dei vari dispositivi sanitari che rischiano di finire nell’ambiente.

Come è stato più volte suggerito, è necessario anche un cambiamento culturale, soprattutto nelle nuove generazioni. In che modo state operando su questo fronte?

La profonda trasformazione sotto l’aspetto culturale è una delle missioni dell’ASviS, che punta a far crescere tra la società italiana, i soggetti economici e le istituzioni la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030. Particolare attenzione viene posta proprio nel promuovere l’educazione allo sviluppo sostenibile tra le giovani generazioni. Sono molte le iniziative messe in campo in questi primi 5 anni di vita dell’ASviS. Tra queste si segnalano il concorso nazionale Miur-ASviS per le scuole italiane sugli SDGs, dal titolo “Facciamo 17 Goal. Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, e il corso e-learning dell’ASviS, fruibile online anche in lingua inglese. È inoltre disponibile il portale Scuola2030 istituito da Indire, una piattaforma che offre a tutti i docenti della scuola italiana contenuti, risorse e materiali in auto-formazione per un’educazione ispirata ai valori e alla visione dell’Agenda 2030. Sulla pagina dedicata all’educazione allo sviluppo sostenibile del sito dell’ASviS sono, poi, segnalate tutte le altre iniziative, comprese le buone pratiche messe in atto dagli Aderenti e le scuole di Alta formazione. Abbiamo poi creato un Gruppo di Lavoro per discutere con i più giovani delle strategie che il Paese deve adottare per garantire una vera giustizia intergenerazionale. Inoltre, grazie alla collaborazione della Rete delle Università per lo sviluppo sostenibile (Rus) miriamo a sviluppare la dimensione educativa transdisciplinare dei programmi universitari, al fine di contribuire a far crescere la cultura dello sviluppo sostenibile e di incidere sull’adozione di corretti stili di vita da parte degli studenti. Insomma, la nostra attenzione sul tema è massima, e cercheremo di fare sempre di più per diffondere consapevolezza tra i giovani su questi temi.

A sei anni dalla sottoscrizione dell’Agenda 2030, quali sono i successi del nostro paese e dell’Europa? Avete riscontrato una maggiore sensibilità della popolazione sui temi trattati?

Sì, la sensibilità sui temi dell’Agenda 2030 sta crescendo tra la popolazione, e questo è senz’altro un fattore positivo e che fa ben sperare. Per esempio, secondo un sondaggio condotto da Ipsos ad aprile 2020, il 72% degli intervistati riteneva che la crisi climatica fosse una minaccia tanto quanto il Covid-19. Inoltre, il 63% degli intervistati aveva dichiarato che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dovesse focalizzarsi sulle azioni di contrasto al riscaldamento globale, sostenendo così le politiche legate allo sviluppo sostenibile. Una tesi, per fortuna, condivisa anche dalla Commissione europea, come ha dimostrato l’istituzione del Next Generation Eu. In generale, però, negli ultimi sei anni il Paese ha continuato ad accumulare ritardo sullo sviluppo sostenibile anche se, va detto, qualche passo avanti su determinati SDGs c’è stato. Per esempio, nella lotta alla povertà (Goal 1 dell’Agenda 2030) e nell’economia circolare (Goal 12) siamo leader in Europa. Come ASviS siamo riusciti a ottenere diversi risultati: voglio citare la trasformazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica in “Cipess”, Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile. Ci auguriamo che questo possa servire a orientare gli investimenti verso progetti sostenibili. Inoltre, da tempo proponiamo l’inserimento del principio dello sviluppo sostenibile in Costituzione, in modo da garantire dignità costituzionale al principio di giustizia intergenerazionale. Dopo il governo Conte, anche l’esecutivo a guida Draghi si è espresso favorevolmente prendendo questo impegno. Speriamo possa essere la legislatura nella quale si concretizzerà la proposta.

Dei 17 Goals per lo sviluppo sostenibile, quali pensa possano essere gli obiettivi più difficili da raggiungere, ma soprattutto quali quelli più importanti?

Non farei una distinzione tra più e meno importanti perché tutti, in un modo o nell’altro, contribuiscono alla creazione di un Pianeta più giusto, equo e inclusivo. Tra quelli più difficili da raggiungere, però, non posso che menzionare quelli ambientali, che tra l’altro determinano un notevole impatto anche da un punto di vista economico e sociale. Per troppo tempo abbiamo fatto finta di vivere in un mondo con risorse infinite, portando così sull’orlo del collasso buona parte dei nostri ecosistemi, e mettendo a rischio i preziosi beni e servizi che ogni anno ci offrono gratuitamente. La verità è che per ristabilire un equilibrio tra noi e i meccanismi naturali occorre sia ripensare il nostro modello di sviluppo e sia modificare parte dei nostri stili di vita. E la difficoltà sta proprio nel farlo in un brevissimo lasso di tempo, in questo decennio. Per citare un buon indicatore di misura, l’impronta ecologica, ogni anno stiamo consumando risorse pari a quelle offerte da 1,6 Pianeti. Per soddisfare la nostra fame di risorse naturali stiamo in pratica spremendo troppo gli ecosistemi: per quanto ancora riusciranno a garantirci le funzioni vitali che svolgono? È questa la domanda a cui dobbiamo dare una risposta.

Quali sono i piani di azione più importanti del Green Deal europeo?

L’Europa già prima dell’esplosione della pandemia aveva deciso, grazie anche alla presidenza Von der Leyen, di porre l’Agenda 2030 al centro del suo mandato. Con la creazione del Next Generation Eu, il fondo per combattere gli effetti della crisi, l’Unione ha ribadito che i soldi devono essere spesi per rendere più sostenibili e resilienti i nostri Paesi, e che tutti gli sforzi messi in campo devono servire a dare attuazione a quel grande progetto che risponde al nome di Green Deal. Si tratta di un piano d’azione che intende tutelare la biodiversità, ridurre l’inquinamento e promuovere l’uso efficiente delle risorse. Per rendere tutto questo possibile, sono diversi i settori dove intervenire. Bisogna per esempio accelerare sulla decarbonizzazione delle nostre economie e del sistema energetico, investire in tecnologie pulite e sostenere l’industria dell’innovazione. Per evitare ricadute sociali, occorre agire tenendo ben presente il principio della “giusta transizione”. Obiettivo finale è quello di rendere climaticamente neutro entro il 2050 il Continente, facendo cioè in modo che la quantità di emissioni gas serra prodotte dall’attività umana sia totalmente assorbita dagli ecosistemi. È questa la strada da seguire, soprattutto dopo il ritorno degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi, che speriamo porti al ritorno del multilateralismo sulla scena globale. In un contesto che speriamo essere sempre più favorevole, l’Europa deve assumere un ruolo chiave nella promozione dello sviluppo sostenibile.

In che modo sta lavorando il PNRR in questa emergenza sanitaria causata dal Covid-19?

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che rappresenta uno strumento essenziale per usufruire delle risorse previste per l’Italia dal Next Generation Eu (strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19), spiccano alcune parole chiave tra cui resilienza, transizione economica ed ecologica, trasformazione digitale, salute e benessere. Il documento consegnato il 30 aprile alla Commissione europea, sarà oggetto di valutazione dell’ASviS che presenterà le sue conclusioni durante un evento online del 27 maggio dal titolo “Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e l’Agenda 2030“, che sarà possibile seguire sul sito asvis e sui nostri canali social. Una cosa però deve essere chiara: il PNRR rappresenta solo un primo passo. Il nostro Paese dovrà infatti essere in grado di spendere i soldi in una maniera totalmente diversa da come fatto in passato. Entro il 2026 tutti i progetti elencati nel Piano dovranno essere già realtà, quindi a disposizione dei cittadini, e costruiti secondo il principio di non nuocere all’ambiente. Se pensiamo al sistema Italia, alla sua storica lentezza e all’incapacità di spendere le risorse europee nel corso degli anni, iniziamo a comprendere meglio la grandezza della sfida a cui siamo chiamati. Inoltre, l’intero PNRR dovrà essere accompagnato da una serie di riforme che rimandiamo da tempo, e da altri strumenti che devono garantire piena coerenza tra le politiche. Su quest’ultimo punto colgo l’occasione per fare due esempi. Il primo riguarda il PNIEC, il Piano Nazione Integrato Clima Energia, che va aggiornato il prima possibile per renderlo in linea con gli obiettivi europei al 2030 che prevedono il taglio di almeno il 55% delle emissioni climalteranti rispetto al 1990. Il secondo fa riferimento al bilancio dello Stato. Non possiamo utilizzare i fondi Ue per la transizione e, contemporaneamente, spendere ogni anno 19 miliardi di euro in sussidi dannosi per l’ambiente. Questo è un controsenso che va corretto il prima possibile, ne va della nostra credibilità in Europa e nel mondo.

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