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Indice: Le tecnologie disponibili Le innovazioni del Progetto Archimede Progetto Archimede: principio di funzionamento I vantaggi del Progetto Archimede La necessità della diversificazione delle fonti, unita agli impegni sul contenimento dei consumi energetici e sulla riduzione delle emissioni di gas serra, pone la fonte solare nella condizione di avere un ruolo incisivo nel panorama energetico italiano. Le condizioni favorevoli di insolazione presenti nel nostro Paese rendono indispensabile riconsiderare un ricorso massiccio a questa fonte energetica come una delle poche possibili risposte concrete alla persistenza di condizioni sfavorevoli nel mercato dei prodotti petroliferi. Il programma ENEA sul solare a concentrazione è stato finanziato con fondi pubblici da uno specifico articolo della legge finanziaria 2001. Fra le varie applicazioni possibili, l’Ente ha scelto due linee di intervento: la produzione e l’accumulo di calore ad alta temperatura (550 °C) per la produzione di energia elettrica; la produzione e l’accumulo di calore a più alta temperatura (superiore a 850 °C) per la produzione di idrogeno. L’articolazione del programma tiene conto del diverso grado di maturità scientifica ed industriale raggiunto dalle due applicazioni e, in entrambi i casi, si pone come obiettivo finale la costruzione e la messa in esercizio di impianti dimostrativi che consentano la diffusione su ampia scala delle tecnologie sviluppate e servano da stimolo per la creazione di un mercato autosostenuto. Le tecnologie disponibili La produzione di energia elettrica da solare termodinamico è stata sperimentata e dimostrata utilizzando diverse tecnologie di raccolta e concentrazione della radiazione solare. Per la produzione di energia da immettere in rete vengono utilizzati sistemi a collettori parabolici lineari e sistemi a torre, mentre per la produzione destinata a piccole comunità isolate sono utilizzati i sistemi a concentrazione puntiforme (specchi parabolici). Sistemi a collettori parabolici lineari La tecnologia attualmente più matura per la produzione di energia elettrica da solare termodinamico è quella che utilizza i collettori parabolici lineari: da circa 20 anni sono in esercizio a Kramer Juction, in California, nel deserto del Mojave, nove grandi impianti termoelettrici solari di questo tipo (SEGS, Solar Electric Generating Systems), per una potenza elettrica complessiva di oltre 350 MW. Schema funzionale di un collettore parabolico di un impianto solare termico In tali impianti, il campo solare ha una struttura modulare ed è costituito da collettori parabolici lineari collegati in serie e disposti in file parallele della lunghezza di alcune centinaia di metri. Ciascun collettore è costituito da un riflettore di forma parabolica (comune specchio di vetro) che concentra i raggi solari su un tubo assorbitore (ricevitore) disposto sul fuoco della parabola. Un fluido portatore di calore, tipicamente olio minerale, pompato attraverso i tubi ricevitori, alimenta una stazione di potenza localizzata al centro del campo solare. Il calore così prodotto viene trasformato in vapore allo scopo di far funzionare un gruppo turbo-generatore elettrico. La temperatura tipica di operazione è di 390°C. Impianto a collettori parabolici lineari di Kramer Juction in California Questa tecnologia, tuttavia, presenta alcune serie limitazioni, che ne hanno impedito la diffusione più ampia. I principali problemi riguardano: la dipendenza della produzione di energia elettrica dalla intermittenza e dalla variabilità della fonte solare che costringe all’utilizzo di combustibili fossili per integrare la produzione di energia termica. Essi sono quindi degli impianti “ibridi” solare-combustibile fossile; la bassa efficienza di conversione degli impianti, dovuta alla limitata efficienza di raccolta dell’energia solare e alla bassa temperatura di lavoro del fluido portatore di calore (< 400°C); il costo elevato dell’energia elettrica prodotta, conseguenza della bassa efficienza e dell’elevato costo di costruzione degli impianti; l’alta pericolosità del fluido di lavoro: tossico e altamente infiammabile alla temperatura di esercizio. Sistemi a torre Questa tecnologia ha superato la fase dimostrativa a livello di prototipo industriale (impianto americano Solar Two da 10 MW), ma non è ancora giunta alla fase di maturità commerciale. Schema funzionale di un impianto solare a torre Negli impianti a torre, il campo solare è costituito da specchi piani (eliostati) che inseguono il moto del sole, concentrando i raggi solari su di un ricevitore montato in cima ad una torre posizionata al centro dell’impianto. All’interno del ricevitore viene fatta circolare una miscela di sali fusi che assorbe il calore e lo accumula in appositi serbatoi. Con il calore accumulato ad alta temperatura (565°C), si produce vapore per alimentare un turbo-generatore. I principali miglioramenti introdotti in questo tipo di impianti rispetto a quelli a collettori parabolici lineari sono: la sicurezza del liquido trasportatore di calore, che è un nitrato di sodio e potassio, noto concime di origine naturale, non infiammabile e non tossico; il miglioramento del rendimento del ciclo termodinamico, legato all’innalzamento della temperatura di operazione da 390 a 565°C; la possibilità di introdurre un accumulo termico per ovviare alle variazioni giornaliere dell’intensità solare. Ciò comporta importanti vantaggi di continuità per il gruppo turbina-alternatore ed evita il ricorso all’integrazione con combustibili fossili. Questi impianti sono quindi alimentati esclusivamente a fonte rinnovabile; la riduzione del costo degli specchi ottenuta con l’adozione di una nuova tecnologia basata su materiali compositi (honeycomb), più leggeri, robusti ed economici rispetto alla lastra di vetro usata nei SEGS. Impianto Solar Two da 10 MW (California) Gli impianti a torre solare con accumulo di energia consentono, pertanto, efficienze di conversione superiori e investimenti iniziali inferiori rispetto ai sistemi a collettori parabolici lineari. Ma essi presentano ancora degli svantaggi che rendono difficile l’applicabilità su grande scala e per elevate potenze. I principali svantaggi sono: le dimensioni eccessive della torre solare (l’altezza dipende dall’estensione del campo specchi che è proporzionale alla potenza dell’impianto); la difficoltà nella concentrazione della radiazione solare sul ricevitore posto a centinaia di metri di distanza (la distanza focale dei sistemi a collettori parabolici lineari è invece inferiore a due metri). Le innovazioni del Progetto Archimede Il sistema progettato dall’ENEA combina le due tecnologie dei sistemi a collettori parabolici lineari e dei sistemi a torre e prevede una serie di profonde innovazioni che permettono di superare i punti critici di entrambe. In esso è stata utilizzata la geometria parabolica lineare, ma con sviluppi tecnologici tali da permettere l’utilizzo dei sali fusi e, quindi, delle più alte temperature tipiche della tecnologia degli impianti a torre. Schematizzazione dell’impianto solare a concentrazione secondo il progetto ENEA Le principali innovazioni riguardano: l’utilizzo di un sistema di accumulo termico costituito da due serbatoi di stoccaggio di grandi dimensioni, mediante il quale l’impianto può erogare una potenza elettrica costante nell’arco delle 24 ore, indipendentemente dalla variabilità della fonte solare; l’incremento della temperatura di funzionamento dell’impianto (circa 550°C). Questa innovazione richiede, da un lato, l’uso di un fluido termovettore (miscela di nitrati di sodio e di potassio) diverso dall’olio sintetico impiegato negli impianti attualmente in esercizio e, dall’altro lato, un sostanziale miglioramento delle proprietà ottiche del rivestimento del tubo ricevitore dei collettori che permetta un migliore assorbimento del calore; la progettazione di un nuovo tipo di concentratore, basato sull’impiego di componenti in grado di assicurare una significativa riduzione dei costi di costruzione e posa in opera. Questi miglioramenti dovrebbero permettere lo sviluppo di una originale e competitiva “nicchia” di mercato sia nazionale che internazionale. Il sistema dovrebbe avere costi inferiori a quelli previsti dagli impianti a torre e, nel contempo, sfruttare tutta l’esperienza operativa acquisita dalla ormai matura tecnologia modulare dei SEGS. Il collettore parabolico lineare rappresenta il modulo base del sistema. Il raggiungimento della potenza richiesta è ottenuto mediante l’utilizzo di più moduli. Tale configurazione è quindi facilmente adattabile alle caratteristiche di siti reperibili nell’Italia Meridionale. L’accumulo termico Nel settore della produzione elettrica, una tecnologia matura deve erogare l’energia in funzione della domanda. Fino ad oggi, l’unica energia rinnovabile che ha avuto una diffusione estesa in questo settore è stata quella idroelettrica. Ciò è dovuto sia alla competitività dei suoi costi sia alla presenza del sistema bacino/sbarramento, che è in grado di compensare le fluttuazioni dovute alla variabilità delle precipitazioni. Sistema di accumulo del calore (progetto ENEA) Nel caso dell’energia solare, il calore accumulato nel serbatoio caldo svolge la stessa funzione dell’accumulo di acqua nel bacino idroelettrico. Fortunatamente, poiché l’energia solare è generalmente disponibile su base giornaliera, la quantità di energia da immagazzinare, al fine di garantire la stessa continuità di funzionamento, è tuttavia molto più modesta. Un elevato salto termico (260°C) tra il serbatoio caldo e quello freddo permette una notevole capacità di accumulo (per immagazzinare 1 kWh di energia termica sono sufficienti circa 5 litri di sale fuso nel serbatoio caldo). L’energia accumulata in un dato volume di questo sale fuso è eguale all’energia prodotta dalla combustione dello stesso volume di gas naturale, alla pressione di 18,4 bar, oppure di un volume di petrolio 43 volte inferiore. Ma, mentre in un impianto termoelettrico convenzionale destinato al carico di base il riempimento del serbatoio di olio combustibile è normalmente effettuato con frequenze dell’ordine dei mesi, il tempo di accumulo per l’impianto solare è determinato dal ciclo giornaliero, eventualmente incrementato al fine di compensare anche alcuni giorni di cattivo tempo. Ne consegue che, a parità di potenza installata, le dimensioni per un serbatoio di olio combustibile e quelle per l’accumulo termico di un impianto solare in funzionamento continuativo sono in realtà paragonabili. Ad esempio, al fine di garantire l’erogazione a potenza costante (24 ore su 24) dell’energia solare giornaliera massima raccolta da 1 km2 di collettori nel Sahara, è richiesto un serbatoio di accumulo di circa 30 m di diametro e 21 m di altezza. Se il serbatoio è di dimensioni opportune, le perdite di energia associate all’accumulo termico sono molto contenute, tipicamente minori dell’1% giornaliero. Quindi l’accumulo termico è un sistema estremamente efficiente, qualora confrontato con gli altri metodi correnti di accumulo energetico. Il fluido termovettore Il fluido termovettore degli impianti di Kramer Juction è un olio minerale infiammabile e tossico. Le proprietà di questo liquido, inoltre, limitano la temperatura di funzionamento dell’impianto e – per motivi di sicurezza e di costo – non permettono l’immagazzinamento del liquido caldo in volumi tali da costituire un efficace accumulo termico. In realtà questi impianti sono dei sistemi ibridi solare-gas naturale, in quanto necessitano di una pesante integrazione con gas naturale per coprire le discontinuità giornaliere della fonte solare. Per queste ragioni, nel progetto ENEA si è preferito adottare come fluido termovettore una miscela di sali fusi, 60% NaNO3 – 40% KNO3. Questi sali sono largamente usati in agricoltura come fertilizzanti, sono economici e disponibili in grandissime quantità. La temperatura di esercizio del fluido termovettore varia tra i 290 e i 550 °C; la temperatura massima è limitata dal fatto che oltre i 600 °C possono insorgere potenziali problemi di corrosione dei materiali. È già stato completato presso l’ENEA lo studio dettagliato dei componenti associati all’uso della miscela di sali fusi, come pure sono stati studiati e risolti in maniera soddisfacente i potenziali problemi connessi con tale tecnologia, come ad esempio quelli relativi alla corrosione dei materiali. Il tubo ricevitore Il tubo ricevitore, situato sulla linea focale degli specchi, è costituito da due cilindri coassiali separati da una intercapedine sotto vuoto con funzione di isolante termico. Struttura del rivestimento spettralmente selettivo sviluppato dall’ENEA Il cilindro esterno in vetro, del diametro di 11,5 cm, è un involucro protettivo, con la funzione di impedire il contatto diretto tra la zona calda e l’ambiente esterno, ed è collegato mediante soffietti metallici al cilindro interno in acciaio. Quest’ultimo, che ha un diametro di 7 cm, costituisce il tubo assorbitore dell’energia solare; al suo interno circola il fluido termovettore. Un opportuno rivestimento spettralmente selettivo sviluppato nei laboratori dell’ENEA, applicato sulla superficie esterna del tubo in acciaio, assicura il massimo assorbimento nello spettro della luce solare e la minima emissione di radiazione infrarossa dal tubo caldo, consentendo il raggiungimento dell’elevata temperatura di esercizio dell’impianto (550°C). Gli specchi parabolici La radiazione solare diretta è focalizzata su un tubo collettore-ricevitore mediante l’uso di grandi specchi parabolici lineari. L’apertura degli specchi è di 5,76 m, con una altezza focale di 1,81 m. Modulo di collettore solare (progetto ENEA) Gli specchi, adatti ad una produzione economica in serie, sono costituiti da pannelli “a nido d’ape” (“honeycomb”) di 2,5 cm di spessore, con struttura interna in alluminio e strati superficiali in fibra di vetro, che presentano un’elevatissima rigidità. Sulla superficie esterna di questi pannelli aderisce un sottile specchio di vetro ad alta riflettività. Un insieme di tali pannelli riflettenti è rigidamente fissato ad una struttura di supporto, lunga circa 25 m, che ne consente la rotazione per seguire il percorso del sole. Progetto Archimede: principio di funzionamento Nell’impianto ENEA gli specchi parabolici lineari concentrano la luce diretta del sole su un tubo ricevitore (dentro il quale scorre il fluido termovettore), che assorbe l’energia raggiante e la converte in calore ad alta temperatura. Il fluido riscaldato (a 550 °C) viene convogliato in un serbatoio “caldo”, dove va a costituire l’accumulo di calore ad alta temperatura. Dal serbatoio “caldo”, il fluido è inviato ad uno scambiatore dove cede una parte di calore con il quale viene generato vapore che alimenta un sistema convenzionale di produzione di energia elettrica. Il fluido conclude la sua corsa nel serbatoio “freddo”, a 290°C, da dove viene prelevato e re-immesso nel ciclo. I vantaggi del Progetto Archimede Grande potenzialità di sviluppo La tecnologia messa a punto dall’ENEA, per la quale l’Ente ha ottenuto un importante riconoscimento da parte dell’IEA (International Energy Agency) nell’ambito del Rapporto 2003 sulla politica energetica italiana, potrebbe consentire alla fonte solare di diventare la fonte energetica primaria, in sostituzione delle biomasse, in quei Paesi in via di sviluppo in cui il livello di radiazione solare è considerevole. Le potenzialità della tecnologia potrebbero aumentare considerevolmente se l’energia elettrica prodotta in Paesi a forte insolazione fosse esportata a regioni con maggiore domanda e minore insolazione. Ad esempio, in gran parte dei Paesi europei, alle società di distribuzione è richiesta la fornitura di energia elettrica con un contributo percentuale proveniente da fonti rinnovabili. Una frazione considerevole di tale “energia verde” potrebbe essere soddisfatta con la tecnologia innovativa dell’ENEA, installata ad esempio nelle aree desertiche del Sahara, caratterizzate sia da una favorevole esposizione alla radiazione solare sia da un’escursione stagionale piuttosto ridotta. L’energia elettrica prodotta nel Nord Africa potrebbe essere trasferita alla rete elettrica europea per mezzo di linee di trasmissione in corrente continua ad alta tensione, tecnologia già disponibile e con costi accettabili. Rispetto dell’ambiente Negli impianti solari di tecnologia ENEA non sono impiegati materiali tossici, infiammabili o altrimenti pericolosi. In particolare, il liquido termovettore usato è un comune fertilizzante, ed eventuali fuoriuscite accidentali non hanno alcun impatto ambientale. Gli impianti solari non costituiscono una sorgente di rischio o di altri fastidi (ad es. rumore) per le popolazioni residenti nelle loro vicinanze. Una volta smantellato l’impianto, il terreno è riutilizzabile senza limitazioni. Alta disponibilità e versatilità La tecnologia ENEA è fortemente modulare e può soddisfare esigenze diverse. Può essere utilizzata sia in impianti di taglia elevata (dell’ordine delle centinaia di MWe), connessi con la rete elettrica, sia in impianti più piccoli (di pochi MWe) per comunità isolate. L’introduzione di un sistema di accumulo consente di immagazzinare l’energia termica e di produrre energia elettrica quando serve e con continuità anche in assenza di radiazione solare diretta. Economicità Una volta che i sistemi di captazione e accumulo dell’energia solare verranno prodotti su scala sufficientemente grande, la produzione di calore ad alta temperatura (550 °C) potrà essere fatta, in località a elevata insolazione, ad un costo di circa 2 €/GJ, non superiore a quello previsto per il gas naturale e il petrolio. Lo smantellamento finale dell’impianto è semplice ed economico. Tempi di costruzione brevi e lunga vita dell’impianto Grazie alla semplicità progettuale, un impianto può essere realizzato in circa tre anni. La sua vita attesa è di 25-30 anni, sicuramente estendibile apportando successive modifiche e miglioramenti. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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