Decarbonizzazione in Italia: gli sforzi attesi al 2030 e oltre

Per raggiungere il target fissato al 2030, l’Italia è attesa a una riduzione delle emissioni di 21 MtCO2eq/anno. Gli investimenti fatti, lo stato del PNRR, l’impegno delle aziende: lo Zero Carbon Policy Agenda di Energy & Strategy racconta quanto fatto e quanto resta da fare, a livello pubblico e da parte delle imprese

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Decarbonizzazione in Italia: gli sforzi attesi al 2030 e oltre

Il percorso verso la decarbonizzazione in Italia sarà molto impegnativo. Per raggiungere gli obiettivi attesi al 2030 – quindi nei prossimi sei anni – si dovranno ridurre le emissioni di CO2 di un quantitativo quasi doppio rispetto a quanto ha fatto negli ultimi 20 anni.

Come evidenzia lo Zero Carbon Policy Agenda di Energy & Strategy – Politecnico di Milano, dal 2005 a oggi la riduzione è stata di circa 12 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti l’anno (-36% in 20 anni). Tuttavia, per raggiungere i target europei al 2030, questo valore dovrà passare a 21 MtCO2eq/anno.

Presentazione del Rapporto Zero Carbon Policy Agenda di Energy & Strategy Group a Milano

Lo stesso report rileva che gli investimenti stanziati in Italia per decarbonizzare, nel 2023 hanno superato i 127 miliardi di euro, costituendo un quarto (25%) del totale degli investimenti realizzati nel Paese. È una somma sostanziosa, ma occorre fare di più.

Riuscire a raggiungere gli obiettivi è ancora possibile, pensando al “grande potenziale ancora inespresso di azioni pubbliche e private verso la decarbonizzazione”.

emissioni Italia e investimenti nella decarbonizzazione

Da parte pubblica, c’è il PNRR e i 194 miliardi di euro ricevuti dall’Italia, primo Paese in Europa per assegnazione di stanziamenti dal Recovery and Resilience Plan. Pur avendo ricevuto il maggior valore in termini di fondi REPowerEU, ha dedicato solo il 68% del nuovo capitolo ad azioni che hanno obiettivi climatici, contro una media UE dell’85%. Inoltre, al momento il PNRR è in grande ritardo per quanto riguarda gli interventi associati alla decarbonizzazione. «Nel terzo trimestre del 2024 lo stato di avanzamento si è assestato al 36%, contro il 64% che rappresentava il target del Piano», rammenta lo stesso documento di E&S.

Ridurre le emissioni di CO2, una sfida complessa

Il processo di decarbonizzazione è una sfida complessa, quindi. Anche in Europa l’azione «sta segnando un po’ il passo, però l’Italia rappresenta un caso un po’ particolare», ha affermato Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e curatore dello studio.

Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e curatore dello studio sulla decarbonizzazione in Italia

Dal 1990 al 2023 l’Europa ha ridotto del 29% le emissioni, con un’accelerazione significativa dal 2005 ad oggi. Se si raffronta all’obiettivo del 55% al 2030 e alla completa decarbonizzazione al 2050. «A oggi siamo a metà del guado, però mancano solo sei anni al target del 2030. Va detto, anche, che c’è stato un significativo disaccoppiamento tra l’andamento del PIL e la riduzione delle emissioni». La crescita del PIL è stata sensibile: tra 2005 e 2023 è stata dell’85%. Quindi, la riduzione delle emissioni è avvenuta in un contesto di grande spinta. Oggi l’UE sta mantenendo alte le ambizioni di decarbonizzazione: sta ragionando sull’obiettivo intermedio per il 2040 di ridurre le emissioni da un minimo dell’80% a un massimo del 95%.

emissioni e PIL Europa

Quindi, gli obiettivi sono assai sfidanti e richiedono un impegno e interventi decisamente più consistenti di quanto fatto finora. D’altronde, la decarbonizzazione è guidata dalla necessità di rispondere al problema del cambiamento climatico, e dalla possibilità di rendere sostenibile la nostra crescita sulla Terra.

Il processo di decarbonizzazione in Italia

In questo percorso di decarbonizzazione, l’Italia ha fatto registrare un calo delle emissioni del 26% nel 2023 rispetto ai valori del 1990 e del 36% rispetto al 2005. Quindi, a confronto con il cammino europeo, il nostro Paese è per lo più allineato. Tuttavia, non ha avuto una crescita così sensibile come quella dell’Europa: nel periodo 2005-2023 l’Italia ha registrato una crescita del PIL del 18% contro un +85% europeo. Le emissioni si sono ridotte, però in questa riduzione va riscontrata una componente di decrescita economica.

Emissioni e PIL in Italia

Per quanto riguarda il contesto emissivo nazionale, la principale voce è costituita dai trasporti (28%), seguita da produzione di energia e calore (20%), e da residenziale, commerciale e servizi pubblici (16%).

Gli otto pilastri della decarbonizzazione

Su quali aspetti occorre concentrare l’attenzione e i relativi investimenti? Lo Zero Carbon Policy Agenda 2024 pone l’attenzione su otto pilastri della decarbonizzazione che stanno assumendo un ruolo cardine nel processo di transizione energetica delle imprese.

Si tratta di: produzione di energia rinnovabile; adeguamento delle infrastrutture di rete; efficienza energetica; mobilità sostenibile; sviluppo di configurazioni efficienti (comunità energetiche); economia circolare; carbon offsetting/insetting; CCUS (carbon capture, utilization and storage).

Dei 127 miliardi di euro investiti nel 2023 su questi pillar, buona parte (90 miliardi) sono andati all’efficientamento energetico, trainato dall’effetto superbonus. La seconda voce è stata l’economia circolare (19 miliardi), grazie all’adozione di almeno una pratica circolare adottata da parte del 38% delle principali aziende italiane e dalla volontà di farlo nei prossimi anni da parte del 24%.

Le fonti energetiche rinnovabili (con 10 miliardi circa) sono la terza voce di investimento. Nel 2023 gli investimenti nelle FER hanno generato un aumento superiore a 5,7 GW rispetto all’anno precedente, per lo più (90%) dal fotovoltaico.

Il peso degli investimenti di questi pillar, confrontati al valore degli investimenti lordi registrati lo scorso anno (484 miliardi) equivalgono al 26% del totale investimenti in Italia.

Tuttavia, per raggiungere gli obiettivi attesi al 2030 è necessario aumentare lo sforzo complessivo per riuscire a incrementare la riduzione di CO2 annua.

Stimolare la riduzione delle emissioni: il ruolo del PNRR

Su cosa occorre lavorare per stimolare la decarbonizzazione in Italia? In due direzioni: pubblica e privata. Dalla parte pubblica, occorre sveltire e rendere più efficiente il percorso del PNRR italiano. Come detto all’inizio, il PNRR italiano è al momento in grande ritardo per quanto riguarda gli interventi associati alla decarbonizzazione. Solo considerando due voci, rinnovabili ed efficienza energetica, nel primo caso l’avanzamento degli investimenti è fermo al 35% dal terzo trimestre del 2023, rispetto al 64% previsto per il terzo trimestre del 2024, nel secondo si è fermi al 37% di completamento (vs 74% previsto per T3 del 2024).

Malgrado sia il primo Paese in Europa per assegnazioni nel Recovery and Resilience Plan (oltre 194 miliardi di euro), il Belpaese ha destinato alle misure climatiche poco più del minimo previsto dall’Europa (41%). Inoltre, pur avendo ricevuto il maggior valore in termini di fondi REPowerEU, anche in questo caso, ha dedicato soltanto il 68% del nuovo capitolo ad azioni con obiettivi climatici, contro una media europea dell’85%.

Le imprese, tra lo stimolo dell’ESG e l’azione delle direttive

A livello privato, le imprese devono lavorare molto sulla riduzione delle emissioni. In questo senso è interessante considerare l’integrazione dei criteri ESG (Environmental, Social and Governance). L’integrazione degli ESG e la decarbonizzazione sono strettamente intrecciati nel contesto della sfida climatica del XXI secolo. Gli stessi ESG «hanno rappresentato una spinta verso l’adozione di investimenti volti alla decarbonizzazione da parte delle imprese», si ricorda nel report.

Energy & Strategy ha messo a punto un indicatore, chiamato Emission Intensity, che mette in relazione le emissioni di CO2 ed il valore aggiunto, ossia il business delle imprese. Considerando questo indicatore, se si prendono in esame le prime 40 imprese italiane per capitalizzazione di Borsa – tutte dotate di almeno un rating ESG – si è passati dagli 0,62 kton CO2/mln € di valore aggiunto del 2018 agli 0,39 del 2022

«Se si allarga però lo sguardo di analisi e si passa a valutare le principali imprese italiane per fatturato, ma non quotate in Borsa, la fotografia cambia radicalmente. A differenza delle aziende quotate infatti, le altre grandi aziende italiane analizzate, per circa il 70% non adottano nemmeno una valutazione ESG, indistintamente dal settore di riferimento».

Lo scenario potrebbe evolvere positivamente con l’evoluzione del quadro regolatorio, che dovrà tenere conto di direttive quali la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive, sul reporting di sostenibilità) o la CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive, sulla due diligence di sostenibilità). Sarà uno stimolo positivo, ma avrà anche ricadute importanti in termini di sforzi organizzativi ed economici. Solo per adeguarsi alla CSRD, le 4150 imprese sottoposte agli obblighi connessi dovranno sostenere spese variabili tra 100mila e 800mila euro.

Il punto di vista di Confindustria

Dal punto di vista delle imprese, si invoca una «decarbonizzazione competitiva», come ha rilevato Aurelio Regina, presidente di Fondimpresa, delegato per l’Energia e per la Transizione energetica nonché presidente del Gruppo Tecnico Energia di Confindustria.

Aurelio Regina, presidente di Fondimpresa, delegato per l'Energia e per la Transizione energetica nonché presidente del Gruppo Tecnico Energia di Confindustria

«La decarbonizzazione senza competitività porta solo decrescita. Questa è stata la lezione che abbiamo imparato, purtroppo, con la crisi economica del 2009, che ci ha portato al 2020 e 2021, a perdere in Europa circa il 25% dell’industria manifatturiera. In Italia nello specifico, nel periodo tra il 2009 e il 2021, si sono chiuse 114mila aziende del settore. Le ragioni sono diverse, non tutte attinenti alla transizione energetica, ma in gran parte per soddisfare l’obiettivo al 2020 di decarbonizzazione abbiamo sacrificato un enorme patrimonio manifatturiero», ha rilevato Regina, ricordando che per un’adeguata politica energetica occorrono tre pilastri: decarbonizzazione, competitività e indipendenza economica. «Con la precedente legislatura, si è puntato molto sul primo, dimenticando un po’ gli altri due».

L’auspicio è che, nei prossimi cinque anni, la Commissione Europea punti su politiche lungimiranti. «Questa transizione è una delle sfide più complesse e ambiziose della nostra epoca, anche dal punto di vista di supporto economico». Citando il Rapporto Draghi sulla competitività europea, il presidente di Fondimpresa ha ricordato che per transizione energetica e decarbonizzazione si parla di una necessità di investimenti per 500 miliardi di euro l’anno. «Confindustria ha stimato, lo scorso anno in un rapporto molto dettagliato (svolto in collaborazione con RSE e intitolato “Scenari e valutazioni di impatto economico degli obiettivi Fit for 55 per l’Italia” – nda), che per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione in Italia al 2030 si prevedono investimenti per circa 1100 miliardi di euro».

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